Manuela Sáenz Aizpuru: la passione rivoluzionaria

per Maddalena Celano
Autore originale del testo: Maddalena Celano

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Manuela Sáenz Aizpuru: la passione rivoluzionaria

Recentemente è stato pubblicato il nuovo saggio storico di Maddalena Celano (Responsabile Esteri di Convergenza Socialista), dall’Editore Porto Seguro, “Manuela Sáenz Aizpuru”, con i contributi di Manuel Santoro, Maria Consiglia Santillo, il prof. Diego Battistessa, Kris Gonzáles, Yoselina Guevara Lopez ed Eduardo Kaviedes Ferrin. Vi proponiamo un “assaggio” dell’ opera saggistica.

Lo sguardo e la passione libertaria

Introduzione alla figura di Manuela Sáenz

Manuela Sáenz de Thorne (1797-1856), patriota ecuadoriana, popolarmente conosciuta come ‘Manuelita’, fu compagna sentimentale di Simón Bolívar, detto il Libertador. Nata a Quito, sposò l’inglese James de Thorne. Dopo la vittoria di Pichincha (1822) e il consolidamento dell’indipendenza dell’Ecuador, conobbe Simón Bolívar, si innamorò di lui lasciando il marito. Accompagnò Bolívar in numerose campagne e gli salvò la vita nell’assalto subìto al Palazzo San Carlos a Bogotá (1828). Questa azione le valse il soprannome di “Libertadora del Libertador”. Dopo la morte di Bolívar (1830) fu esiliata in Giamaica e, successivamente, in Perù. Nel piccolo porto peruviano di Paita sopravvisse vendendo dolci e tabacco. Lì morì nel 1856 durante un’epidemia di difterite.

Manuela Sáenz ha riportato grandi meriti storici, politici e militari. Era certamente una donna illuminata e alcuni parlano della sua condizione di combattente per i diritti delle donne, oltre ad aver partecipato alle battaglie di Pichincha e Ayacucho.

Ciò che risulta rilevante per quella che è stata denominata come “religione civile bolivariana” è ciò che ora citeremo e trascriveremo. Negli eventi dell’ingresso trionfale di Simón Bolívar a Quito, il 16 giugno 1822, Manuela Sáenz de Thorne vide per la prima volta il Libertador, in un episodio da lei narrato nel suo diario di Quito:

“Mentre si avvicinava al gradino del nostro balcone, presi la corona di rose e rametti di alloro e la lanciai in modo che cadesse davanti al cavallo di lui; ma la sorte volle che atterrasse con tutta la forza della caduta, sul giubbotto, proprio sul suo petto. Arrossii per l’imbarazzo, perché il Libertador alzò gli occhi e mi scoprì con le braccia ancora protese in tale atto; ma lui sorrise e mi salutò con il cappello azzurro che portava in mano”[…].

Manuela e Simón Bolívar divennero amanti e compagni di lotta per otto anni, fino alla morte di lui nel 1830. Essere stata l’amante di Bolívar e il fatto di averlo salvato dall’attentato che gli organizzarono a Bogotá, il 25 settembre 1828, sono i due aspetti che oggi si esaltano. Fu sempre una difensora della persona del Libertador e dei suoi ideali, la sua fedeltà fu assoluta. Lo slogan (o il mantra) di Manuela fu: “Ho adorato Bolívar da vivo, lo venero da morto”. Una donna coraggiosa. Con un indomito spirito libertario, Manuelita Sáenz, con il suo atteggiamento, rivoluzionò tutte le convenzioni sociali dell’America Latina, nei tempi di lotta per l’Indipendenza. L’intelligenza e l’integrità di Manuela sono stati ammirevoli anche in politica, dove si occupò della composizione geopolitica e strategica dei nuovi Stati. Sappiamo che fu lei a suggerire a Bolívar la creazione di un nuovo stato intermedio tra Argentina e Perù, la “Nazione Bolívar”, che in seguito sarebbe stata chiamata “Bolivia”. Nella sua lettera del 28 maggio 1825 si esprimeva così:

