Massimo Amato: “Dobbiamo cambiare l’Euro, se vogliamo salvare l’Europa”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Linkiesta
Fonte: Linkiesta

 

Intervista a Massimo Amato su Linkiesta – 21 maggio 2019

Il professore di storia economica alla Bocconi di Milano è candidato con La sinistra alle elezioni europee nel collegio nord ovest: “L’euro ha stritolato quelli che facevano bene i compiti, permettendo l’arrivo di incompetenti e avventurieri”

«Il miglior amico del peggio è il meno peggio». Massimo Amato è un professore di storia economica alla Bocconi di Milano, dove tiene un corso intitolato “Storia, istituzioni e crisi del sistema finanziario globale”, ma del bocconiano ha poco o nulla: keynesiano fino al midollo, convinto sostenitore delle valute complementari, esperto del franco Cfa e di valute africane, è uno degli economisti più eterodossi d’Italia. Soprattutto, è un convinto sostenitore dell’idea che con le monete si faccia politica, e che le politiche monetarie possano decidere il destino delle nazioni. Per questo, pur da europeista, è convinto della necessità di cambiare le regole economiche che regolano l’Unione Europea, e l’Eurozona in particolare. E per questo ha deciso di candidarsi alle elezioni europee, nella circoscrizione nord ovest, per la lista La Sinistra: «Oggi l’euro è percepito come una specie di museruola ai politici – spiega a Linkiesta -. Il paradosso è che ha stritolato quelli che facevano bene i compiti, permettendo l’arrivo di incompetenti e avventurieri. Io vorrei semplicemente che l’Unione Europea smettesse di essere miope e autolesionista».

In cosa consiste questo autolesionismo, professor Amato?
Consiste nel fatto che l’Unione Europea, da quando è nata, pensa di salvarsi costruendo dei meccanismi che impediscano ai politici eletti di fare “cavolate”. Questo è l’Euro dei parametri di Maastricht: una macchina che impone vincoli, insensati e molti difficilmente rispettabili. Col risultato che le “cavolate”, nel corso degli anni, si sono moltiplicate, e da tutti le parti: l’Italia, per esempio, che al primo refolo di espansione si è negoziata un bel deficit al 2,04%, non solo inferiore ai massimi, ma soprattutto tutto volto a finanziare interventi in spesa corrente come il reddito di cittadinanza e, ancor peggio, quota 100.

Sta dicendo che Di Maio e Salvini sono colpa dell’Euro?
È la storia dell’euro a parlare: da quando esiste, l’Italia è passata dal 100% per cento debito Pil al 132%. Il motivo è semplice: grazie alle possibilità di finanziamento sui mercati finanziari l’euro ha consentito di fare deficit importanti e di indebitarsi sempre di più. Salvo presentare il conto con la crisi.

L’Euro è un incentivo all’indisciplina fiscale, quindi? Eravamo abituati a pensare il contrario…
Dico che la “disciplina” è stata largamente disattesa da tutti, e non solo sul piano fiscale: l’euro ha reso possibile un’indisciplina commerciale che prima non era possibile.

Come mai?

Semplicemente perché c’era la valvola di regolazione della svalutazione. Mi spiego: in un sistema di monete nazionali la Germania non avrebbe potuto accumulare un enorme surplus commerciale come quello che ha accumulato in questi anni. Banalmente, il funzionamento dei mercati dei cambi avrebbe imposto all’Italia di svalutare e alla Germania di rivalutare.

E oggi non può.
Oggi c’è una moneta unica, che si fonda sui parametri di Maastricht, che vigilano (vigilerebbero…) sull’indisciplina fiscale, ma non c’è nessun parametro che vigili sull’indisciplina commerciale, che è una cosa altrettanto pericolosa.

Però è un po’ diverso, su. La Germania è una potenza commerciale globale, compete con Usa e Cina.
Non è che la Germania sia forte solo grazie all’Euro: c’è sempre stata una grande capacità tedesca di esportare e di far crescere la sua produttività. Ma la svalutazione reale da parte tedesca ha messo fuori mercato l’Italia in parecchi Paesi e questo ci ha fatto soffrire non poco, tant’è che il nostro export è rimasto al palo per anni, già prima della crisi del 2008.

