di Antonio Gaeta, 21 maggio 2018
Con voluto riferimento a Dioniso, Friederich Nietzsche nella “Nascita dela tragedia greca” scrive: “O per l’influsso delle bevande narcotiche (leggi alcoliche, ndr), cantate da tutti i popoli primitivi, o per il portentoso avvicinarsi della primavera, che gioiosamente pervade l’intera natura, si risvegliano gli impulsi dionisiaci, nella cui accentuazione svanisce la soggettività in un totale oblio di sé (deflagrazione del principium individuationis) (11).
Anche nel medioevo tedesco schiere sempre più vaste si agitavano, cantado e danzando e si muovevano da un posto all’altro, sotto lo stesso potere dionisiaco. Nei danzatori di S. Giovanni e di S. Vito riconosciamo i cori bacchici dei Greci, con la loro preistoria fino a Babilonia e alle Scee orgiastiche.
Con l’incanto del dionisiaco non solo si rinsalda il legame fra uomo e uomo, ma anche la natura straniata, nemica o soggiogata, celebra nuovamente la sua festa di conciliazione con il proprio figlio perduto: l’uomo. Quindi, liberamente offre la terra i suoi doni e pacificamente si avvicinano i feroci animali delle rocce e dei deserti. Con fiori e ghirlande è coperto il carro di Dioniso: sotto il suo giogo avanzano la pantera e la tigre. Si trasformi «l’inno alla gioia» di Beethoven in un quadro e non ci si attardi nell’immaginazione..omissis. Ora lo schiavo é libero, ora si infrangono tutte le rigide, maligne delimitazioni, che la necessità, l’arbitrio o la «moda sfacciata» hanno posto tra gli uomini. Ora nel vangelo dell’universale armonia, ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso con il suo prossimo, ma una sola cosa con esso.. omissis
Cantando e danzando, l’uomo si mostra come membro di una superiore comunità. Ha disimparato il camminare e il parlare ed é sulla via di volarsene in cielo danzando. Nei suoi gesti quest’uomo parla d’incantesimo. Come ora gli animali parlano e la terra da latte e miele, così anche in lui risuona qualcosa di sovrannaturale.. omissis.”
Fin qui il nostro moderno vate, Friederich Nietzsche, inconsapevole che il clima descritto e circoscritto alle festività dionisiache era del tutto naturale presso le precedenti pre-storiche civiltà dell’Antica Europa e non solo.
Dopo aver accennato alla rottura del ‘principium individuationis’, ora corre l’obbligo di evidenziare come questo fenomeno sia alla base del concetto di «dualismo antropologico», già descritto nella parte II di questo scritto.
Come già a proprosito della definizione di Arte Magica (parti I, II, III, IV in NuovAtlantide), la «bella parvenza» dei mondi di sogno (nella cui produzione ogni uomo é artista) é il presupposto di tutta l’arte figurativa e forse in parte anche della poesia. Noi godiamo dell’immediata comprensione della figura, sembra che tutte le forme ci parlano e non ci sia niente d’indifferente e di superfluo tra loro e noi. Tuttavia, la sensazione a cui non possiamo sottrarci é quella che dietro questa realtà raffigurata, ce ne sia un’altra, quasi del tutto diversa. Individuarla e rivelarla é la caratteristica dell’artista magico !
A parte la magia artistica, la necessità dell’esperienza del sogno fu espressa dagli antichi Greci nella raffigurazione scultorea del loro dio Apollo. Apollo come dio di tutte le energie plastiche e allo stesso tempo governatore della «bella parvenza» nel mondo interiore della fantasia. Potrebbe valere per Apollo ciò che Arthur Schopenhauer dice dell’uomo impigliato nel velo di Maya (12): “Come sul mare infuriato, che illimitato da ogni parte, ululando solleva e precipita montagne d’onde, siede su di una barca il navigante.. così l’uomo isolato ma tranquillo sta in mezzo al mondo pieno di tormenti, appoggiandosi fiducioso al principium individuationis.”
Si potrebbe dire del mito di Apollo, che l’imperturbabile fiducia in tale principio e il tranquillo fondarsi su di esso di colui che ne é dominato, trovò allora come oggi (in chiave moderna e contemporanea) l’espressione più elevata. Oggi, come nel mondo classico dell’antica Grecia (fatto proprio da Roma e il suo impero), infatti, gli eroi sono tutti semidei giovani e belli (13), dai cui gesti e sguardi ci parla tutto l’intimo piacere della «parvenza».