“Egregio Signore, il Tenente Salguero è venuto a portarmi il vostro gradito messaggio del 17, (dove mi dite delle vostre assenze ai ricevimenti di gala e alle celebrazioni in onore della vostra gloria). Sapete bene che condivido queste strategie per la vostra sicurezza; perché nel mio modo di vedere è buona cosa che il vostro Stato Maggiore si preoccupi per la vostra vita, giacché i malvagi vi cercano come se voi foste l’unico responsabile di tutto quello che succede qui. Mi ha riempito di contentezza leggere del vostro entusiasmo per il Decreto e le Leggi riguardanti la creazione della Repubblica Bolívar o Bolivia, come V.E. si impegna a chiamarla. Sapete bene che in voi vedo che sì, ci sono ragione e giudizio in questo senso, ma non nei piani di Santander. Considero molto conveniente che vi chiariate con questo signore partendo dalla posizione e con l’educazione che vi contraddistinguono, forte di tutto ciò che V.E. conosce e sa, sia per gli studi su libri e saggi, sia per l’addestramento militare ricevuto da bambino, cosicché Egli possa calmare i dubbi e rinunciare agli intrighi, e colmare la sua ignoranza. L’intelligenza di V.E. supera il sapere di questo secolo, e so bene che le nuove generazioni di quella provincia e dell’America seguiranno il risultato delle vostre buone idee, nel perseguire una libertà stabile e una finanza prospera. […]”

La loro storia d’amore fu molto appassionata; poi, nel tempo, sarebbe diventato un amore più maturo e autentico. Ricordiamo che Manuela Sáenz non fu il primo amore della vita del Libertador. Simón Bolívar restò vedovo dopo il trapasso della nobildonna spagnola M. Teresa del Toro che, ancora giovanissima, morì in Venezuela di febbre gialla. Donna alla quale, il Libertador, promise amore eterno. Nonostante ciò, con il tempo, La Amable Loca, come chiamava la sua amata Manuela, gli conquistò il cuore e divenne imprescindibile. In un angolo della Plaza Grande, a Quito, c’è ancora la casa con il balcone da cui Manuela Sáenz vide, per la prima volta, il Libertador. Manuela combatté nella battaglia di Pichincha e ottenne il grado di Luogotenente degli Ussari dell’Esercito di Liberazione. Quindi, agli ordini di Antonio José de Sucre, combatté ad Ayacucho. Fu lo stesso Gran Maresciallo che chiese a Bolívar di concederle la promozione di colonnella. Consolidata l’indipendenza, Manuela e Bolívar vissero al Santa Fe de Bogotá. Di fronte al tentativo di omicidio contro il Libertador, Manuela intervenne ingannando e disperdendo i sicari. Così lui stesso la chiamò: “La Libertadora del Libertador”. Scrivere delle diverse donne, presenti nella vita di Simón Bolívar, ha entusiasmato più di un autore. Per la maggior parte, coloro che si sono occupati dell’argomento, condividono una pratica abbastanza simile: offrono un inventario delle relazioni amorose di Bolívar, organizzate cronologicamente, in cui identificano nome, cognome, età e origine di ciascuna delle donne. Chiarificano il luogo, la durata e l’intensità della storia d’amore e, in alcuni casi, stabiliscono se, a seguito dell’incontro, vi sia stata o avrebbe potuto esserci una prole. L’ esperimento storiografico, ha assunto un fascino peculiare il cui scopo fondamentale è quello di riunire queste esperienze amorose o galanti come una formula, attraverso la quale si dimostra che Simón Bolívar sia stato un uomo di “carne e sangue”, e rompere così con la tendenza diffusa che caratterizza i molti libri scritti sul Libertador, in cui viene presentato come un eroe irraggiungibile, spogliato da emozioni, sentimenti, affetti e, soprattutto, da una vita amorosa. Ognuna delle donne con cui Bolívar ha condiviso i suoi affetti sono elencate lì, in dettaglio. Oltre a sua moglie María Teresa Del Toro e Fanny Du Villar, il suo amore parigino durante la giovinezza, lo storico Cornelio Hispano menziona, nel suo saggio El libro de oro de Bolívar (Continuación de la “Historia secreta de Simón Bolívar”), altre donne, tra cui Anita Lenoit, Josefina Madrid (Josefina Machado), Isabel Soublette, Bernardina Ibáñez, Teresa Laines, Joaquina Garaicoa e Manuela Madrono.

