Fonte: micromega
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di Enrico Grazzini 29 dicembre 2015
A causa delle pessime regole dell’Unione Bancaria decise dalla Commissione Europea sotto dettatura del governo tedesco, il risparmio italiano e l’intero sistema bancario nazionale sono a rischio. Dopo che i buoi sono scappati dalla stalla – ovvero dopo che migliaia di ignari e innocenti piccoli risparmiatori hanno perso tutti i loro soldi, come è successo nel caso delle quattro banche regionali Banca Marche, Carife, Popolare Etruria e CariChieti – Matteo Renzi, leader maximo del governo italiano, si lamenta che la Unione Europea usa due pesi e due misure: uno per la Germania e l’altro per l’Italia (e per gli altri paesi cosiddetti periferici dell’eurozona). La Germania fa quello che vuole non solo sulle banche, ma anche sull’immigrazione e sull’energia e sul business con la Russia. Renzi se ne accorge solo ora? Meglio tardi che mai!
Lamentarsi – magari per cercare di recuperare i voti del crescente malcontento – non basta: per riuscire veramente a uscire dalla morsa teutonica, occorre che in prospettiva il governo imponga la revisione degli idioti, unilaterali e anticostituzionali trattati europei, a partire da quello sull’Unione Bancaria. Nell’immediato bisogna invece emettere nuova moneta fiscale e nazionalizzare almeno una grande banca italiana con l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti. Questa sarebbe la vera difesa del risparmio italiano! Uscire dalla trappola della liquidità e salvare le banche.
Renzi ha approvato senza fiatare trattati europei anti-costituzionali, tra cui l’Unione bancaria. Oggi però si lamenta che i due capi del governo tedesco, Merkel e Gabriel, fanno solo ed esclusivamente gli interessi del loro paese. Ma la verità era nota anche prima: una Unione Bancaria senza un fondo pubblico europeo di garanzia, penalizza solo i risparmiatori che vengono resi colpevoli del fallimento delle banche in cui depositano i loro soldi. E che pagano per il fallimento delle loro banche.
L’unione monetaria con l’euro ci ha già tolto la sovranità sulla moneta nazionale – non possiamo più fare manovre espansive in tempo di crisi, e quindi siamo condannati alla crisi perpetua –. E l’unione bancaria ci sta togliendo anche la sovranità sui risparmi e sul credito. Per uscire dalla stretta monetaria occorre che il governo decida di emettere titoli/moneta complementari all’euro. Inoltre, per reagire all’attacco europeo al nostro sistema creditizio e al risparmio, occorre che lo stato diventi azionista di una banca, in forma diretta o indiretta.
Il governo non può quindi limitarsi a polemizzare con la “cattiva” Germania. Dovrebbe avviare una decisa politica pubblica per difendere il sistema creditizio nazionale. Anche perché questo è davvero a rischio. La partita vera si gioca sulle sofferenze bancarie e sulla possibilità per il governo di intervenire a favore di un sistema bancario gravato da forti perdite, attuali e potenziali.
Ad ottobre scorso, le sofferenze lorde erano arrivate 199 miliardi di euro[1]. La crisi dell’industria, dell’immobiliare e del commercio ha fabbricato 152 miliardi di nuove sofferenze bancarie (+421%) e 607 miliardi di nuovo debito pubblico (+38%). Cifre immense, frutto della pessima gestione della crisi, ovvero dell’austerità suicida imposta all’eurozona. Il rapporto tra sofferenze lorde ed impieghi è pari al 10,4%. Il 10% degli impieghi bancari è insomma a rischio: una percentuale estremamente pericolosa.
Le quattro banche in crisi “salvate” dal governo rappresentavano circa l’1% della raccolta e avevano in pancia crediti in sofferenza per 8,5 miliardi, pari al 4,27% del totale. Svalutati di 7 miliardi, la perdita è stata dell’82,4%, su ordine della Commissione UE. Il loro valore commerciale residuo è appena del 17,6%. In proporzione, rapportando le perdite delle quattro banche alle sofferenze dell’intero sistema bancario, ne deriverebbe una potenziale perdita teorica di 164 miliardi di euro. Una cifra enorme, pari al 10% circa del PIL nazionale.
