Fonte: blog di Felice Besostri
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Autore: On. Avv. Felice Carlo Besostri – capo-gruppo emerito dei DS nella Commissione Affari Costituzionali del Senato nella XIII legislatura
(la firma come capo-gruppo emerito dei DS nella XIII legislatura è una facezia non gratuita)
Una revisione costituzionale ampia, come quella di cui si discute, fatta da un Parlamento, la cui composizione è stata dichiarata incostituzionale, avrebbe dovuto richiedere un confronto ampio per trovare un consenso almeno superiore ai 2/3. Non per evitare il referendum confermativo, poiché una delle norme da cambiare era proprio quello che lo escludeva in presenza di questo quorum. Il Patto del Nazzareno non bastava. In ogni caso è nella discussione pubblica che si assumono gli impegni e non in segrete stanze e senza un testo scritto da mostrare urbi et orbi. Ora i nodi stanno giungendo al pettine e chi vuole la riforma ad ogni costo non può contare, per ragioni di dignità politica propria su profughi o transfughi per ottenere una risicata maggioranza. L’accordo sul superamento del bicameralismo paritario è vasto e quindi la revisione, non chiamiamola riforma per rispetto di questa parola, poteva procedere spedita. Sulla linearità e trasparenza del processo di revisione costituzionale e della parallela nuova legge elettorale avrebbero dovuto vigilare il Presidente della Repubblica e la Presidenza delle due Camere. Così non è stato, anzi si sono commessi strappi regolamentari, comunque, politicamente sbagliati. Ora siamo in zona Cesarini e le posizioni chiare, nel senso, che le decisioni sono politiche e non di natura regolamentare, grazie anche ad un illustre predente del 1993, quando la Camera era presieduta da Giorgio Napolitano e il Senato da Giovanni Spadolini e relativo ad una norma costituzionale delicata come l’art. 68. Alcuni squilibri sono difficili, ma non impossibili, da eliminare come lo squilibrio numerico tra Camera e Senato, 630 vs 100, che non sarebbe ovviato neppure con un’elezione diretta della seconda Camera. Quello che non va è l’ambiguità senza precedenti della natura del Senato, inammissibile in un paese che storicamente in un Senato, quello romano, ha avuto un organo collegiale di esercizio e controllo del potere. Così come configurato il Senato non è l’espressione tipica degli Stati federali, né nella forma dell’elezione diretta in numero uguale da parte della popolazione dei soggetti federati (Stati uniti, Confederazione Elvetica), né di rappresentanza degli esecutivi dei soggetti federati (Bundesrat tedesco), men che meno un corpo legislativo rappresentativo del sistema delle autonomie (Senato francese). Il Senato francese è eletto indirettamente da una platea vasta di amministratori locali, dipartimentali e regionali, nonché dai deputati, sono 150.000 grandi elettori e non un migliaio di consiglieri regionali, che si eleggono tra di loro in un collegio ristretto. Altra caratteristica del Senato francese è che i 321 senatori sono eletti per 6 anni, mentre i 577 deputati per cinque. Un organo stabile e quindi autorevole e non l’albergo a ore del futuro Senato italiano i Altra anomalia: per il nostro art. 114 Cost. sono parti costitutive della Repubblica, oltre che lo Stato, i comuni, le provincie, le città metropolitane e le Regioni, quest’ultime senza essere gerarchicamente sovraordinate alle altre. Non si comprende per quale ragione i consiglieri regionali debbano scegliere i sindaci e non quest’ultimi i consiglieri regionali da mandare in Senato, sono sicuramente più rappresentativi. Nell’ottica di un Senato delle autonomie, nessuno è stato in grado di spiegare per quale ragione gli unici soggetti esclusi a priori saranno i sindaci metropolitani che si facessero eleggere direttamente dai cittadini. Non è un caso che nell’ultima tornata amministrativa dei consiglieri regionali si siano fatti eleggere sindaci di comuni sotto i 5.000 e perciò compatibili. Un sindaco di Milano non potrebbe andare in Senato nemmeno un giorno alla settimana, mentre quello di Roccacannuccia o di Borgo San Giovanni (paese di cui sono stato sindaco 1983-1988) sì. Tuttavia questi sindaci di comuni minori non potrebbe assumere funzioni di rilievo in Senato, inibiti da una norma che demanda al futuro Regolamenti di stabilire incompatibilità con incarichi esecutivi di Comuni e Regioni. Ci si dimentica inoltre, che i consiglieri regionali sono e saranno eletti con leggi maggioritarie con premi di maggioranza che variano da un 55% ad un 61% e con soglie di acceso che raggiungono anche il 10%. Non rappresentano quindi la popolazione della loro regione non i Governi regionali, perché tra i Senatori hanno diritto di entrare, non è chiaro se in proporzione ai voti o ai seggi, anche consiglieri di minoranza. In un tale contesto non potrà essere abolita la Conferenza Stato- Regioni. Quindi prima di pasticciare l’elezione del futuro Senato occorre chiarirsi sulla natura e funzione della seconda Camera. La proposta di un listino di consiglieri da far votate dagli elettori, anche se non bloccato, non è una mediazione seria: una pezza peggio del buso. Comunque va colto un elemento positivo, che è una presa di coscienza che il ddl costituzionale va cambiato.
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Per l’appello di Besostri al Senato sulla riforma costituzionale, si veda l’intervista telefonica a cura di Vladimiro Poggi nel tg di Telecolor e di Primarete Lombardia: http://www.felicebesostri.it/?p=3736
* intervento pubblicato da «il manifesto» del 15 agosto 2015 a pag. 15 con il titolo Quel che ancora si può correggere del nuovo Senato (nella versione online dello stesso quotidiano con il titolo Che si può salvare del Senato, http://ilmanifesto.info/che-si-puo-salvare-del-senato/); inoltre pubblicato nel blog Essere Sinistra (https://esseresinistra.wordpress.com/2015/08/12/felice-besostri-la-revisione-costituzionale-del-senato-e-tutta-da-modificare/)