Ovviamente una menzione speciale è stata attribuita a Manuela Sáenz, alla quale dedica un capitolo dal titolo: “Manuelita la bella”. Cornelio Hispano non nasconde, fin dalle prime pagine, la sua fascinazione per Bolívar: “…in Bolívar tutto è nobile, tutto è grande, tutto è degno di lui”. Penetrato in queste palpitazioni recondite, Hispano ripercorre gli episodi amorosi del genio d’America, ricorrendo a testimonianze, lettere e notizie di vario genere e provenienza, che include alla fine dell’opera. Il risultato è una delle più complete e prime raccolte sull’argomento, fonte inevitabile di molte altre narrazioni che seguono questo stesso orientamento, indipendentemente dal fatto che i diversi episodi si siano verificati realmente, come presentati dall’autore. È bene notare che Cornelio Hispano non è un nuovo arrivato nella bibliografia bolivariana, anzi: nel suo elenco di pubblicazioni ci sono diversi titoli che si riferiscono al grande uomo d’America. Inoltre, è stato grazie ai suoi sforzi che il controverso Diario de Bucaramanga, scritto dall’ufficiale francese Luis Perú de Lacroix, è stato pubblicato per la prima volta nella sua interezza, il cui manoscritto è stato conservato come il segreto più segreto, fino a quando Hispano non lo ha portato alla luce nel 1912. Le annotazioni francesi si riferiscono a molti aspetti della vita personale di Bolívar, alle sue riflessioni, opinioni, giudizi, dettagli, capricci, al suo stato d’animo personale. È un approccio non comune, ovviamente soggettivo, alla sua personalità ed emotività, in un momento particolarmente difficile della sua biografia, appena prima di decidere di instaurare un regime dittatoriale in Colombia, dopo il fallimento della Convenzione di Ocaña nel 1828. Non è, quindi, un caso che Ismael López, trasmutato in Cornelio Hispano, abbia voluto approfondire la vita intima di Simón Bolívar per scrivere Historia secreta de Simón Bolívar, anni dopo lo scandalo causato dal Diario de Bucaramanga. Tuttavia, non ha ottenuto lo stesso successo. La Historia secreta de Simón Bolívar non ha avuto maggiore rilevanza all’epoca, né in seguito. Nemmeno il suo autore. Cornelio Hispano è scomparso nel 1962, dimenticato e sconosciuto ai più. Julio César García Vásquez in un articolo intitolato “Gli amori di Bolívar e Miranda”, datato dicembre 2004, e liberamente accessibile su Internet, riproduce testualmente numerosi paragrafi dell’opera di Cornelio Hispano per rendere conto della vita amorosa del Libertador . Anche altri portali si nutrono dei dati raccolti da Cornelio, senza citarli. Anche nel blog dello scrittore venezuelano Ramón Urdaneta c’è un testo che fa riferimento allo stesso argomento: Urdaneta è l’autore de Los amores de Simón Bolívar, un libro che ha ampliato e ristampato nel 2003 con il titolo Los amores de Simón Bolívar y sus hijos secretos. Secondo Urdaneta, Bolívar aveva 46 amanti e 23 figli. Questi non sono gli unici portali in cui si possono leggere informazioni simili: ci sono anche le popolari pagine tutarea.com, el rincondelvago.com e molti altri che incorporano dati di autori diversi, senza preoccuparsi dell’origine o dell’affidabilità delle informazioni. Il venezuelano Vicente Lecuna, studioso della vita e dell’opera di Simón Bolívar, incaricato di organizzare il suo fascicolo, curatore delle sue lettere, proclami e documenti e che, per esperienza e determinazione, divenne l’oracolo assoluto di ciò che è vero o falso sulla vita e nella documentazione di Bolívar, ha stabilito cosa può essere ritenuto autentico o meno nelle documentazioni su Bolívar o, se ciò che c’è scritto o gli è stato attribuito, è stato effettivamente affermato dal Libertador o meno.

Da questo Olimpo storiografico, Lecuna rifletteva e analizzava le fonti, quando fu incaricato di commentare le affermazioni riportate su “Los amores de Bolívar”. Questo è il titolo del saggio dedicato all’argomento nel suo libro Catálogo de los errores y calumnias en la vida de Simón Bolívar. Il saggio, come indica il nome, mira a stabilire cosa sia vero e cosa sia falso nella vita di Bolívar, comprese, ovviamente, le sue relazioni amorose.

Della vasta lista di donne, presunte amanti di Bolívar, Lecuna ne ammette veramente poche: Fanny Du Villar, Manuela Sáenz, naturalmente; Bernardina Ibáñez, Doña Francisca Zubiaga de Gamarra e Doña Panchita. Accetta anche che Josefina Machado fosse la fidanzata di Simón Bolívar nel 1813, ma nega categoricamente che, aspettando la sua amata, Bolívar abbia fermato la spedizione di Los Cayos per 48 ore. È una falsità scritta da Ducoudray Holstein, nemico dichiarato di Bolívar, nella cui opera abbondano le falsità e le calunnie contro il Libertador; Anche la presunta storia d’amore con Isabel Soublette è un’invenzione dello stesso autore. Secondo Lecuna, i sospetti di Holstein non avevano altro scopo che quello di “offuscare la buona reputazione di quelle ragazze”. Né nasconde il suo disagio di fronte a commenti che potrebbero mettere in discussione la stima meritata da donne che avevano una chiara vicinanza emotiva con il Libertador, come nel caso di Manuela Sáenz. Pertanto, i giudizi, i commenti, i racconti, le calunnie e gli intrighi di alcuni autori di dubbia attendibilità, come nel caso di Jean Baptiste Boussingault, autore ostile a Manuela Sáenz, sono senza tante cerimonie condannati e respinti.

