Marinaleda tra utopia e realtà. Reportage da una città ribelle

per Gabriella
Autore originale del testo: Alessandra Cucchi, Martina Pasini
Fonte: micromega
Url fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/marinaleda-tra-utopia-e-realta-reportage-da-una-citta-ribelle/

di Alessandra Cucchi e Martina Pasini, 23 marzo 2017

Nel 1991, al grido di “la terra è di chi lavora”, il rivoluzionario e insegnante Juan Manuel Sanchez Gordillo, ottenne dalla regione andalusa l’esproprio e l’uso di 1200 ettari di terra. Dodici anni di lotte e occupazioni hanno trasformato il paese in un ‘pueblo’ socialista. Un’esperienza descritta però dai media con superficialità: case a 15 euro, servizi per tutti e zero disoccupazione. Dove finisce l’utopia e inizia la realtà?

Partito da Siviglia, il pullman serpeggia tra i campi di ulivi che si perdono nell’orizzonte. “Scusi, per Marinaleda?”, chiediamo gentilmente all’autista. Immediatamente un brusio di voci si diffonde tra gli altri passeggeri e il nome di quel piccolo pueblo andaluso salta di bocca in bocca.


Le porte si aprono e con i nostri zaini in spalla ci troviamo nel cuore della Spagna meridionale: la ‘terra nativa del ribelle’. Un profumo di olio di frantoio aleggia nell’aria e le strade, costeggiate da aranci in frutto, sono deserte, fatta eccezione per qualche signora anziana che spazza davanti alla porta di casa.

Ciò che contraddistingue Marinaleda da qualsiasi altro pueblo spagnolo, ma anche europeo, è la sua realtà socialista, frutto di una serie di lotte, occupazioni e scioperi della fame, iniziati a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta e guidati dall’ora giovane insegnante Juan Manuel Sanchez Gordillo, carismatico membro del SOC (Sindacato dei lavoratori agricoli).

Al grido di “la terra è di chi lavora!”, il rivoluzionario di stampo radical-socialista riuscì nel 1991, dopo dodici anni di resistenza, a ottenere per la comunità l’uso di 1200 ettari della tenuta El Humoso, di proprietà del duca dell’Infantado. La Giunta d’Andalusia espropriò parte delle terre del duca, pagandole a prezzo di mercato, e le cedette a gruppi di persone organizzate in cooperative. Gordillo, eletto alcalde per la prima volta nel 1979 e tutt’ora in carica, ha costituito una democrazia diretta perfettamente funzionante, basata su un’ideologia fortemente anti-capitalista e su un solidissimo sistema di welfare. Tutte le questioni sono discusse in assemblea: tassazione, questione abitativa, distribuzione del lavoro sono rimandate alla decisione del popolo che vota per alzata di mano.

“La cooperativa è il motore economico del pueblo e il nostro scopo è stato fin dall’inizio quello di permettere al maggior numero di persone di lavorare”, spiega Juan, cooperativista. “Il personale viene organizzato in turni, gestiti da un gruppo di cinque persone. Mettiamo al primo posto l’occupazione, poi guardiamo al bilancio della cooperativa: per esempio, cerchiamo di ridurre al minimo l’utilizzo delle macchine nella coltivazione dei prodotti in cui è possibile farlo.”.

Lavorare di meno, ma lavorare tutti. Ma quando chiediamo se è possibile avere dei dati sul volume della produzione o il numero dei lavoratori e dei disoccupati ci vengono negati. “I dati ingannano”, risponde Juan.

Perno del progetto politico di Gordillo è poi il diritto alla casa. “A Marinaleda è nato un progetto di auto-costruzione delle case, una soluzione all’emergenza abitativa”, ci racconta Juana, consigliere comunale. “Il comune mette a disposizione gratuitamente il terreno e facilita l’accesso ad un architetto e a un muratore. Per quanto riguarda i materiali, viene fatto un accordo con la Giunta Andalusa: il denaro prestato passa attraverso il comune e arriva all’auto-costruttore che, una volta costruita la sua casa con l’aiuto della comunità, dovrà restituire pagando all’incirca 15 euro al mese. Mio figlio ha 27 anni e sta già costruendo la sua casa”, aggiunge fieramente.