Senza l’intervento dello stato tutto il sistema rischia il crollo. Ma il governo ha vincoli precisi: in base ai diktat di Berlino-Bruxelles non può aiutare le banche in difficoltà per non incorrere nelle sanzioni per “aiuti di stato”. E non può sforare i parametri di Maastricht, e quelli ancora più rigidi del Fiscal Compact. Cioè non può fare debito per salvare le banche. La soluzione è una sola: l’intervento massiccio della Cassa Depositi e Prestiti, la finanziaria semipubblica che, pur essendo controllata dallo stato, è fuori dal perimetro del bilancio statale.
L’Unione Bancaria scarica sui risparmiatori il costo dei fallimenti bancari
La maggioranza del Parlamento Europeo, composta da popolari, socialisti-democratici (tra i quali il PD) e liberali, ha votato l’Unione Bancaria nell’aprile del 2014 (con l’astensione della Lega). E il 2 luglio del 2015 la maggioranza governativa del Parlamento Italiano, ovvero il PD di Renzi (compresa la corrente bersaniana di minoranza) ha approvato formalmente la Legge europea. Perché quindi Renzi si lamenta di una legge già approvata dalla sua maggioranza?
L’Unione bancaria prevede il contestato “bail in“, il salvataggio interno delle banche a carico di azionisti, obbligazionisti e correntisti per la quota oltre i 100 mila euro. Il Parlamento italiano avrebbe potuto avvalersi di una clausola di salvaguardia prevista dal legislatore europeo, ma non l’ha fatto[2].
Secondo la direttiva europea sulle banche, fortemente voluta dall’ultraconservatore ministro tedesco delle finanze Wolfgang Schauble, gli azionisti saranno i primi ad assorbire le perdite di una banca in crisi; poi seguono i possessori di obbligazioni subordinate, poi quelli delle altre obbligazioni senior. Infine le piccole e medie aziende e le persone saranno chiamati a pagare il fallimento bancario per le quote di depositi di ammontare superiore a 100mila euro. Dopodiché scatta l’intervento del fondo di risoluzione bancario, e infine il salvataggio da parte dello stato con i soldi dei contribuenti.
È una regola del tutto originale: nei paesi anglosassoni, in USA e UK, per esempio, correntisti e obbligazionisti non pagano per la crisi della loro banca in caso di fallimento. Quando è fallita la Northern Rock, la Bank of England ha messo fine alla corsa agli sportelli nazionalizzandola e coprendo tutti i depositi. Infatti solo qualche insider può conoscere le reali condizioni di una banca. In generale il pubblico non può assolutamente conoscere la situazione di bilancio di un istituto. Quindi il pubblico non deve pagare per le colpe di un Consiglio d’Amministrazione e dei top manager, i veri responsabili della gestione del credito.
Storicamente le banche centrali sono nate proprio per garantire i risparmiatori in caso di crisi bancarie. Dal momento che possono emettere tutto il denaro che vogliono, sono prestatori di ultima istanza e garantiscono i risparmiatori. Ma nell’eurozona la BCE di Mario Draghi, vincolata dal suo Statuto teutonico (quello stabilito a Maastricht), non può intervenire per salvare le banche in crisi; e lo stato italiano, vincolato dalle regole europee, non può salvare le banche in difficoltà perché aumenterebbe il suo debito.
Saranno quindi gli ignari risparmiatori a pagare i dissesti bancari – provocati magari in gran segreto e in logge riservatissime da manager e consiglieri corrotti –. I risparmiatori fuggiranno allora prevedibilmente dalle piccole banche di territorio verso le grandi banche internazionali ritenute più sicure a causa delle loro enormi dimensioni. È per questo motivo che le grandi banche internazionali hanno promosso e salutato con gioia l’avvento dell’Unione Bancaria.
Oggi il governo italiano e la Banca d’Italia difendono il loro pessimo intervento sulle quattro banche regionali accampando la scusa di essere intervenuti molto rapidamente per evitare la loro liquidazione prima del primo gennaio 2016, quando entrerà pienamente in vigore la normativa europea sul bail in: si vantano di avere risparmiato dal bail in migliaia di correntisti e obbligazionisti senior.
