di Alfredo Morganti – 28 maggio 2018
Il Presidente Mattarella, nella solitudine di un numero primo, sta impedendo che la politica prenda una pessima piega, quella di scaricare le serie difficoltà di un Paese in crisi democratica su qualche potenza esterna demo-masso-plutocratica, coprendo, in questo modo, le colpe e le responsabilità della classe dirigente nazionale, non solo quella politica ma anche quella imprenditoriale. Lo ha fatto e lo sta facendo utilizzando rigorosamente i poteri che la Costituzione italiana gli ha conferito. In questo senso possiamo dire che la Carta è davvero in buone mani. Il tradimento della Costituzione, se anche ci fosse stato, non sarebbe nel rigore quasi eroico di Mattarella, ma negli strappi a cui abbiamo già assistito in questi giorni, a partire da un programma che nasce in forma di contratto disincarnato da un premier, venuto per ultimo e da ultimo, e proseguendo nella designazione di un premier tecnico e inesperto a capo di un governo politicissimo.
Quello che è in atto nel Paese è uno scontro istituzionale senza precedenti, dove una forza politica (La Lega), egemonizzandone un’altra (5stelle), ha creato un pacchetto di mischia rabbioso al solo scopo di dare una spallata alle istituzioni, incontrando però sulla sua strada tutto ciò che è rimasto della democrazia rappresentativa italiana, ossia la Presidenza della Repubblica. Tutto questo facilitato dal vuoto espresso dai partiti e dalla classe politica, per primo il PD che ha scelto di sgranocchiare popcorn invece di occuparsi attivamente del casino attorno. Dopo aver scelto l’Aventino, aver rifiutato anche solo di andare a vedere le carte dei 5stelle, aver agevolato, presagito, sognato la saldatura di questi ultimi colla Lega, oggi da semplici spettatori pretendono persino di rivendicare alcunché, di sdegnarsi, di indicare prospettive. Si sono chiamati fuori nel momento della necessità istituzionale, lasciando solo Mattarella, ora ne paghino le conseguenze politiche.
La Costituzione è una cosa seria, non è materia da bar dello sport. Il fatto che qualcuno ‘abbia vinto’ (ma è da vedere in che termini) non è che autorizza lo scempio della Carta. Non è che basti ‘vincere’ per reclamare un governo purchessia. Non è che basti la vittoria elettorale (per di più in coabitazione con precedenti avversari) per poter dire ‘banco!’. La trasformazione di una ‘vittoria’ elettorale in un governo non è un fatto mediale o di buon senso oppure di semplice certificazione notarile. La Costituzione è, in questo senso, la vera e propria ‘grammatica’ generativa del potere democratico, il complesso di regole e di contrappesi che garantisce non solo il ‘vincitore’, ma anche chi ha perso le elezioni, e che ‘assicura’ lo sconfitto della permanenza di una carta comune, di un protocollo costituzionale che ci fa riconoscere come comunità, e non come un branco di predatori affamati di potere. Non dimentichiamo che non più tardi del 4 dicembre abbiamo difeso la Costituzione dall’attacco renziano, e che a votare ‘no’ c’era anche un certo Salvini.
La crisi italiana è anche crisi democratica, crisi di rappresentanza, del parlamento, dei partiti, ora è chiarissimo. Io ricordo sempre l’immagine della mucca in corridoio, perché è azzeccata e paradigmatica. Una mucca che oggi è diventata, intanto, un toro infuriato. Sarebbe il caso, allora, che la sinistra cominciasse a prendere questo toro per le corna, invece di fare il tifo per i populisti o adottarne lo stile scellerato in forme subordinate e codiste. Le chiacchiere, dunque, stanno a zero. Si è aperta una faglia politico-istituzionale inedita, e adesso si ha l’obbligo di stare in guardia, scegliendo una parte o l’altra. Tertium non datur. Parlo a LeU e non solo. Intanto grazie Presidente, grazie del suo coraggio, della sua tempra, della sua etica e della sua lungimiranza: quando dirigenti di questo livello avranno lasciato la politica si aprirà davvero un vuoto immenso e ne vedremo, purtroppo, delle belle. Capite ora perché la rottamazione, oltre che mancanza di rispetto verso le persone, è stata davvero uno schifo?