A raccontarci la sua esperienza con il programma di auto-costruzione è Antonio, trentenne marinaleño. “Vengono vendute case agli stranieri, ma non tutti gli abitanti di Marinaleda ne possiedono una, come viene sbandierato in giro. Io, per esempio, che non sono sposato e non ho figli – continua – sono anni che inoltro la richiesta al comune per ottenere il nullaosta per la costruzione di una casa sul mio terreno, ma non me l’hanno ancora dato. Allora l’ho costruita dentro dei container: la mia istallazione artistica sta venendo benissimo” (ride). E’ una provocazione che pesa parecchio, visto che “il diritto alla casa è uno dei diritti su cui non è accettabile speculare”, come enuncia un fascicolo, di qualche anno fa, che assomiglia più a un opuscolo di propaganda politica che ad un dépliant illustrativo sul funzionamento del pueblo. I giovani sono molto critici nei confronti del sindaco e del sistema, almeno quelli che ci hanno aperto la porta della loro casa: parlano di piccola dittatura, di mancanza di trasparenza nei conti e di una certa discrezionalità nella distribuzione delle ore di lavoro. Ma forse un padre è sempre visto come un dittatore dai figli più giovani.

“Chiunque in assemblea proponga qualcosa di minimamente differente, rispetto a quelle che sono le idee del sindaco, viene bollato come incompetente: e si sa quanto, in un paese piccolo, certi giudizi contino più di altri”, ci confida Eladio, nato e cresciuto a Marinaleda, dove vive affittando alcune camere della sua casa. Il livello di partecipazione giovanile sembra diminuire di anno in anno. “Questo succede un po’ dappertutto: a Cuba, in Venezuela, nell’ex-Urss. Credo sia dovuto al fatto che la gente che lotta davvero per qualcosa, alla fine lo fa suo: noi abbiamo combattuto per una terra che è diventata parte di noi”- giustifica Juan. “La generazione dopo ha trovato tutto pronto: i giovani non si rendono conto dello sforzo che hanno fatto i genitori per avere quello che hanno, molti vogliono solo un cellulare o una televisione migliore, anche qui alla fine è arrivato il consumismo”.

Ma non tutti la pensano come Eladio, altrimenti non si spiegherebbe il settanta per cento dei voti portati a casa dal CUT, il partito del sindaco, nelle ultime elezioni. Chi ha lottato con lui, lo chiama padre, maestro, non certo dittatore.

“L’alcalde, nonostante l’esito continuamente favorevole delle elezioni, dovrebbe mollare la sedia a qualcun altro”, contesta invece Antonio. Ma a chi, questo non lo dice.

A pensarla diversamente è però il cooperativista Juan: “Se dovesse essere eletta un’altra persona, al posto di Gordillo, anche se fosse del pueblo, resterebbe comunque nell’ombra di Juan Manuel. Non si diventa leader, si nasce: un leader ha carisma, una certa visione delle cose e un certo modo di farle. L’alcalde ci ha insegnato quali sono i nostri nemici e che cos’è il socialismo”. Dello stesso parere è Juana: “Una guida è sempre necessaria ma anche l’appoggio popolare è fondamentale, sono due cose che non possono essere disgiunte. Juan Manuel è un visionario: per noi è stato come un padre, soprattutto perché non c’è distanza tra quello che dice e quello che fa. Non è il tipico politico che parla bene e poi ne approfitta: lui vive come noi, nel nostro stesso modo”.

La diffidenza, se non addirittura l’avversione dei più giovani nei confronti del sindaco è causata dai quasi quattro decenni di governo. Il suo progetto politico, nato come movimento, ha prima aderito ad un sindacato, le cui personalità di spicco hanno successivamente fondato un partito politico che, dal 1979 ad oggi, è a capo della politica di Marinaleda: il sindaco e i consiglieri sono diventati una sorta di oligarchia, esattamente la negazione delle origini del progetto. Poco conta la retorica e il buon funzionamento del welfare: il movimento che, da contro-potere, si istituzionalizza è destinato, per sopravvivere, a fare propri quegli schemi politici contro i quali aveva combattuto in precedenza. E poi c’è la questione del ricambio politico: elemento di primo piano quando si parla di salute della democrazia.