Eppure il ministro Pier Carlo Padoan e il presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco hanno sempre irresponsabilmente esaltato l’Unione bancaria come un grande passo in avanti a favore dei risparmiatori. L’Italia si è purtroppo sempre allineata testa china e supina alla UE. Già Fabrizio Saccomanni, all’epoca in cui era Ministro dell’Economia del governo Letta, aveva salutato con entusiasmo la normativa bancaria appena approvata: “L’accordo sull’unione bancaria europea, raggiunto dai 28 paesi della UE nella nottata di oggi, rappresenta un evento, la cui importanza sarebbe paragonabile solo all’unione monetaria”. In qualche modo aveva ragione: è un disastro l’unione monetaria ed è un disastro anche l’unione bancaria.
L’assurdità è che il governo italiano e la Banca d’Italia hanno finora applaudito di fronte a regole che penalizzano il nostro risparmio, il sistema bancario e quindi tutta l’economia nazionale. Si sono inchinati ai diktat della UE e di Berlino. Il problema quindi non è tanto il conflitto di interessi della ministra Boschi ma la svendita degli interessi nazionali – dei cittadini, delle imprese italiane, delle stesse banche nazionali – da parte del governo e della Banca d’Italia al governo tedesco, l’unico che veramente comanda in Europa.
L’Unione Bancaria contro la Costituzione
Eppure il dettato Costituzionale è chiaro ed esplicito:“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”[3]. Ma è chiaro che in base alle norme europee il risparmio italiano non è più tutelato. D’ora in avanti i risparmiatori (grandi e piccoli) pagheranno per primi i dissesti bancari. È chiaro anche che la Repubblica non può più coordinare e controllare gli istituti di credito nazionali. Questi sono soggetti a norme europee che non tengono in alcun conto l’interesse nazionale.
Abbiamo ceduto la nostra sovranità per un pugno di mosche secche, contro la Costituzione Italiana: “L’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”[4]. Dove è la parità tra interessi tedeschi e tra quella dei creditori e quella dei paesi in debito, come la Grecia e l’Italia? Non esiste nessuna parità. E non esiste nessuna democrazia: scompare la sovranità che appartiene al popolo il quale, secondo la Costituzione, la dovrebbe esercitare nelle forme e nei limiti e dettate della Costituzione stessa. Le leggi invece le scrivono a Berlino e le fanno approvare a Bruxelles.
Di fatto i governi italiani, quello attuale e i passati, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, in nome di falsi ideali europeisti, hanno aderito passivamente a trattati europei (a partire da Maastricht) iniqui e squilibrati che mettono l’Italia in posizione di subordinazione rispetto agli altri stati europei che dettano legge, in primis la Germania. E che disuniscono l’Europa a favore degli interessi tedeschi. Contro la Costituzione Italiana. Una chiara violazione della Legge Fondamentale. Perché non appellarsi alla Corte Costituzionale per respingere questa Unione bancaria e i trattati iniqui ?
Altro che Unione Europea: il governo tedesco attacca le nostre banche!
L’Unione Bancaria è nata per mettere in sicurezza il risparmio europeo grazie a un fondo comune in grado di risarcire i risparmiatori europei in caso di crisi bancaria e di evitare la corsa agli sportelli quando si diffondono voci di fallimento di una banca. La BCE ha proposto un fondo comune finanziato da tutti gli stati per tutelare i risparmi dell’Eurozona. Ma la risposta della Merkel è chiara e semplice. «La Germania ritiene che la mutualizzazione dell’assicurazione dei depositi bancari farebbe l’opposto di ridurre i rischi nel sistema finanziario. Per questo pensiamo che sia sbagliata e la respingiamo».
L’intervista a Lars Feld – uno dei «cinque saggi» che consigliano il governo tedesco, molto vicino al ministro delle Finanze Wolfgang Schauble – apparsa recentemente sul Corriere della Sera è ancora più esplicita[5]. Illustra chiaramente le intenzioni del governo tedesco. L’intervistatore Federico Fubini chiede a Lars Feld se l’Italia dovrebbe chiedere aiuto al fondo salvataggi europeo (Esm), ossia alla Troika, nel caso che il bail in provocasse un contagio finanziario. Feld risponde: «Sì. Se c’è contagio, allora c’è il fondo europeo Esm per affrontarlo”. Insomma, è prevista la Troika come in Grecia se i risparmiatori e lo stato non riuscissero a salvare le banche italiane dai crediti in sofferenza !
