Fonte: La stampa
Massimo Cacciari: Non ha vinto Trump, ha perso la sinistra
Nessuno si attendeva una vittoria di Trump tanto netta, a dispetto delle vicende giudiziarie e dello “stile” del personaggio. Sarebbe cosa buona e giusta che i sedicenti democratici-progressisti in giro per l’Occidente comprendessero che nell’orientare il voto dei loro concittadini pesano fattori più consistenti, più strutturali.
Lasciassero perdere gli elementi retorici e cercassero di capire che cosa “persuade” dei Trump, dai quali, di volta in volta, vengono sonoramente sconfitti. È sempre bene prendere sul serio i propri avversari, collocarli nell’onda lunga di una storia comune, interpretarli come segno profondo di un’epoca. Così si impara anche da loro e le sconfitte non si trasformano in inutili disastri.
Posta la domanda, costantemente rimossa dalle retoriche su democrazia e sovranità popolare, non si è però neppure sfiorata la questione. Perché votano i Trump proprio coloro che più dovrebbero detestarne strategia e intenzioni? Perché votano i Trump immigrati nei cui confronti costoro invocano la deportazione? È una lunga storia, che se i sedicenti democratici-progressisti non ripercorreranno con spietata autocritica suonerà definitiva molto più della loro condanna, assisteremo alla conclusione della giovane avventura delle democrazie occidentali, come le abbiamo sperimentate, nelle loro diverse forme, nel corso del secondo dopoguerra. Il vecchio modello di welfare non poteva reggere: il suo modello si fondava su irripetibili ragioni di scambio del tutto favorevoli ai Paesi industrializzati dell’Occidente e su un intervento pubblico finanziato da deficit crescenti e una pressione fiscale concentrata sul lavoro dipendente. Le vecchie culture popolari e socialdemocratiche non sono riuscite a elaborare alcuna strategia alternativa, alcuna riforma delle strutture istituzionali e amministrative capaci di garantire nuove risorse. Sono fallite sul terreno che era tradizionalmente il loro: una efficace politica ridistributiva. Settori sempre più ampio di popolazione a reddito fisso, piccole imprese, lavoro dipendente si sono trovati nel giro di una generazione senza alcuna rappresentanza né politica né sindacale, a doversi accontentare di questa promessa: bisogna allargare la torta perché il benessere continui, la torta la sanno allargare soltanto i grandi gruppi economico-finanziari, aspettiamo che lo facciano e poi vedremo…. La narrazione è stata sostanzialmente accolta dai “democratici”; alla leggenda che smantellamento dello Stato sociale e riduzione di imposte a prescindere da efficacia e giustizia del sistema fiscale fossero premessa di ogni sviluppo, al modello neo-liberista, anche nelle sue versioni più estreme, ci si è arresi prima, a volte, di combattere.
Ultimo e più doloroso capitolo. È del tutto evidente che condizioni di guerra sull’orlo della catastrofe contrastano con gli interessi più elementari del “popolo sovrano”, non dei Musk. Assistiamo al paradosso di un Trump che aumenta i suoi consensi anche promettendo di indossare le vesti del pacificatore, mentre quelle forze che si richiamavano, una volta, magari ai più astratti pacifismi, oggi non muovono un dito né avanzano una concreta proposta di mediazione per le tragedie in atto. Eppure proprio questo sarebbe nell’interesse della propria nazione, degli Stati europei in primis. Rovesciamenti simili non possono essere l’effetto di cause contingenti. Sono segni di un salto d’epoca nel quale le democrazie dell’Occidente traballano nelle fondamenta. Capirlo è il primo passo per correre ai ripari.