Fonte: L'Altra Europa Roma
Salvatore Cannavò intervista Maurizio Landini
3 agosto 2014
La Fiom cambia verso. Dopo aver tenuto un atteggiamento dialogante con il governo Renzi, tanto da scatenare le “gelosie” della casa madre Cgil, Maurizio Landini decide di tornare in piazza. Il tono è sempre attento a non costruire una posizione pregiudiziale. Landini preferisce parlare di “sfida” al governo. Ma gli argomenti sono netti: “Renzi diceva di voler cambiare verso ma il verso è sempre quello di Confindustria e della Troika”. Quindi, è il tempo della mobilitazione e anche dello sciopero. “Lo faremo anche se vogliamo inventarci dell’altro”. Si punta a una manifestazione nazionale in ottobre che, di fatto, si tradurrà nella prima mobilitazione autunnale contro il governo.
Il punto che sta più a cuore al segretario Fiom è far entrare nel dibattito i temi sociali ed economici. E per farlo ripete una battuta che ha sentito in giro tra le fabbriche: “Hanno fatto la riforma del Senato: ma quanti posti di lavoro crea?”.
Anche lei dà un giudizio negativo sulla riforma di Renzi?
A modificare la Costituzione sono dei parlamentari eletti con una legge che è stata definita incostituzionale. L’assurdità e il paradosso sono evidenti. Poi, non ho capito ancora quale sarà il ruolo di questo nuovo Senato. Se non è elettivo, se non ha poteri, se deve essere formato da persone che hanno altri incarichi, non si capisce a cosa dovrebbe servire.
La Costituzione non va toccata?
Secondo me la Costituzione andrebbe semplicemente applicata. Ma, in ogni caso, riformarla può essere legittimo a condizione che si abbia il coraggio di farlo come si deve. La Costituzione è stata fatta con un’Assemblea Costituente, in cui le persone sono state coinvolte e hanno dato un mandato preciso. Solo un’Assemblea Costituente avrebbe la legittimità di fare una riforma.
Condivide il giudizio che le riforme presentano un rischio autoritario?
Rischia soprattutto di prevalere una logica padronale, finalizzata a un uomo solo al comando. La legge elettorale ha la logica aberrante dei premi di maggioranza e di soglie di sbarramento che di fatto impedirebbero a milioni di persone di essere rappresentate. Non ho cambiato idea rispetto a quando abbiamo manifestato il 12 ottobre.
Il cambiamento atteso non si vede?
Di sicuro su economia e lavoro il Paese non sta cambiando verso. Anzi, siamo davanti a un peggioramento secco e al rischio di una fase di licenziamenti. Proprio ieri il Cda Fiat ha sancito che quella non è più un’azienda italiana. Ma l’Italia era fino a 15 anni fa tra i primi dieci paesi produttori di mezzi di trasporto, oggi è al 25esimo posto. Gli esempi potrebbero continuare con Merloni, Terni, Ilva, Eni. In questi anni Confindustria e imprese hanno avuto tutto quello che chiedevano. Tutto questo ha prodotto un Paese in ginocchio.
Cosa propone la Fiom?
Una nuova politica industriale con intervento pubblico, la ripresa degli investimenti, l’estensione degli 80 euro, colpire davvero l’evasione e la corruzione.
Renzi dice che farà un viaggio nell’Italia della crisi.
Il problema non sono i viaggi ma i fatti. Si è detto che si voleva superare la precarietà con contratto unico a tutele progressive e invece si è aumentata la precarietà. Si apre la strada ai licenziamenti, come in Alitalia. Si defiscalizza il lavoro straordinario e non si interviene sulle pensioni. Questi sono i fatti.
La Fiom cambia atteggiamento verso il governo?
Avevamo colto positivamente chi diceva che voleva cambiare verso perché il Paese ha tanto da cambiare. Su questo punto, però vogliamo aprire una sfida sul cambiamento. Da settembre realizzeremo una mobilitazione capillare, aperta ad altre forze per costruire insieme una manifestazione nazionale nel mese di ottobre. Non abbiamo più tempo per aspettare. In questi giorni ho raccolto una battuta di un lavoratore: “Se cambiano il Senato quanti posti di lavoro si creano nel Paese?”. Ecco, questo è il sentimento nel Paese.
Siete pronti allo sciopero generale?
Non escludo nulla. Lo sciopero potrà essere proclamato per le iniziative territoriali anche se dobbiamo inventarci dell’altro. In ogni caso siamo pronti a discutere con altri soggetti, anche non sindacali, di questa situazione. I problemi non si risolvono con un uomo forte al comando ma con una partecipazione dal basso. Con il lavoro al centro.
La proposta è rivolta anche alla Cgil?
Certo. Siamo una categoria che ha a che fare con un pezzo rilevante del sistema industriale. Anche alla Confederazione diciamo che è il momento di tornare a essere un soggetto che offre uno spazio di mobilitazione. Anche con temi nuovi: reddito minimo, ammortizzatori sociali, riduzione dei contratti nazionali, legge sulla rappresentanza.
Deluso da Renzi?
Ha detto che voleva cambiare verso ma il verso è sempre quello di Confindustria. Si continua ad andare nel verso della Troika.