‘L’UCRAINA NON È PIÙ LA PRINCIPALE PRIORITÀ DELL’AMERICA’

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Federico Petroni
Fonte: Limes
Conversazione con Jeffrey Mankoff, Politologo (ortodosso e zelante interprete delle strategie degli Stati Uniti) della Distinguished Research Fellow alla National Defense University. Ha lavorato in precedenza, come consigliere per le relazioni USA-Russia presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti in qualità di membro del Council on Foreign Relations per gli affari internazionali.
a cura di Federico Petroni

LIMESFallita la controffensiva in Ucraina, come cambiano i piani degli Stati Uniti?

MANKOFF Inizialmente si sperava che la controffensiva avrebbe avuto successo cambiando i fatti sul terreno e aprendo colloqui su come risolvere il conflitto. Questo non è accaduto. Ora l’aspettativa è che la guerra continuerà a lungo. Nell’immediato, per noi l’Ucraina deve rigenerare le sue forze e mettersi sulla difensiva per impedire ai russi di conquistare altro territorio. Ma ciò significa ottenere nuovi aiuti militari da europei e americani, una questione molto controversa nel dibattito politico occidentale. Inoltre, gli Stati Uniti pensano sempre più a futuri negoziati. Ci pensano anche gli stessi ucraini, con la «formula di pace» del presidente Zelens’kyj ormai discussa ampiamente in tutti i suoi viaggi recenti. La posizione di Washington è ancora che spetta agli ucraini decidere quando e a quali condizioni aprire i colloqui, ma l’aspettativa è che questi colloqui ci saranno. Dunque vanno preparati.

LIMESL’Ucraina ha problemi di uomini e denaro, ammette che la popolazione è stanca, non ha le armi per imporsi sui russi: rischia di non essere più in grado di combattere?

MANKOFF È possibile. Ma non ci siamo affatto vicini. Nonostante le tensioni tra la presidenza e i vertici militari su una nuova mobilitazione, gli ucraini ancora riconoscono che devono continuare a combattere e che il costo di arrendersi sarebbe inaccettabile. Anche se c’è riluttanza a morire per il Donbas, che penso sia visto in modo diverso rispetto al resto del paese, questi dubbi sul morale popolare vengono meno quando si tratta di difendere il cuore della nazione. Iniziare a pensare come e su cosa negoziare è molto diverso dall’arrendersi completamente. L’esito delle trattative non sarebbe una resa, bensì un compromesso zoppo in cui nessuno avrebbe tutto quello che vuole. Sin dall’inizio dell’invasione, lo ritengo lo scenario più probabile. Prima o poi il conflitto arriverà a un caotico accordo, ma sul lato ucraino c’è ancora una riserva di morale per continuare a combattere. E comunque qualunque negoziato produrrà risultati spiacevoli, se ne produrrà. È una ragione per cui questa guerra continuerà almeno per un altro anno.

LIMESPer gli Stati Uniti non converrebbe che gli ucraini negozino subito prima di trovarsi in una posizione peggiore?

MANKOFF La variabile chiave è quanto andranno avanti le forniture belliche europee e americane. Se vacillano o peggio si interrompono, gli statunitensi diranno agli ucraini: facciamo quel che possiamo, i nostri limiti sono questi, fareste meglio a fermarvi. Ma non sono sicuro che Kiev accoglierebbe il consiglio: alcuni elementi sarebbero comunque determinati a combattere a ogni costo. Se fossero disposti a sopportare un prezzo ancor più orrendo di quello attuale, potrebbero anche durare un certo tempo, dal momento che la Russia ha dimostrato di non essere la formidabile potenza militare che tutti si aspettavano. Se invece le forniture belliche continuano, penso che, sostenuta dall’industria e dalla economia di quello che Putin chiama «Occidente collettivo», l’Ucraina sia meglio posizionata rispetto alla Russia per combattere una guerra lunga. Se il governo di Kiev sceglie di prolungare la guerra, una razionalità strategica relativa alle debolezze di Mosca c’è. Dunque, se i venti politici in America e in Europa cambiano e non arrivano più armi, la guerra dura almeno un altro anno. Se i venti non cambiano, la guerra può durare anche molto di più.

LIMESGli americani dicono che Putin ha inviato segnali di voler aprire colloqui. L’amministrazione Biden li ritiene credibili?