Fubini ricorda allora che la Germania ha offerto circa 250 miliardi di aiuti di Stato alle proprie banche. Insomma, la Germania predica il bail in ma razzola con gli aiuti di stato. Solo pochi mesi fa il governo tedesco ha erogato tre miliardi di aiuti senza tagli su azionisti e risparmiatori alla Hsh Nordbank. Feld risponde che l’azionista di quella banca è pubblico e che quindi la questione … è diversa: «Io sono a favore del bail in, ma come va trattato un governo in qualità di azionista è un’altra questione». Fubini ricorda allora che anche le casse di risparmio tedesche godono di garanzie pubbliche. Feld risponde semplicemente che la Commissione Ue le ha autorizzate.
La moneta fiscale e la Cassa Depositi e Prestiti per uscire dalla crisi
Secondo le parole di Lars Feld, per difendere le banche italiane il governo dovrebbe nazionalizzare parti importanti del sistema creditizio nazionale.
Prima di tutto la Cassa Depositi e Prestiti di Claudio Costamagna potrebbe raccogliere nuovo denaro a basso costo emettendo moneta fiscale, ovvero obbligazioni con garanzia statale valide anche per pagare le tasse e qualsiasi altro impegno verso l’amministrazione pubblica. Grazie a questa raccolta di denaro a basso costo con titoli ipergarantiti potrebbe finanziare nuovi investimenti pubblici in servizi e infrastrutture (come la ricerca, l’istruzione e le reti in fibra ottica), investimenti in aziende nazionali strategiche (come Telecom Italia) e potrebbe costituire un polo bancario pubblico, nazionalizzando per esempio una grande banca come Monte dei Paschi di Siena.
Questo per difendere immediatamente il nostro sistema bancario. Poi, per uscire dalla trappola della liquidità che congela l’economia italiana, il governo dovrebbe emettere dei Certificati di Credito Fiscale, ovvero dei titoli/moneta in grado di scongelare i miliardi di euro intrappolati nel sistema finanziario[6]. Occorre distribuire gratuitamente moneta complementare (e non sostitutiva) all’euro per dare ossigeno all’economia aggirando i vincoli soffocanti della moneta unica.
I CCF non sono altro che dei titoli emessi dallo stato, negoziabili (come i Bot e i Btp) e quindi convertibili immediatamente in euro con uno sconto limitato (cioè comparabile a quello di un titolo statale zero-coupon a due anni). I CCF non sono debito perché non comportano nessun rimborso in euro e nemmeno moneta legale. Pertanto non violano i trattati europei. Distribuiti gratuitamente alle aziende e alle famiglie, i CCF creerebbero però quello shock espansivo necessario per riattivare la domanda interna, i consumi e gli investimenti.
La proposta dei CCF, originariamente lanciata su Micromega, è stata recentemente ripresa da Mediobanca[7]. Per la banca d’affari italiana, l’emissione di una ‘moneta fiscale’ rappresenta la misura fondamentale per espandere la domanda aggregata dell’economia. Le stime di Mediobanca indicano che, con l’emissione di Certificati di Credito Fiscale (CCF) fino a 40 miliardi, nel 2016-17 il PIL aumenterebbe del 3%, raddoppiando rispetto alle previsioni del governo, e che il bilancio pubblico raggiungerebbe un surplus pari allo 0,8% nel 2017 (contro il deficit attualmente previsto dell’1,1%). Inoltre, il rapporto debito/PIL scenderebbe al 112% nel 2019, contro l’attuale stima del 120%. L’occupazione e i redditi riprenderebbero a salire.
E’ ora che il governo dimostri di passare dalle parole ai fatti; e che le forze di opposizione insorgano per difendere l’economia e il benessere nazionale. E’ ora di svegliarsi dalle assurde illusioni europeiste, che purtroppo contaminano fortemente anche sinistra e sindacati, in favore di misure concrete e realizzabili che difendano l’interesse nazionale.
NOTE
[1] Guido Salerno Aletta su Formiche “Come avanza la follia europea su banche e sofferenze” 20-12-2015
[2] http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=5219
[3] Costituzione, Articolo 47
[4] Costituzione, Articolo 11
[5] Vedi archivio Corriere della Sera – 19 dicembre 2015 – «Dovrete colpire i risparmi privati E forse vi servirà un salvataggio Ue» di Federico Fubini
[6] La proposta dei CCF è contenuta nell’e-book Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro, recentemente pubblicato su Micromega on line da Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione del compianto Luciano Gallino.
[7] Micromega, “Rilanciare l’economia italiana con la Moneta Fiscale: l’analisi di Mediobanca” di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini