Fonte: L'Huffington Post
di Lucia Annunziata – 4 agosto 2014
Volete davvero avere un Premier che considera un’accusa essere “troppo condiscendete con le richieste delle opposizioni”? Esiste, evidentemente, nella mente dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi l’idea che fare l’opposizione non è un diritto, casomai una concessione di chi governa. Qualcuno potrebbe ricordargli che il diritto pieno di fare opposizione, incluso l’ostruzionismo duro e puro, è stato in epoche buie la rispettosissima garanzia di vita di un Partito Comunista e di tanti altri partiti, dalla cui area politica per altro lui stesso proviene. Ma si sa, il Premier è troppo giovane per ricordare.
Torna in campo, con una magnifica intervista al quotidiano La Repubblica, Matteo Renzi. Mi sbilancio sul “magnifica”, scontando di apparire “fan” del gruppo in cui lavoro, perché davvero il colloquio con Tito ci riporta a casa il vero Primo Ministro, l’uomo che alle grandi risposte sulle grandi questioni – per esempio sullo stato economico del paese, o sugli accordi extraparlamentari fatti con Silvio Berlusconi – preferisce sempre uscirsene assestando una bella mazzata ai nemici, perché tanto la colpa è sempre loro.
Lasciamo perdere la bruttissima pagina dell’attacco diretto al Presidente del Senato, quello stesso che è stato insultato in aula dalle opposizioni per aver regalato a Renzi il decisivo voto segreto per far passare il secondo emendamento, la pietra angolare della (da Renzi) tanto agognata riforma del Senato. Non è bastato. Il povero Grasso si ritrova, ora, accusato di essere, appunto, “troppo accondiscendente con le richieste delle opposizioni”. Lasciamo perdere anche la solita tiritera contro “professori, opinionisti ed editorialisti” che “non possono ritenersi senza responsabilità”. Vero hanno (abbiamo) tutti responsabilità nello stato del Paese, ma, caro Premier, ci abbiamo messo tutti la faccia, ben prima di Lei, scrivendo appunto con nome e cognome. Sopporteremo le conseguenze stoicamente di quel che abbiamo detto, e diremo.
In questa girandola di distribuzione di responsabilità quel che manca sono quelle che il Premier si assume. Il verbale scoppiettio del discorso renziano diventa infatti un distaccato discorso da statista quando si va ai nodi centrali del governo, quello istituzionale e quello quello economico.
Sull’orizzonte istituzionale inutile sperare in chiarimenti: vuole davvero andare a votare Renzi? C’è davvero di mezzo un accordo sul Quirinale con il leader di Forza Italia? Alla vigilia del secondo incontro con Silvio Berlusconi, il Nazareno due, le domande sul contenuto del patto scritto del Nazareno uno sono derubricate a “cultura del sospetto”. Ci assicura, il Premier, mai più una legge ad personam per Berlusconi”, ma è difficile immaginare una legge più ad personam dell’aver reso il Cavaliere un padre rifondatore della patria, mentre le opposizioni vengono additate al pubblico ludibrio.
Sull’economia siamo alla vera e propria evasività. Alla domanda di Tito: “Dopo le riforme i 1000 giorni ma non vi toccherà affrontare un autunno caldo?”, il premier sbadiglia: “Sono convinto di no. Questa è una retorica che fa sbadigliare. È trita e ritritita”. A fine del discorsetto concede “So bene che la ripresa è fragile. Che l’Eurozona cresce meno degli altri. L’Italia non ha invertito la marcia e non la invertirà con la bacchetta magica. Ma la narrazione degli autunni caldi è un noioso deja vu”. Il giusto Tito insiste: “Ma dovrete trovare 20 miliardi oppure no?”. Il cauto statista lo riprende: ” Definire le cifre del 2015 è prematuro”. Sugli ottanta euro: “A chi dice che non hanno rilanciato i consumi dico di aspettare”.
Nello stile dismissive, contemptuous, disdainful, scornful (glielo diciamo in inglese così forse gli piace di più) il Premier lascia a noi dunque trattare con i soliti dettagli. L’Italia è il paese che cresce meno di tutta l’Eurozona, ma lo stesso Renzi che aveva promesso un + 0,8% così vede il quasi default: “La crescita è negativa da tempo. Avviandosi verso lo zero darebbe segnali di miglioramento”. L’Italia è il paese in cui, in questo inizio di settimana, si imballa sulle coperture il decreto Madia sulla Pubblica Amministrazione, dando ragione al tanto offeso Cottarelli, cacciato con infamia come tutti i non amici di Renzi. L’Italia è il paese che in questo momento è alla guida del semestre europeo e nessuno se ne è accorto. Ma noi ci siamo in compenso accorti che il maldestro primo passaggio sulla scena europea del nostro leader con l’inutile braccio di ferro su Mogherini ci ha solo fatto sprecare tempo: le nomine saranno trattate a fine agosto e se ci va bene dunque il meraviglioso semestre di ridurrà a un paio di mesetti – da settembre agli inizi di dicembre: altro che svolta decisiva impressa dall’Italia alle politiche europee.
Del resto, al di là della retorica della velocità, la perdita di tempo pare essere la essenza di questo primo squarcio di governo Renzi. Eventi alla mano, le uniche priorità di Renzi riguardano tutti gli impegni che hanno a che fare con la definizione del potere istituzionale, il suo e quello che circola nei palazzi romani. Non sono iscritta al partito di chi crede che Renzi farà Cesare o Napoleone – per essere l’uno o l’altro ci vuole un po’ più di visione di quel che finora ci ha mostrato. Ma di nomine, sostituzioni di persone, battaglie per il controllo dei ministeri, alleanze e disalleanze politiche: di questo il giovane premier si è rivelato espertissimo. Riducendo di fatti il suo promesso nuovo inizio a un soffocante neo parlamentarismo, riportando in primissimo piano la politica politicista. Da cui il paese reale , a parte le sue visite a favore di telecamere, è stato di nuovo totalmente escluso.