MANKOFF La Russia è aperta ai negoziati sin dall’inizio dell’invasione. Solo che i segnali non sono diretti a Kiev bensì a Washington e poi alle cancellerie europee. Questo perché Mosca si sente in guerra non tanto con l’Ucraina ma con l’Occidente e gli Stati Uniti in particolare. Putin e i suoi l’hanno detto pubblicamente. Quindi i segnali dell’interesse a negoziare sono genuini, ma inviati nella speranza di fare un accordo sulla testa degli ucraini. E con un altro scopo: congelare il conflitto per rigenerare le forze e centrare gli obiettivi strategici russi in altra forma. Sarebbe un esito simile agli accordi di Minsk per congelare gli scontri in Donbas nel 2014-15. Fa da tempo parte del concetto operativo dei russi. Il fatto che venga sollevato ora suggerisce che anche Mosca sente la pressione del conflitto e che la dirigenza russa cerca di alleviare i costi imposti dall’attuale ritmo delle operazioni. Ma il Cremlino non è ancora pronto a rinunciare all’ambizione di controllare un giorno l’Ucraina.

LIMESQuindi è per questo che gli Stati Uniti sono contrari?

MANKOFF La posizione americana è che le trattative spettano agli ucraini, non negoziamo sulla loro testa. Quando Kiev vorrà trattare, di certo noi non ci opporremo.

 

Carta di Laura Canali - 2024
Carta di Laura Canali – 2024 

 

LIMESIn un eventuale negoziato, quali interessi difenderebbero gli Stati Uniti?

MANKOFF Dimostrare che, anche se centrasse qualche obiettivo sul terreno, la Russia avrebbe comunque pagato un prezzo altissimo. Dimostrare che le regole fondamentali dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini sono state difese con un certo successo – è un aspetto chiave per l’amministrazione Biden, che ha descritto la guerra come un attacco all’ordine internazionale. Poi, garantire la sicurezza dell’Europa, in particolare della Nato. E dare qualche robusta garanzia di sicurezza all’Ucraina.

LIMESNiente Nato.

MANKOFF L’Ucraina non entrerà nella Nato nel prossimo futuro. Potrebbe aderire un giorno, ma la realtà è che non c’è consenso nell’Alleanza, nonostante sia un obiettivo ufficializzato al vertice dell’estate 2023. Gli Stati Uniti sono uno dei paesi che non hanno intenzione di estendere la protezione della Nato all’Ucraina nel breve periodo. Le garanzie che avrà Kiev esuleranno dall’Alleanza Atlantica. Sappiamo però che non saranno sufficienti a dissuadere una nuova aggressione. La Russia vuole un cessate-il-fuoco come pausa tattica. Per questo cerchiamo di renderle il più difficile possibile ricominciare il conflitto.

LIMESLa Russia potrebbe accettare garanzie di sicurezza diverse dall’adesione alla Nato?

MANKOFF Questo è uno dei motivi per cui sono molto scettico che possa emergere un accordo durevole. Un’Ucraina protetta da forze straniere sul proprio territorio sarebbe difficile da digerire per Mosca, ma qualsiasi cosa in meno sarebbe difficile da digerire per Kiev. La dirigenza ucraina ha assimilato i contenuti del rapporto Rasmussen-Jermak del 2022 sulle garanzie di sicurezza: sono ormai la sua linea rossa negoziale. Tuttavia, Mosca non l’accetterebbe, vista la sua percezione dell’Ucraina come parte dell’impero russo. Tutto dipenderà da quanto disperatamente le parti vorranno un accordo. Quel che è accettabile è funzione di quanta influenza hai in un dato momento. A dispetto di ciò che i russi dicono in pubblico, credo che gli effetti della guerra si stiano facendo sentire. Inoltre Putin ha le sue elezioni: il fatto che l’esito sia assolutamente prevedibile non vuol dire che siano noiose e non producano effetti.

LIMESChe forma avrebbe un compromesso, da lei definito zoppo?

MANKOFF Un cessate-il-fuoco sarebbe molto simbolico, non vorrebbe dire che la guerra è finita. I territori al momento occupati dalla Russia probabilmente rimarrebbero sotto l’autorità di fatto di Mosca. La Crimea resterebbe contesa. I territori non occupati ma rivendicati nelle oblast’ di Kherson, Zaporižžja, Donec’k e Luhans’k sarebbero più problematici, si dovrebbe trovare una formula sufficientemente ambigua da suggerire che la loro condizione non è permanente. Sul lato militare, le forze di entrambi dovrebbero ritirarsi e lasciare il posto a osservatori di qualche organismo internazionale o paese terzo (non penso l’Oecd visto come l’hanno trattata i russi). Poi c’è il capitolo dei casi giudiziari contro Vladimir Putin per crimini di guerra. Non essendo la Corte penale internazionale parte dei negoziati non penso che le incriminazioni verrebbero cancellate. Ma la loro presenza ostacola le trattative. Infine, le sanzioni. Non penso che i russi negozierebbero senza concessioni in questo campo. Anzi, le trattative si complicherebbero ulteriormente se i 300 miliardi di dollari di asset russi congelati in conti stranieri venissero definitivamente confiscati. È per questo che c’è riluttanza ad appropriarsene per reinvestirli nella ricostruzione dell’Ucraina, oltre che per il pericoloso precedente.

