Macron, Guaidò, gli americani e il generalissimo Franco

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Franco Cardini
Fonte: Minima Cardiniana

MINIEDITORIALE di Franco Cardini – 25 febbraio 2019

Ho “inventato” lo strumento-editoriale, lo confesso, per disperazione. Le notizie da dare sono troppe, la voglia di darle troppissima, il tempo e lo spazio però ristretti. Ben vengano pertanto i commenti telegrafici e i “pezzi” pluritematici.

E cominciamo dall’ineffabile Macron, che a quanto pare si sta allineando sul fronte della criminalizzazione delle opinioni: se manterrà l’impegno che si è assunto il 20 febbraio scorso parlando ai membri del CRIF (il consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche in Francia) anche in Francia bisognerà far sempre più attenzione a parlare di cose ebraiche, sioniste e israeliane. D’ora in poi all’interno dell’Esagono si dovrà star molto attenti ad esprimere opinioni: c’è un’aria da “Legge dei Sospetti” in giro.

E’ evidente che Macron sta cercando disperatamente appoggi dappertutto: ormai la trasformazione della politica in una specie di campagna elettorale continua pare sempre più diffondersi. Comunque, nobilissimo l’intento perseguito dal presidente: combattere l’antisemitismo e impedirne la diffusione. Discutibile lo strumento adottato: a me ad esempio certi pareri sulle “camere a gas che non sono mai esistite” o sul “bisogna piantarla con la shoah”, che se letti o ascoltati in piccole dosi provocano solo moderata ilarità o al massimo un qualche fastidio, quando si fanno troppo insistenti e saccenti (senza, ça va de soi, degnarsi di produrre uno straccio di prova o un briciolo di argomentazione plausibile), provocano soltanto indignazione e disgusto: insomma, sono da soli un eccellente antidoto o quanto meno un efficace coadiuvante appunto contro tentazioni razziste o antisemite. Per contro, ad essere schietto, i divieti che colpiscono le opinioni m’indispongono quando non m’indignano. Normative legali contro razzismo e antisemitismo ci sono già: quanto a esprimere pareri antisionisti, dal momento che il sionismo è fondamentalmente un movimento (e una tesi) a carattere nazionale, critiche ragionevoli e civilmente espresse dovrebbero essere legittime: io potrei ben essere antisionista come posso essere anticatalanista o aver antipatia per gli unionisti nordirlandesi. Se e quando e nella misura poi in cui l’antisionismo può servire a dissimulare un antisionismo di fondo, penso che qualunque persona di buon senso e di media cultura sia in grado di rendersene conto. Peraltro, su certe scelte dei governi israeliani soprattutto recenti e su una certa prassi seguita da alcuni pubblicisti e polemisti, me sappiamo di cose: sarà possibile – se non lo è già – venir in futuro incriminati quali diffusori di tesi “antisioniste” e quindi(?) antisemite anche usando argomenti ripresi da fior di studiosi ebrei quali Noam Chomsky, Norman G. Finkelstein, Ilan Pappé, Shlomo Sand?

In realtà, tuttavia, il pericolo c’è. Ma quel che alimenta i sentimenti anti-israeliani e può addirittura giungere a sfiorare la tentazione antisionista, dalla quale il passo all’antisemitismo è breve e il confine sottile, è ben altro. Il silenzio relativo a certe notizie, ad esempio: o anche la loro sottovalutazione, la tendenza a celarle o a minimizzarle. Qualche giorno fa alcuni giornali hanno riferito – senza dare al fatto il rilievo che forse, purtroppo, avrebbe meritato – che i militari israeliani di guardia al muro-reticolato che cinge la striscia di Gaza (una barriera unilateralmente costruita) hanno fatto fuoco su due ragazzi palestinesi, rispettivamente di 18 e di 14 anni, uccidendoli. Le due vittime non avevano violato la barriera: vi si erano soltanto avvicinate. Con loro, il numero delle persone che hanno perso la vita in modo analogo nell’ultimo anno è giunto a 295: un po’ meno di una al giorno. L’elenco include ammalati, personale sanitario, fotoreporter. Migliaia, i feriti; specie alle gambe: il che configura forme di lesione accuratamente programmate. Fatti del genere non sono solo gravi e intollerabili di per sé: è gravissimo, e controproducente, che non siano i media israeliani e l’opinione pubblica ebraica a denunziarli per primi e a chiedere con energia che essi cessino e che i responsabili vengano perseguiti. Accade, invece, troppo spesso che il darne notizia venga accusato d’essere una scelta obiettivamente o tendenzialmente anti-israeliana, quindiantisionista, quindi antisemita (da notare l’illegittimità di tali avverbi consequenziali). La coerente e sincera lotta contro l’antisionismo dovrebbe cominciare dalla prevenzione, come si fa per qualunque altra malattia. Al contrario, il ritenere che i pur ignobili insulti contro Alain Finkelkraut in una via parigina (non accompagnati, tuttavia, da violenze fisiche) siano più gravi – quindi meritevoli di maggior evidenza – dell’assassinio di un ragazzo di 14 anni sulla striscia di Gaza non è solo infame: è una provocazione obiettivamente antisemita, in quanto genera antisemitismo. Teniamolo a mente.