Poi però è ripartito e oggi sostiene tutto il peso della nostra misera crescita economica. Anche grazie all’interscambio con la Germania.
Sì, ma a prezzo di una forte riduzione delle potenzialità della domanda interna. Il mercato interno europeo si è ridotto a causa della deflazione imposta dall’euro, e quindi la crescita del nostro export è una crescita “al ribasso”.

Però è un fatto che altri hanno investito e noi no. Che altri hanno sostenuto l’innovazione tecnologica e noi l’abbiamo subita.

Vero. Io dico però che ci sono stati dei meccanismi di aggiustamento che sono stati usati in modo molto parziale, per non dire che non sono stati usati mai.

Tipo?

Una moneta davvero comune è una moneta che a fronte di squilibri commerciali interni alla zona euro impone a tutti, creditori e debitori, di essere solidali, e di contribuire all’aggiustamento degli squilibri: del resto era questo il motivo per cui siamo ci siamo messi assieme fin dall’inizio dell’avventura europea. Essere solidali, cooperare, e non per motivi moralistici, ma per solide ragioni economiche. Altrimenti che senso avrebbe l’Unione Europea? Se dobbiamo solo competere senza cooperare, questo è già un modo non per evitare, ma per farsi la guerra.

Però non può chiedere all’operaio di Düsseldorf di pagare felice la pensione al signor Dimitrios o lo stipendio ai forestali di Caltanissetta.
Sono d’accordo con l’operai di Düsseldorf. Quello è assistenzialismo, non cooperazione. Ma una mutualizzazione dei costi sociali della disoccupazione è un’altra cosa, e si può fare. Così come avrebbe senso una politica di alti salari in Germania, che darebbe benessere all’interno a contribuirebbe al rilancio della domanda in Europa.

E allora cosa c’è di sbagliato nella disciplina di bilancio?

Volere la botte piena e la moglie ubriaca.

Cioè?

Cioè che ai tedeschi non vada bene nulla dei bilanci pubblici di Grecia e Italia, ma loro possono permettersi di fare tutto il surplus commerciale che vogliono, perché hanno paura di lasciare quote di mercato alla Cina e degli Stati Uniti. Peraltro, avendo tenuto artificialmente basso il valore dell’euro, l’Europa ha sovvenzionato le esportazioni tedesche. L’Europa è in surplus con l’esterno, e quindi l’euro dovrebbe apprezzarsi. Se l’economia non è un’opinione.

Veniamo al punto, però: come se ne esce?

La mia idea è che ognuno debba fare la sua parte.

Ok, quindi?

Prima cosa: facciamo rispettare un altro parametro, non deciso a Maastricht, ma nella Procedura per gli squilibri macroeconomici: un tetto al surplus, e una sanzione in caso contrario, in modo che ci sia un incentivo a che i saldi commerciali, mediamente, devono essere in pareggio. Senza il vincolo esterno degli squilibri commerciali, si posso più facilmente liberare risorse per gli investimenti senza che controeffetti esplosivi. Ad esempio, la Banca Europea per gli investimenti potrebbe emettere bond per somme importanti da destinare agli investimenti in tecnologie green ed energia. Un asset sicuro, al riparo dalle aspettative negative dei mercati.

Una specie di camera di compensazione delle bilance commerciali, pare di capire. Tutto il surplus tedesco diventa investimento europeo, in estrema sintesi.
Sì, una camera di compensazione come quella che operò tra il 1950 e il 1958 e che diede ottimi risultati. Certo non tutto il surplus tedesco, ma una parte importante. Ciò che conta sono le tendenze. Una re-immissione dei surplus in circolazione è utile, oltre che giusta. Che l’Europa abbia bisogno di ripartire con le politiche fiscali “aggressive” ormai lo dice addirittura Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale: vogliamo dargli retta anche oggi, dopo che l’abbiamo osannato quando tesseva le lodi dell’austerità e della riduzione del costo del lavoro? Ad esempio, servono politiche di green investment, perché ormai le rinnovabili stanno diventando una parte importante della produzione. La BEI andrebbe potenziata in modo da farla diventare il driver di una ripresa degli investimenti in Europa. E aspettare non serve a nulla. Se non a far trionfare definitivamente i sovranisti. Che i problemi non li vogliono risolvere, ma anzi hanno bisogno di alimentarli. Semplicemente perché verrebbe meno la loro base elettorale.

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