LIMESL’amministrazione Biden ha di recente introdotto le sanzioni secondarie. Come possono essere efficaci senza colpire il settore energetico?

MANKOFF Vista la grande fetta di introiti russi provenienti da gas e petrolio, le sanzioni avranno un effetto limitato. Manca la volontà politica di colpire quei settori. Ci sono preoccupazioni per un rialzo dei prezzi dell’energia, per gli effetti sulle nostre economie, dunque sulla politica interna. Se sanzioni l’energia russa sanzioni te stesso.

LIMESSono un simbolo?

MANKOFF Non sono simboliche ma nemmeno decisive. Potremmo fare molto meglio in altre aree, per esempio sui controlli all’esportazione, cioè rendere più difficile triangolare la vendita di certe merci alla Russia. Qui la cautela riguarda gli effetti diplomatici delle sanzioni. Siamo stati troppo lassisti perché i paesi che fanno da intermediari sono attori che non ci vogliamo inimicare: India, Turchia, Emirati.

LIMESL’Ucraina è uno Stato in via di fallimento. Chi dovrebbe guidare la ricostruzione secondo gli Stati Uniti?

MANKOFF È una buona domanda perché non abbiamo una risposta. L’impegno finanziario è mastodontico, nell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari. Deve essere uno sforzo internazionale. Dobbiamo avere una chiara formula sulla ricostruzione, che sarà difficile perché in condizioni di conflitto congelato gli eventuali investitori saranno riluttanti a spendere per il timore di una ripresa delle ostilità. In presenza di qualcosa di simile agli accordi di Minsk, con ripetute violazioni e la certezza che le ambizioni della Russia non sono cambiate, è possibile che il settore privato non voglia assumersi rischi. Un’altra questione irrisolta è che alcuni attori potenzialmente interessati hanno priorità che noi potremmo non condividere. Per esempio i cinesi. Non abbiamo ancora deciso come ci dovremmo comportare se Pechino volesse partecipare alla ricostruzione delle infrastrutture ucraine.

 

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LIMESSecondo gli Stati Uniti la ricostruzione è affare per gli europei?

MANKOFF Non penso sia la posizione ufficiale dell’amministrazione. È un’area in cui l’Unione Europea potrebbe avere un impatto significativo, soprattutto nel caso ci fosse un percorso per l’adesione dell’Ucraina. Tuttavia l’ingresso di Kiev nell’Ue dovrebbe essere prima accettato dalla Russia. In fondo, nel 2014 la guerra è iniziata a causa dell’accordo di associazione Ue-Ucraina, quindi sappiamo che Mosca è molto sensibile su questo. È sensibile quanto lo è sulla Nato? Probabilmente sì, visto quanto insiste Putin sulla retorica dell’Ucraina come parte inalienabile della storia russa. Perché l’Unione Europea non riguarda solo commerci, banche, agricoltura. Riguarda anche istituzioni, valori, identità. Il modo in cui Putin parla dell’Ucraina suggerisce che se quest’ultima fosse trasformata nel modo in cui la trasformerebbe il processo di adesione all’Ue, diventerebbe un paese molto diverso dai progetti neoimperiali dell’élite russa. Sono scettico che Mosca accetterebbe Kiev nell’Ue, a meno che non sia costretta. Non siamo ancora a quel punto.

LIMESL’Ucraina è ancora la principale priorità degli Stati Uniti?

MANKOFF Il dibattito politico sull’Ucraina negli Stati Uniti è stato intercettato da questioni del tutto scollegate fra loro. Sfortunatamente, la principale ora è l’immigrazione. Il rinnovo degli aiuti militari a Kiev è stato legato a un accordo al Congresso sul confine meridionale. Il fatto che l’Ucraina sia diventata una pedina di scambio invece di un imperativo morale dice molto sullo stato della politica interna americana. E dice molto sulle nostre priorità. Per molti repubblicani, l’immigrazione è più importante dell’Ucraina. Non vuol dire che siano necessariamente contrari ad armare Kiev, ma non è in cima alla lista. Non vince voti, almeno non quelli che loro cercano. Questa è una novità rispetto all’inizio della guerra nel febbraio 2022. L’Ucraina è diventata ostaggio della politica interna perché è una priorità dell’amministrazione Biden.