Così come è infame, ed è stupido, dimenticare il parce sepulto (il rispetto per i sepolcri, come per i santuari, è una delle regole di base di qualunque civiltà) nel nome della propaganda elettorale. Da mesi, in Spagna, il governo socialista di Sanchez, alle corde, cerca di risollevare le proprie pericolanti sorti chiamando all’“unità antifascista” attorno a un obiettivo storicamente discutibile e moralmente inopportuno: chiudere il monastero-sacrario del Valle de los CaÍdos sulla Sierra Guadarrama, non lontano dall’Escorial, o quanto meno rimuoverne i resti del generale Francisco Franco lì inumati. Da notare che tanto l’“attrazione” turistica quanto il pretesto “nostalgico” che danno vita a molte fra le visite a quel monumento sono, ormai, fenomeni molto contenuti e ben poco minacciosi. Viceversa, la pretestuosità di obiettivi come quelli conseguiti da Sanchez sta ottenendo il contrario dell’effetto voluto: è proprio in piena Andalusia, regione tradizionalmente “rossa”, che si è affermato il movimento di centrodestra Vox; mentre a Madrid è stata da poco rilanciata in grande stile la Fondación Nacional Francisco Franco, istituita nel 1976 ma che da allora in poi vivacchiava e che ora ha trovato nuovo slancio sotto la guida di un generale a riposo, Juan Chicharro, che, però, si rivolge soprattutto ai giovanissimi. La sola squallida speranza di Suarez, in effetti, è alimentare un nuovo clima di opposte radicalizzazioni: non è proprio come proporre nuove buone idee, ma sul piano dell’accattonaggio dei voti pare funzioni. Una tattica ridicola al servizio di una strategia miserabile.

Identica cosa si potrebbedire del “golpista democratico” venezuelan: il tristo Guaidó. Sta ormai delineandosi un uovo obiettivo delle lobbies statunitensi e non solo al cui servizio il figuro milita: l’“oro azzurro”, il coltan. Si tratta di un materiale dal quale si estrae il tantalio, metallo rarissimo, indispensabile nell’industria elettronica, quindi per smartphone, microchips eccetera. L’80% del coltan estratto oggi viene dal Congo, dove estrazione e lavorazione determinano sfruttamento della manodopera locale e veri e propri scontri tra organizzazioni paramilitari collegate alle lobbies multinazionali. Ma dal 2009, importanti giacimenti di coltan sono stati individuati in Venezuela, nel cosiddetto Arco Minero del Orinoco, dove si trovano anche oro, diamanti, rame, ferro, bauxite; e lì vicino anche petrolio. Ci si sono buttati a pesce ovviamente i cinesi, favoriti da Chavez e poi da Maduro. Ma gli Stati Uniti sono ben decisi a contender loro la torta: affamare il Venezuela con l’embargo,provocare il colpo di mano per ora parlamentare di Guaidó in attesa, magari, di corrompere qualche generale e di gettare il paese nella guerra civile. Ecco il piano. Portato avanti senza scrupoli e senza pudore: fino a giungere a render più pesante l’embargo e, al tempo stesso, avanzare la pelosa offerta di “aiuti umanitari” per …attutire le conseguenze dell’embargo appunto da loro voluto. Tutto ciò è davvero d’una indecorosa spudoratezza.

FC

 PS – Tanto per capir sino in fondo con che razza di loschi politici si abbia a che fare, gustatevi anche quest’altro piattino. Il generale Franco era un cinico, e senza dubbio un uomo di destra: eppure, nel 1961, dopo la proditoria aggressione di una banda di briganti alla Baia dei Porci, che i cubani seppero valorosamente respingere, il dittatore spagnolo – che a sua volta aveva dovuto sostenere dalla fine della seconda guerra mondiale un pesante assedio economico che gli USA appoggiavano e quasi imponevano agli europei, per poi aver l’esclusiva della fruizione del suolo spagnolo per le loro basi militari, pur tenendo la Spagna fuori dalla NATO, ma ricattando il governo franchista con aiuti per esso indispensabili – lasciò da parte la  Realpolitik e, nel nome dell’hispanidad,si rifiutò di partecipare all’assedio economicovoluto da Washington per piegare l’isola caraibica. E Castro gli fu grato al punto da decretare, quando il vecchio generale se ne andò da questo mondo, tre giorni di lutto nazionale a Cuba. Ebbene, il socialista Suarez, che vuol cacciare le ceneri di Franco da un monastero della Sierra Guadarrama, a proposito del Venezuela si guarda bene dal tifare per il compagno Maduro e sceglie il turpe Guaidó. Un bell’esempio di limpida coerenza tanto politica quanto morale.

 
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