Massimo D’Alema parla

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Antonio Napoletano
Fonte: facebook

di Antonio Napoletano – 28 settembre 2014

Lo fa col “Corriere” e lo fa alla vigilia della direzione del PD, dopo la decisione del direttivo della Cgil per la mobilitazione e lo sciopero generale e la ‘sfiducia’ di Ferruccio ‘Caruccio’ De Bortoli, le ‘sole’ dello scarparo globalizzato Diego Della Valle, i sopravvenuti dubbi dell’Ingegnere, al secolo Carlo De Benedetti, e le lamentazioni dei Vescovi italiani.
Insomma, D’Alema parla, anzi riparla, dopo la solitudine (apparente, in verità) delle sue prime dichiarazioni a chiusura della partita europea, con efficace scelta dei tempi.
Il De Bortoli, che tanto ‘Caruccio’ poi non è – se, e in risposta a una velenosa difesa a oltranza del soave Menichini sul clandestino ‘Europa’contro l’editoriale di sfiducia di quattro giorni fa e alle proteste in volo dello stesso Renzi, dichiaratosi un giovine ‘boy scout’ prestato alla politica con un padre seguace di Zaccagnini e la Anselmi – fa del richiamo alle dichiarazioni di D’Alema il titolo che apre la prima pagina con uno squillante . <<D’Alema: Renzi istruito da Verdini>>.
La qual cosa, certo, non è ‘as usual’ da parte di un direttore del “ Corriere” nei confronti di un Presidente del Consiglio, al quale si è appena richiesto di spiegare gli ‘odori massonici’ emanati dal suo governo di ‘incompetenti’ più fedeli’ che ‘leali’.
Ma evidentemente così non la pensa Massimo D’Alema, che si presta alla bisogna regalando al direttore, in apertura delle sue dichiarazioni, la perla di una citazione gramsciana, nella quale si dice come a volte possa capitare:<< che i giovani si facciano istruire dagli anziani della parte avversa>>.
Un colto assist decisivo, subito raccolto dal Ferruccio ‘Caruccio’ De Bortoli, che lo ha spedito in porta, interpretando da par suo, la finezza dalemiana e chiamando così in causa il Verdini, factotum di Berlusconi come il massone, inquisito, affarista e istruttore del ‘Pupo’.
Non c’è che dire: due perfide intelligenze al lavoro, che già dal titolo di prima stanano il boy scout segretari/presidente dal frettoloso camuffamento di ingenuo giglio nel cesso della politica italiana.
Come sempre quello che dice D’Alema e come lo dice – al di la’ di questo duetto col De Bortoli – ci restituisce il senso di quella che è e rimane una delle poche teste pensanti della sinistra italiana, oggi.
Non è tutto merito suo, considerato il grado zero cui è giunta la riflessività di quella che con qualche approssimazione continuiamo a definire ‘sinistra italiana’. E questo anche perché a lui, al demerito di D’Alema, va imputata almeno una parte consistente della responsabilità di questo degrado entropico nel quale siamo scivolati senza che nessuno o qualcosa, finora, intervenisse a fermarlo.
E D’Alema, che ha sempre suscitato accanto a grandi amori, tanto e più grandi odi, come tutte le personalità di peso, ha da sempre il suo demone. Consistente in quella sua passione per il risiko politicista, dal quale spesso, troppo spesso, è condotto a dar troppa corda all’intelligenza dei propri disegni – non importa come e con chi intrecciati – piuttosto che a quel limite che ogni manovra ha a sinistra nel sentire comune e di massa.
