Fonte: l'Espresso
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di Alessandro Gilioli 13 agosto 2015
In Spagna la crisi economica ha avuto un’evoluzione interessante – forse – anche per noi.
Parliamo cioè di un Paese dove milioni di persone sono prima passate da un lavoro continuativo e decentemente salariato alla disoccupazione, quindi dalla disoccupazione a un puzzle di lavoretti sottopagati e provvisori (in genere di tre o sei mesi) che consentono un introito medio mensile inferiore del 30-40 per cento rispetto a prima della crisi.
In sostanza, se dovessimo unire i puntini, potremmo dire che la crisi è stata usata per sostituire lavori e redditi decenti con lavori e redditi indecenti.
Questa parabola ha due effetti.
Il primo sulla politica: il premier locale infatti ora può vantarsi di avere ridotto la disoccupazione e aumentato il Pil rispetto a tre-quattro anni fa.
Il secondo sul consenso dei meno avveduti: i quali ringraziano della maggior disponibilità dei minijobs perché questi sono “meglio che niente”. Un po’ come se uno ringraziasse il borseggiatore che dopo avergli rapinato il portafoglio gli ha fatto riavere le monete, tenendosi tuttavia le banconote.
Non si sa (ancora) se anche l’Italia seguirà questa tendenza: di certo stiamo già assistendo a una gran campagna per renderci entusiasti della graduale diminuzione di posti di lavoro relativamente solidi e garantiti compensata da un aumento di lavori creati da provvisorie defiscalizzazioni e unilateralmente revocabili in qualsiasi momento.
Più un generale, però, anche in Italia si è già diffusa la cultura del “meglio che niente”, che è il vero vessillo dell’egemonia culturale della destra economica: quella che che ha introdotto nel linguaggio politico termini come “bamboccioni” e “choosy”, quella che dà degli sfigati agli studenti-lavoratori, quella che calvinisticamente ti convince che se non hai un futuro si vede che te lo meriti, quella che devi correre a inchinarti se l’Expo ti chiama con 24 ore di anticipo per un impiego precario da 800 euro al mese in una città dove l’affitto minimo ti costa quasi altrettanto.
Insomma, il vincismo totalitario, dove si brinda per un lavoro di merda a un salario di merda, perché “è meglio che niente”.
Sapete, un paio d’anni fa c’era una sartoria del’Honduras dove migliaia di lavoratori dovevano stare alla macchina 10 ore consecutive con addosso il pannolone, in modo da risparmiare sui tempi dei bisogni fisiologici.
E quelli andavano tutti i giorni al lavoro col pannolone, perché lavorare così era “meglio di niente”.