di Alfredo Morganti – 29 maggio 2018
La democrazia, ovvero la mediazione politico-istituzionale tra poteri.
Che Salvini abbia ‘intortato’ 5stelle appare sempre più evidente. Che cercasse la ‘zeppola’ per andare al voto e intascare tutto e subito è persino marchiano. Gli attacchi a Mattarella sono dunque miopi, fuori luogo. Non solo perché ha esercitato prerogative costituzionali, ma perché gli occhi andrebbero puntati in un’altra direzione, ossia al tentativo di Salvini di preparare il terreno a un fronte sovranista, fase ulteriore del vecchio e datato centrodestra berlusconiano. Un tentativo che doveva passare per un incidente istituzionale, per una rivendicazione sovranista, per il presunto patimento di una ingiustizia democratica e quindi per elezioni subitissimo. Quando non c’è più personale politico esperto, lungimirante, ma giovanotti seduti su scranni per loro troppo alti, un furbo come Salvini ha buon gioco. Va ammesso.
Che doveva fare Mattarella? Stracciare la Costituzione per non darla vinta a uno che la voleva stracciare a sua volta? Segare l’albero su cui sedeva? Sfoggiare tafazzismo? Oppure esibire delle prerogative, un’autorità, mostrare coraggio politico, com’è stato? Io credo che abbia fatto bene come ha fatto. Un percorso furbo e dannato come quello di Salvini non poteva essere incontrastato, direi quasi agevolato, da mosse che di fatto sarebbero apparse adeguate e confacenti al suo rozzo populismo. Si parla tanto di crisi di autorità, ma poi perché, quando un’autorità si manifesta, ci si scandalizza e si grida al presidenzialismo, come ho letto da qualche parte? E dove sarebbe il presidenzialismo? Nel fatto che il Presidente abbia il potere esclusivo di nominare lui i ministri, pur senza proporli, perché questo compito spetta al premier incaricato? E questo sarebbe il presidenzialismo o vicepresidenzialismo di Mattarella?
C’è chi dice: il Presidente è andato oltre il suo ruolo. Ma guardate che non ha impedito la nascita del governo, anzi. Ha persino sin troppo sopportato lo stravolgimento di ogni prassi, quando è stato anteposto un contratto nato nel chiuso di una stanza alla designazione di un premier (tecnico, e dunque debole) per un governo politico – un premier venuto in ultimo, per ultimo, dopo i fuochi, e non prima, quale primo inter pares! In quel caso era forse criticabile, non quando ha esercitato il potere di nomina, dichiarando di non poter procedere con un ministro dell’economia dichiaratamente no-euro. E anzi ha persino suggerito di sostituirlo nella lista con un ministro politico, ancor più legittimato a interpretare il ‘contratto’ sottoscritto al Pirellone! Cos’altro doveva fare? Il notaio? Il passacarte? Dobbiamo, dunque, immaginare la Costituzione come una carta ben scritta, ancorché straccia?
Guardate che le autorità costituzionali non sono state messe lì per assistere e certificare. La ‘rappresentanza’ politica e la mediazione non sono un atto di notariato, e non implicano un immediato cortocircuito tra popolo e vertice dello Stato, ma un grado anche molto alto e sofisticato di mediazioni politiche e istituzionali. Sono queste ultime la forza di una democrazia moderna, non le grida e le pretese di un ‘vincitore’ purchessia. Non il silenzio e l’appiattimento in un angolo dei poteri legittimati. La democrazia regge nella sua forma parlamentare se i meccanismi e le articolazioni in campo (pesi e contrappesi) sono operanti nell’ambito delle norme, sennò collassa, come rischia oggi di avvenire e come Mattarella ha per ora impedito. È così che vince il populismo, che ha in odio queste articolazione e mediazioni, e vorrebbe tramutare di colpo le pulsioni popolari in forma di governo, le grida in norme, un capo popolo in un presidente, una minaccia in un fatto inconcusso, con effetti che non oso nemmeno immaginare. E con la sinistra divisa e spaesata. Peraltro.