di Alfredo Morganti – 13 gennaio 2017
Sappiamo solo oggi, da un Sergio Staino amareggiato, che le copie dell’Unità non le fecero entrare alla Leopolda. Ecco il suo racconto: “Il paradosso è stato quando sono arrivato alla Leopolda con un mucchio di copie dell’Unità, ma all’ingresso non hanno voluto farmele passare. E le hanno lasciate fuori, mentre c’era un temporale”. Ben ti sta, verrebbe da dire.
Se non fosse il caso di chiedere invece a Staino: ma dopo questo episodio, tu, alla Leopolda, sei pure entrato? Lasciando fuori il frutto del tuo lavoro? Qual era il problema, che l’Unità insozzava il bel clima di dibattito trasversale, apolitico, salottiero là dentro, forse appesantiva i tavoli, avrebbe procurato il disappunto di qualche uomo di destra, di qualche tecnico, di qualche finanziere d’assalto lì presente? Avrebbe indotto a pensare che il PD, anzi la Leopolda che è superiore al PD, fosse anche (anche!) una cosa di sinistra (sempre ammettendo che pure quest’ultima Unità fosse di sinistra)? Io avrei preso le copie dell’Unità infradiciate, sarei entrato di forza e le avrei sbattute sui tavoli, con fragore, irrispettosamente del grande ciarlare che vi si faceva e avrei detto: tenetevi le copie inzuppate e tenetevi le mie dimissioni. Punto.
Le cose non sono andate così. Anzi, l’Unità la stanno chiudendo per l’ennesima volta (il referendum costituzionale già c’è stato, il giornale non serve più, amen) e non ci saranno presto nemmeno più copie lasciate a bagnarsi sotto la pioggia. D’altra parte è un foglio irriconoscibile, che solo il nome della testata inserisce in una tradizione di pensiero. Ma cosa vi aspettavate, d’altronde, da uno (Renzi) che disprezza la politica e tanto più le discussioni politiche: che avrebbe dato dignità al giornale della sinistra italiana? Avrebbe onorato quel nome (Unità)? Ma se la sua carriera è partita proprio dalla ‘rottamazione’ (concetto ignobile), ma se è venuto per dividere, ma se è divisivo per natura (concependo la politica come agonismo sportivo, come ‘squadre’ che si battono per dei punti in classifica, e per la ‘vittoria’ anzi lo scudetto elettorale). Io credo che Renzi non solo non si sia mai recato in redazione (come si lagna Staino) ma non abbia nemmeno mai letto l’Unità. Magari con la scusa che sporca le dita di inchiostro: vuoi mettere i tweet? Puri, digitali, incorporei, quasi spirituali.
Ma insomma. Se l’Unità non la legge il lettore di sinistra. Se non la legge nemmeno quello di destra del PD (si sa, la destra considera un odioso intellettuale anche chi si sofferma a leggere le istruzioni per l’uso del cellulare). Se pure a casa di Renzi, alla Leopolda fa schifo e la lasciano all’umido. Se non vende una copia manco dietro minacce. Se forse non è amatissima nemmeno dai direttori (che, ripeto, alla Leopolda avrebbero dovuto dire: se entra lei allora entro anch’io, sennò no – non si lascia un figlio a bagno fuori dalla porta). Se tutto questo è vero, ma allora di chi è figlia l’Unità? Non di Gramsci, a cui l’attuale versione, penso, farebbe impressione. Dunque di chi? Io credo di nessuno. Io credo che l’Unità, quel foglio che abbiamo tanto amato in passato e che vendevamo nelle case, ai semafori, e leggevano con impegno, e spesso ci convinceva che le cose stavano diversamente da come noi immaginavano, con un’autorità che oggi i media se la sognano, quel foglio oggi non ha né padri né madri, ed è una specie di figlio di nessuno. Restare fuori dalla Leopolda aveva avuto un sapore simbolico, profetico, che andava colto – lasciarla là fuori a morire era stato un segno. Voleva dire che si trattava di un corpo estraneo al renzismo, al PD, alla politica com’è oggi, nonostante a quella politica l’Unità avesse voluto conformarsi smentendo la propria tradizione culturale e di pensiero. La fine attuale, in fondo, è solo una ratifica di cose già accadute nel tempo. RIP.