Fonte: Il Simplicissimus
di Anna Lombroso per il Simplicissimus
Gli stilisti più à la page dicono che a Roma le collezioni autunno inverno impongono il camouflage, le fantasie militari, i tessuti mimetici. Se non li sfoggi è meglio che resti a casa. Se li indossi potrai mescolarti ai 500 uomini dell’esercito impegnati a difendere la Città eterna da svariati pericoli: Isis, vandali, tifosi ugualmente intemperanti, ma, si suppone, dimostranti intenzionati a raggiungere Termini, operai disfattisti, insegnanti che non mostrano il doveroso entusiasmo nei confronti della buona scuola di regime, forse perfino irriducibili parlamentari scontenti e indisciplinati.
Eh si dopo il sacrificio della Barcaccia è proprio venuto il momento che a Roma regni l’ordine a tutti i costi, anche a prezzo della necessaria rinuncia a quella “sicurezza” che dovrebbe invece essere fatta di libertà, di tutela dei diritti, di equità e salvaguardia della democrazia. A mostrare la loro generosa abiura di competenze e prerogative che la Costituzione attribuisce ai loro ruoli istituzionali, ministro dell’Interno e sindaco abdicano ben volentieri: le forze dell’ordine non bastano, la polizia municipale nemmeno, ambedue le categorie ormai stremate da ricatti e tagli. Servono i militari, a pattugliare strade, con preferenza per il quadrilatero della moda, per il centro abitato da ricchi proprietari o da affittuari privilegiati, per i palazzi del governo, serve l’esercito a mantenere con rigore e fermezza quella disposizione d’animo favorevole all’approvazione dei benpensanti, al consenso concorde intorno al disegno di una pacificazione ubbidiente ai voleri del regime, ottenuta con mano ferma, con l’inevitabile riduzione dei diritti, con quel tanto di repressione obbligatoria in tempi di crisi, quando tutti devono concorrere a piegarsi all’egemonia della necessità in nome della sopravvivenza.
In verità a Marino, 500 militari a presidio di una città ferita da un po’ di idioti scalmanati e bestiali, ben più che dalla consolidata presenza nei suoi gangli vitali della mafia, dove la corruzione la fa da padrone, al servizio dei padroni e padrini di sempre, speculatori, costruttori, cementificatori, afflitta da mali inestirpabili: rifiuti, traffico, periferie abbandonate e esplosive, aziende di servizio pubblico occupate da clientele incompetenti e inefficienti, non bastano. Ne vuole di più, la Capitale ne merita di più. in attesa di ricorrere come nella tradizione imperiale a mercenari, truppe a pagamento e vigilantes, come esige il primato del privato, unico, parrebbe, abilitato a certificare performance di vigore, efficacia, capacità e dinamica organizzazione.
Eh si, Marino, che ci aspettiamo di veder sfoggiare alla prossima visita di James Bond un’appropriata divisa da generale con pennacchi, mostrine e alamari, è il sindaco della Capitale e uno degli uomini di punta del partito dei sindaci, grazie al recupero dalle tenebre dell’incompetenza e dell’arruffone procedere per tentativi e approssimazioni grazie allo scandalo di Mafia Capitale, mica uno di quegli sceriffi buoni solo a recintare panchine, a sguinzagliare ronde di pensionati padani a mettere in riga temibili extracomunitrari, a esercitare pedagogica discriminazione sui bus o nelle mense scolastiche, a tirar su muri a difesa dei probi cittadini. “Roma è “una priorità nazionale sul tema dell’ordine pubblico e della sicurezza che dovrà essere ulteriormente potenziata attraverso una legge che riguardi specificamente il tema del “contrasto al degrado urbano e il diritto alla vita sicura nelle città italiane”, hanno concordato quei due, dimentichi che non servono leggi speciali, basterebbe applicare quelle che ci sono e rispettarle, compresa quella morale, sancita dalla Costituzione, che parla di diritto al lavoro, alla libera espressione, alla tutela e al godimento dei beni comuni, di tutti e per tutti ugualmente inalienabili e inviolabili.
Mentre invece sono le città il teatro dove si mette lo spettacolo osceno delle più tremende e inique disuguaglianze, dove si consuma il rito inarrestabile del respingimento di tanti verso la povertà, l’emarginazione, l’esclusione, che pare che la miseria crescente sia una delle condizioni di esistenza in vita dell’imperialismo finanziario globale, grazie a un immane serbatoio di schiavi al servizio della sua salvezza. È là che si misura quella che è stata definita la “brasilizzazione” della classe operaia e del ceto medio occidentale, la rottura del “patto” che ha retto il Welfare State nel secondo dopoguerra, il drastico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei salariati e la progressiva perdita di diritti e garanzie sociali, con il configurarsi di innumerevoli Terzi Mondi interni, inquietanti e minacciosi, da controllare e reprimere nel timore che si avveri la profezia di una perenne guerra mondiale a bassa intensità alimentata dalla collera del proletariato urbano, delle periferie sempre più simili a bidonville, a favelas, a slums, di banlieu criminalizzate che si espandono intimidatorie e assediano palazzi, quartieri residenziali, luoghi del potere, dei soldi più o meno materiali, dei commerci, delle ville fortificate di vecchi e nuovi cleptocrati.
Altro che Jobs Act, anche il nostro governo nel suo piccolo ha trovato la cura per la disoccupazione. Mica solo VeryBello, mica solo Rome & You: Be cool and join the navy, recita il manifesto per chiamare alla leva professionale in Marina giovani che, come si diceva in tempi più bonari e domestici vogliono “diventare tecnici e girare il mondo”; “Devi solo scegliere
Non ci importa se sei Uomo oppure Donna; da noi vale quello che vali e che ci puoi dare” proclama il sito dell’esercito che sciorina accattivanti immagini di “acquisitori obiettivi”, di “ranger”, di “trasmettitori”, insieme alle tradizionali, rassicuranti figurine di bersaglieri e artiglieri. Finché c’è guerra c’è lavoro, anche se non c’è più speranza.