Dicono che il sindaco sia pazzo (o depresso): a volte le due cose possono essere molto prossime, come un effetto alla sua causa. Forse ha capito di aver sbagliato qualcosa, e che ormai è troppo tardi per rimediare: la politica, le occupazioni, le lotte hanno riempito totalmente la sua vita e hanno trasformato quella degli abitanti del pueblo (sicuramente in meglio).Tuttavia, l’impressione è che non si sia investito del tempo, o non si sia voluto farlo, per formare una classe dirigente capace di portare avanti il progetto Marinaleda, rivisto e aggiornato, e che quindi la futuribilità del progetto stesso coincida con il tempo e la volontà del sindaco.

Gilles Deleuze ne “L’Anti-Edipo”, sosteneva che “nessuna teoria può svilupparsi senza incontrare una specie di muro, ed è necessaria la pratica per sfondarlo”; chissà se Juan Manuel Sánchez Gordillo conosce “L’Anti-Edipo”. E’ una delle domande che ci sarebbe piaciuto fargli, se avessimo avuto la possibilità di incontrarlo. Dopo tre ore ad aspettare nell’atrio del comune, mentre aveva un appuntamento con l’architetto, mentre doveva parlare con un impiegato di cose urgenti e mentre è sparito, dicendo che sarebbe tornato subito. Irraggiungibile al telefono, la segretaria ci consiglia di cercarlo a casa, dandoci delle indicazioni molto vaghe sull’aspetto dell’abitazione, in un utopistico paese in cui tutte le case sono uguali: bianche con il bordo giallo, frutto del programma di auto-costruzione e il sindaco è l’uomo che non c’è.

“Cosa succede?”, ci chiede. “La stiamo aspettando”, rispondiamo. Il primo e ultimo sguardo che il sindaco ci ha rivolto non è stato dei più amichevoli: fermo e inquisitore.

Non si può dire invece la stessa cosa della sua andatura: zoppica, le lunghe braccia penzolano mollemente lungo la schiena, coperta da un maglione rosso, che a sua volta cade su dei pantaloni di velluto scuro. Non ha la kefiah al collo: per la nostra immaginazione di rivoluzionarie nostalgiche è un duro colpo.

Dopo il successo ideologico di Marinaleda degli anni Novanta, ora la situazione sembra immobile: “Prima o poi il nostro progetto finirà perché ha bisogno di molte persone che vadano nella stessa direzione”, dice Juana. “Per far si che tutto questo continui, bisogna essere qui presenti e viverlo giorno per giorno. Gli anziani iniziano a essere stanchi, i più giovani se ne vanno e quelli che restano sono davvero pochi, e non tutti vanno d’accordo tra di loro. Spero che passino molti anni prima che tutto finisca però, se le cose vanno avanti cosi, temo che il progetto muoia, o che venga portato avanti “all’acqua di rose”.

Così la partecipazione dei più giovani cade a picco e i militanti rimasti sono coloro che appartengono al CUT e che sono vicini al Comune. “In passato abbiamo fatto tanto, ma aspirare al meglio è sempre possibile, anche se questo dipende principalmente dalla gente”, continua più speranzoso Juan.

La base sociale, cioè il potere popolare, fondamento e motivo delle lotte fruttuose degli anni passati, sembra ormai latitare: i padri vogliono garantire ai figli una vita meno dura della loro e molti sono andati a vivere in città e tornano al pueblo solo per le vacanze.

Marinaleda assomiglia a un sogno realizzato: le radici ben ancorate nel passato che non sembrano avere però la forza per proiettarsi nel futuro. Che ne sarà “dell’utopia verso la pace” di quel pueblo tutto bianco illuminato dai raggi di un sole rosso fuoco, illustrato nello stemma della città?

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