Tuttavia, come ho già scritto, citando Nietzsche, Schopenhauer ci ha descritto anche l’incontenibile orrore dell’uomo che improvvisamente perde la fiducia nelle forme di conoscenza dell’apparenza. Orrore che sappiamo può portare alla follia, che a sua voltà induce agli efferati omicidi di tutto ciò che sfugge al controllo di colui che si reputa, eroe o re o comunque potente nella sua sfera di presunto dominio e/o influenza.
In qualche modo questa reazione rimanda a tutta la nostra Storia di popoli convertiti alla religione degli indoeuropei. Allorché i miti, grazie ai quali i barbari invasori hanno perpetuato il loro dominio, crollano (causa rivoluzioni politiche o comunque forti sommovimenti socio-culturali, molto simili agli sconvolgenti eventi dionisiaci), immediatamente si riaffacciano i metodi primitivi di sopraffazione con la forza delle armi, quindi caratterizzati dalle culture di morte.
In questa reazione fortememte emotiva, carica di rancore, la maschera (il «velo di Maya») rivela che il ‘principium individuationis’ era fondato su una sostanziale «duplicità antropologica», che perdura da circa 5.000 anni (14).
Abbiamo conferma di questa efferata duplicità del dominatore già in ciò che scrive ancora Nietzsche: “Quasi ovunque il nucleo di queste feste consisteva in una esuberante indisciplinatezza sessuale, le cui onde travolgevano ogni senso della famiglia (inteso in senso classico fatto proprio dalla Chiesa, ndr) e dei suoi venerandi statuti..omissis
Contro le febbrili eccitazioni di quelle feste, per un certo tempo molti Greci furono difesi e protetti dalla figura (leggi ‘mito’, ndr) di Apollo, ergentesi in tutta la sua fierezza, che comunque non poteva opporre la testa di Medusa a nessuna forza pericolosa come quella dionisiaca.. omissis” !
Fu soprattutto nell’arte dorica (15) che si esternò e fu reso eterno quell’atteggiamento apollineo di maestoso rifiuto nei confronti di coloro che furono e sono giudicati solo «esaltati».
Tuttavia, il canto e la musica di tali «esaltati» (molto relisticamente di origine pelasgica) furono per il mondo omerico dei Greci (quelli espressione dei popoli ariani, dominatori dei Pelasgi) qualcosa di nuovo e di inaudito ! In particolare, la musica dionisiaca destò in loro spavento e raccapriccio.
Se a quanto sembra la musica era già riconosciuta come arte tipicamente apollinea, occorre anche dire che si trattava di architettura dorica in suoni, solo accennati, quali sono propri della cetra. Pertanto, cautamente fu tenuto lontano il carattere della musica ispirata al culto di Dioniso, caratterizzata dalla sconvolgente potenza del suono, dal flusso unitario della melodia e dal mondo affatto incompatibile dell’armonia. Nel ditirambo dionisiaco l’essere umano viene stimolato, infatti, al più alto potenziamento di tutte le sue capacità simboliche. Una rivoluzione o comunque sommovimento sociale e culturale, che riportando le parole di Artur Schopenhauer induce all’annientamento del «velo di Maya» e consente di sentirsi una sola cosa come genio della specie e di tutta la natura.
Nietzsche: “Ora l’essenza della natura si deve esprimere simbolicamente; un nuovo mondo di simboli é necessario, e in primo luogo l’intero sibolismo del corpo: non solo il simbolo della bocca, del viso, della parola, ma anche la piena mimica della danza, che muove ritmicamente tutte le membra. Poi le altre forze simboliche: musica, ritmica, dinamica e armonia. Per afferrare questo scatenamento totale di tutte le forze simboliche, l’uomo dovrà giumgere al culmine totale dell’alienazione di sé..omissis”.
Si potrebbe dire: rottura del principium individuationis e capacità di vedere oltre il «velo di Maya» la realtà del «dualismo antropologico», quale prodotto della sua Storia, fatta di sovrapposizioni ideali, che hanno portato a scissioni mentali.
Per comprendere ciò – prosegue Friederich Nietzsche – dobbiamo smantellare pietra per pietra l’edificio costruito con arte dalla cultura apollinea, fino a scorgere le fondamenta sulle quali si basa. In primo luogo troveremmo le figure degli dei olimpici.. omissis”, così come raffigurate dai popoli ariani, dei quali ancora oggi in Occidente si applaudono le gesta, la misoginia e la cultura di morte: quella che Sigmund Freud definirebbe «Thanatos» o istinto di morte, contrapposta ad «Eros» o istitnto di vita !
