Fonte: Il Corriere della sera
di Massimo Franco – 15 maggio 2018
Parlare di trattativa in altalena non rende l’idea. Il negoziato che Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno imbastito somiglia piuttosto a una corsa su montagne russe avvolte dalla nebbia e senza controllo. Eppure sembra che avanzi verso un esito positivo, benché quanto è avvenuto ieri trasmetta una sensazione di caos che allarma. È stata resa nota una bozza di programma destinata a seminare sconcerto nel mondo finanziario.
Il Movimento Cinque Stelle ha annacquato la sua recente conversione all’europeismo, per unirsi alla Lega contro «l’Europa dei non eletti», preoccupata dalla richiesta di Salvini di avere «mani libere» in tema di immigrazione. E in serata, è circolata di nuovo l’idea di una «staffetta» a Palazzo Chigi tra il leader del Carroccio e quello del M5S in nome di un patto di legislatura: una soluzione pasticciata da Prima Repubblica per inaugurare la Terza. C’è da chiedersi che cosa resterà oggi di quanto si è visto e sentito ieri; e come il Quirinale osserverà queste mosse convulse e vagamente scomposte. Si accredita la chiusura del famoso «contratto» addirittura oggi; e domani , sembra,si potrebbe finalmente conoscere il nome del candidato premier. Eppure la parola più usata, nelle ultime ore, è stata «trappola». Chi diffida della Lega, sostiene la tesi che Di Maio sta finendo nelle maglie di un’astuta manovra di Salvini. Gli avversari dei grillini, invece, avvertono il leader del Carroccio di non addentrarsi in una trattativa che lo ingabbia. Il sospetto che il dialogo sia in bilico persiste.
Il pasticcio sulle candidature a premier ha lasciato una scia di diffidenze. Ma la rottura data più volte quasi consumata, non c’é. Di Maio vuole l’accordo, e spende parole gonfie di ottimismo per evitare che fallisca. E Salvini alza la posta, convinto di potere chiedere di più: forse perfino il ruolo di premier a tempo. Difficile che in settimana il pingpong finisca: M5S e Lega vogliono consultare le rispettive basi. La pressione del centrodestra, FI e Fd’I, sul Carroccio perché rinunci al patto con Di Maio aumenta. E l’uscita puntuta del leader leghista dopo l’ultima consultazione al Quirinale è stata letta come una frenata: dovuta forse alla riabilitazione di Silvio Berlusconi. Ma non c’è solo la calamita del centrodestra. Ci sono anche gli altolà all’Italia della Commissione europea su conti pubblici e immigrazione. Si tratta di conferme. Bruxelles osserva quanto accade a Roma con una punta vistosa di apprensione. Gli attacchi della Lega ai trattati hanno ufficializzato i timori continentali, facendo insorgere il vertice del Carroccio. Salvini addita l’«inaccettabile interferenza dell’Europa dei non eletti, che minaccia e ricatta». E avverte il M5S: «Non possiamo andare a Bruxelles con un governo che ha due idee lontane». E così, anche Di Maio, attento ultimamente a accreditarsi come europeista, si schiera. Sceglie toni più morbidi, sostenendo che «i vincoli europei vanno rivisti, dialogando con gli altri Paesi». Però si allinea: Europa e immigrazione sono argomenti-chiave.
Il modo in cui Salvini sembra esasperare la polemica con le istituzioni dell’Ue, risponde all’esigenza di rassicurare la base leghista; di preparare il terreno a un’eventuale campagna elettorale; e di piegare il M5S a una narrativa comune in chiave euroscettica: anche se si tratta di attacchi che scoprono una contraddizione nel centrodestra. Giorgia Meloni appoggia il «no ai diktat europei»; FI invece li registra, come garante di una politica estera ortodossa. Su questo sfondo, Di Maio assicura che la trattativa sta dando frutti. Salvini, gelido, avverte: «O nasce un governo forte, o l’unica è dare la parola agli italiani». Bisognerà capire se questo carosello prepara elezioni anticipate oppure, davvero, un accordo. Le logiche della «diarchia» in lunga incubazione tra M5S-Lega si stanno dimostrando insondabili.