Dunque, D’Alema parla e, come ormai va facendo in questo lungo postelezioni del Renzi che vince e stravince, le canta chiare al segretario/presidente. Ne smonta con vellutata eleganza ogni velleitaria argomentazione. Fa a fettine la strategia chiacchierina d’interpretazione del suo indecente semestre europeo. Ridicolizza le smargiassate ondivaghe e, soprattutto a fronte della statura low profile della Merkel, inchioda Renzi al pugno di mosche che ha acchiappato e , per l’evidenza stessa del suo ragionare, addebita, al suo dissennato comportamento l’en plein di posti di comando ottenuti dal PPE., ben oltre il responso delle urne. Risultato: <<I conservatori hanno 14 commissari, i liberali 5, i socialisti 8. Insomma, il predominio conservatore è impressionante>> e aggiunge sornione:<< Temo che tutto ciò non possa non avere effetti sulla politica dell’Unione, tanto e vero – e qui porta l’affondo – che c’è grande malcontento nel gruppo socialista a Bruxelles>>.
Come dire: ti sei sputtanato in ogni dove, non porti a casa nulla e in più il gruppo di cui fai parte ti fa responsabile di questa debacle! A sostegno di questa interpretazione, D’Alema, di fatto, imputa a Renzi, il rifoncolarsi degli attacchi a Mario Draghi, non solo in funzione di interdizione nei confronti del governatore della BCE, ma come un tuttuno con <<l’offensiva conservatrice in Europa>> che riguarda la BCE e il modo di condurla, ma anche le velleità del presidente della nuova Commissione, Juncker, di gestire in autonomia i 300 miliardi di euro promessi per gli investimenti a partire dal 2015. <<Questo è il centro dello scontro politico in Europa>> dice D’Alema << altro che articolo 18>>.
Per questo precisa. <<C’è persino il sospetto che si cerchi uno scontro con il sindacato e – attenzione perché qui la cosa si fa grossa –con una parte del Pd per lanciare un messaggio politico all’Europa e risultare così affidabile a quelle forze conservatrici che restano saldamente dominanti>>. Il che se abbiamo compreso bene significa che D’Alema accusa Renzi di aver progettato a freddo una spaccatura nel PD, facendo dell’art. 18 un feticcio sulla base del quale conquistare lo scalpo di ciò che residua della sinistra interna, facendo di questo la prova provata per le destre europee che il suo gioco vale la candela.
Sarebbe questo il suo ‘compito a casa’. E in linea con questa interpretazione, D’Alema da una qualche corposità alla linea ‘emendatrice’, quella dei sette, otto punti, elaborata dalle sinistre narcolettiche riunite, mettendola, cioè, al centro dello scontro politico europeo. Per cui da un lato si giustificherebbero gli ‘emendamenti’ e con la loro realizzazione una sorta, di indiretta vittoria sulle intese, esplicite e/o implicite, tra Renzi e la Merkel. Un prova di ‘ragionevolezza’, dunque, delle sinistre riunite che, non solo conterrebbe il danno in casa, ma, in qualche modo, eviterebbe ai guardiani dell’ortodossia rigorista a senso unico, di usare Renzi in ogni modo: o come esecutore di quei ‘compiti a casa ‘ o come curatore fallimentare del terzo paese manifatturiero d’Europa dopo il quale ci sarebbe il diretto intervento del tribunale della Trojka.
Ma, c’è sempre un ma in questi casi, questa argomentazione appare anche come una sorta di sbandieramento oggi della propria ragionevolezza a futura memoria domani. Quella dinnanzi a un corpo elettorale e a quanto residua di iscritti e militanti, se davvero si dovesse cozzare contro l’incapacità del Chiacchierino a fare politica su una tastiera meno rozza di quella su cui finora ha pestato la sua musica, magari incalzati da elezioni anticipate e la necessità di farsi partito.
Rimane, comunque, come sospesa ogni e qualsiasi approfondita comprensione – almeno in pubblico – sull’origine di questo disastro politico-culturale e del tutto insoddisfacente il modo col quale D’Alema ricostruisce, e sia pure nella necessaria rapsodicità di un’intervista, le incomprensioni e le vere e proprie abiure che hanno condotto nel tempo a questa ‘liquidita’ del mercato del lavoro e alla semiparalisi sindacale.
Su questo, è evidente, occorrerà molto, ma molto più di un’intervista.

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