NOTE:
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– Principium individuationis o Principio d’individuazione: è ciò che permette ad una qualsivoglia individualità esistente di presentarsi, per l’appunto, come individualità, ovvero, in termini aristotelici, come sostanza singola o prima. Il principio di individuazione svolge un ruolo di rilievo nel contesto della disputa sugli universali e più in generale nel rapporto che sussiste tra forma, materia e categoria. Come già accennato, tale principio si può far risalire sino ad Aristotele.
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– Con l’espressione Velo di Maya, coniata da Arthur Schopenhauer nel suo Il mondo come volontà e rappresentazione, si intendono diversi concetti metafisici e gnoseologici propri della religione e della cultura induista e ripresi successivamente anche da vari filosofi moderni. Arthur Schopenhauer nella propria filosofia sostiene che la vita é sogno sebbene questo “sognare” sia innato (quindi la nostra unica “realtà”) e obbedisca a precise regole, valide per tutti e insite nei nostri schemi conoscitivi. Questo «velo», di natura metafisica e illusoria, separando gli esseri individuali dalla conoscenza/percezione della realtà (se non sfocata e alterata), impedisce loro di ottenere moksha (cioè la liberazione spirituale) tenendoli così imprigionati nel saṃsāra, ovvero il continuo ciclo delle morti e delle rinascite. Similmente alla metafora della caverna di Platone, l’uomo (e quindi l’intera umanità) è presentato come un individuo i cui occhi sono coperti dalla nascita da un velo; quando se ne libererà, la sua anima si risveglierà dal letargo conoscitivo (o avidyã, ignoranza metafisica) e potrà contemplare finalmente la vera essenza della realtà.
13- Famoso il verso della Locomotiva di Francesco Guccini: “ma nella fantasia ho l’immagine sua: gli eroi son tutti giovani e belli, gli eroi son tutti giovani e belli”
14 – Ovvero dall’affermazione definitiva del dominio della cultura patriarcale ariana, l’impossessamento delle forme di scrittura e con esso la datazione dell’inizio della Storia !
15 – Riane Eisler nel “Calice e la spada” (Edizioni FORUM) a proposito dei popoli indoeuropei o ariani scrive: “Nell’Antica Europa l’interruzione fisica e culturale delle società neolitiche, che adoravano la Dea sembra cominciare nel V millennio a. C., con quella che l’archeologa Marija Gimbutas definisce «ondata Kurgn numero uno». «Grazie al crescente numero di datazioni al radiocarbonio, oggi e possibile tracciare diverse ondate migratorie dei pastori delle steppe, o popolo Kurgan, che travolsero l’Europa preistorica». Riferisce la Gimbutas che queste ripetute incursioni, e gli shock culturali e i mutamenti indotti nelle pacifiche popolazioni autoctone, si concentrarono in tre spinte principali: l’ondata n.1 all’incorca nel 4300-4200 a. C.; l’ondata n. 2 all’incirca nel 3400-3200 a. C. E l’ondata n. 3 all’incirca nel 3000-2800 a. C.
Sebbene il termine indoeuropei non sia risultato adatto per il ceppo Kurgan, il termine è rimasto, giacché comprende anche le invasioni ariane dell’India. Esso comunque indica una lunga serie d’invasioni di popolazioni nomadi provenienti dal Nord dell’Eurasia, governate da potenti sacerdoti e guerrieri, che portavano con sé i loro dei della guarra e delle montagne. Come gli Ariani in India, gli Ittiti e Mitanni nella Mezzaluna Fertile, Luvi in Anatolia, Kurgan nell’Europa centrale, anche Achei e successivamente Dori in quella che fu definita Ellade o Grecia. Imposero i loro stili di vita sulle terre e i popoli conquistati con la ferocia delle armi.
Molto interessante risulta la riflessione della Eisler che altri invasori nomadi più famosi, che chiamiamo Ebrei, di stirpe semitica, provennero dai deserti del Sud e invasero Canaan (poi chiamata Palestina dai Filistei, popolo autoctono che viveva in quella regione. Essa aggiunge, poi, che i precetti morali che noi occidentali associamo sia al giudaismo che al cristianesimo e l’importanza che in molte chiese e sinagoghe si da alla pace, oggi oscurano il dato storico che in origine gli antichi Semiti furono un popolo bellicoso, governato anch’esso da una casta di sacerdoti-guerrieri, come i Leviti di Mosè, Aronne e Giosuè. Come gli indoeuropei, anch’essi portarono con sé un dio della guerra e della montagne, fiero e iroso chiamato Geova o Yahweh, del quale si parla chiaramente nella famosa Bibbia !