Ma, quando si tratta delle relazioni amorose di Bolívar, non si può dire che il prof. Lecuna abbia avuto molto successo con i suoi processi e le sue sentenze, al contrario. Più credito e popolarità ha avuto la narrazione di Cornelio Hispano e i tanti scritti che hanno seguito o arricchito i suoi primi lavori. Tuttavia, il dibattito non finisce qui poiché, a questa variegata tendenza bibliografica riferita alla vita amorosa di Bolívar, si contrappone un’altra tendenza di orientamento inverso il cui motivo è, piuttosto, sottolineare che il grande amore di Simón Bolívar, il suo amore vero e legittimo, fosse sua moglie María Teresa Rodríguez del Toro. Un esempio rappresentativo di questa storiografia si può leggere nella breve biografia María Teresa de Bolívar: un hombre y una mujer, scritta dal venezuelano Rafael Fuentes Carvallo, nel 1982, un anno prima del bicentenario della nascita del Libertador. È perfetta per la visione dell’eroe incontaminato, questa immagine dell’uomo vedovo, che non ha mai cancellato dalla sua anima il ricordo della sua giovane moglie, strappata bruscamente e prematuramente dalle sue braccia. È la sua inaspettata assenza che determina il suo impegno politico, è il dolore della sua assenza che gli impedisce di risposarsi, è la sua indimenticabile assenza che giustifica il suo silenzio sulla sua vita amorosa. Questo, peraltro, è congruente e si sposa perfettamente con l’idea comunemente accettata per l’epoca politica e storica, come periodi in cui il “femminile” e le “questioni-private” non trovavano spazio e rilievo nella dimensione pubblica. Questa considerazione era condivisa da Bolívar e dagli uomini del suo tempo, per i quali il posto delle donne era la casa, in quanto madri, figlie, sorelle o mogli esemplari dei protagonisti della storia, fuori dalla vita politica e assenti, quindi, dalle decisioni e degli eventi che hanno segnato la storia dell’umanità. In più di un’occasione Bolívar ha insistito con sua sorella María Antonia affinché non si lasciasse coinvolgere né esprimesse la sua opinione sulla politica. Tentò anche, senza successo, di contenere la veemenza e le risoluzioni politiche di Manuela Sáenz, ne è un esempio la sua ultima lettera a Manuela, quella dell’11 maggio 1830, quando, sconfitto, si reca a Santa Marta e le raccomanda di avere “molto giudizio”. La donna di Quito non badò ai suoi suggerimenti, rimase a Bogotà e visse quel difficile momento politico con intensità e impegno. Sebbene, in alcuni suoi proclami sia presente l’esaltazione della partecipazione delle donne, Bolívar lo fa solo per promuovere la causa dell’indipendenza, le donne si sarebbero dovute impegnare come madri, sorelle o mogli di combattenti; per il sacrificio di sé, la generosità e l’aiuto forniti alla Patria o per occupare temporaneamente i ruoli maschili che quelle difficili circostanze richiedevano. Non c’è, quindi, dalla testimonianza diretta di Bolívar, nessuna considerazione o menzione che, nella sua vita, amore e politica siano andati di pari passo. L’amore fu sepolto nella Cattedrale di Caracas e gli aprì le porte per andare alla ricerca della politica, fino a raggiungere la gloria: la sua vera passione. Il paradosso è che, nella mitizzazione degli eroi maschili, valgono tutte le versioni: quella del marito devoto, quella dell’amante insaziabile e quella del glorioso Libertador. Ce n’è per tutti i gusti e anche per molte antipatie. Diverso è stato il destino di Manuela Sáenz, eroina calunniata e dimenticata, riscoperta soltanto di recente, che unisce sapientemente il “personale con il politico” (come augura un vecchio slogan femminista), realizzando una rivoluzione finalmente compiuta. L’ ideale politico, con Manuela, non è più confinato in un astratto iperuranio ideale, utile esclusivamente per infarcire la politica maschile di retorica strumentale, ma un’idea che si fa carne e prassi concreta e quotidiana. Idea concreta che si fa carne quando, grazie al suo contributo decisivo, sono state vinte le battaglie di Pichincha e Ayacucho, quando salvò numerose volte la vita al Libertador, quando fondò la “Nazione Bolívar”, quando continuò a difendere ostinatamente il progetto bolivariano anche dopo la morte dello stesso Libertador la dissoluzione della Gran Colombia, finanche da sola, vecchia, invalida e circondata da nemici. Per Manuela Sáenz, l’amore non è stato un mero rifugio “sentimental-individualistico” ma il carburante per alimentare una nuova visione, un nuovo progetto che mira alla trasformazione dell’esistente.

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