È anche una questione di priorità di sicurezza nazionale. È in corso una guerra in Medio Oriente, stiamo bombardando gli ḥūṯī nello Yemen, stiamo subendo attacchi in Siria e Iraq, cerchiamo di prevenire un’escalation orizzontale. Poi ci sono le preoccupazioni nell’Indo-Pacifico, con le attività cinesi attorno a Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale. Tutti questi problemi tendono al massimo gli impegni difensivi americani. E limitano le nostre risorse economiche, militari e diplomatiche. Per esempio, se vogliamo che i turchi e gli emiratini giochino un ruolo costruttivo nel conflitto di Gaza non possiamo arrivare a uno scontro frontale con loro sull’aggiramento delle sanzioni alla Russia. È solo uno dei tanti modi in cui la guerra in Ucraina deve essere soppesata su una bilancia più ampia. Il dibattito è: dove si colloca l’Ucraina nel panorama generale delle minacce mondiali? Penso ci sia più consenso tra i partiti sia sullo scontro israelo-palestinese sia sulla Cina.

 

Carta di Laura Canali - 2023
Carta di Laura Canali – 2023 

 

LIMESInoltre affrontate un gruppo di rivali sempre più compatto.

MANKOFF Sì, specialmente Russia, Iran e Corea del Nord. La guerra d’Ucraina ha rafforzato i rapporti tra Mosca e Teheran. Fino al 2022 i russi giocavano un ruolo di equilibratore tra Israele e Iran, erano la potenza che parlava con tutti. Ma guardate la reazione alla strage di Ḥamās del 7 ottobre, con cui il Cremlino ha di fatto rinunciato ai buoni uffici con Gerusalemme. Da quando Teheran sostiene massicciamente il suo sforzo bellico, la posizione russa si è spostata decisamente in direzione filo-iraniana. Lo stesso vale per la Corea del Nord, diventata un importante fornitore per i russi di armi e di conoscenze per aggirare le sanzioni. La Cina è più distaccata, ma fra Iran, Russia e Corea del Nord l’allineamento è aumentato rispetto a due anni fa ed è in crescita. Tutti e quattro i paesi cooperano per far scendere di un gradino gli Stati Uniti, anche se ciò non vuol dire che i loro interessi strategici siano identici.

LIMESCome ha fatto l’Ucraina a diventare un tema così politicizzato?

MANKOFF Penso abbia a che fare con l’approccio della precedente amministrazione.

LIMESC’entrano anche i declinanti rapporti tra America ed Europa?

MANKOFF Sì, c’è un’aspettativa che gli europei facciano di più. Ma gli europei non stanno facendo di più. Penso che spesso vi critichiamo eccessivamente, però l’Ucraina è una grande crisi nel vostro continente e riguarda prima di tutto voi, eppure non fate tutto quello che potreste. La Germania in particolare è stata molto lenta nell’assistenza militare. Molti paesi trattengono armi che comunque non userebbero per paura che vengano contrabbandate o cadano in cattive mani. Queste indecisioni sono accolte molto male negli Stati Uniti e contribuiscono alle percezioni negative sull’Europa.

LIMES Anche voi americani mostrate titubanze negli armamenti. Al di là dell’opposizione di una parte dei repubblicani, il Pentagono è contrario a svuotare ulteriormente gli arsenali per non scoprirsi su altri fronti.

MANKOFF È vero, i militari vogliono negoziare e i diplomatici vogliono combattere. È assolutamente comprensibile. Anche se di più in America che in Europa, perché noi abbiamo impegni globali. Mentre per gli europei gli ucraini stanno combattendo una guerra che li riguarda. La Germania sarà al sicuro se i russi non sottomettono tutta l’Ucraina e se non avranno la forza per continuare a combattere contro tutto il continente. Per voi europei questo è il fronte centrale, questa è la guerra che conta. E dovreste essere più proattivi.

Per gli Stati Uniti è più complicato perché i fronti sono tanti. I mezzi militari necessari variano da teatro a teatro – aeronavali nell’Indo-Pacifico, terrestri in Ucraina – ma alcuni si sovrappongono: stessi proiettili d’artiglieria, stessi missili. E molte delle cose che Kiev usa vengono bruciate a un ritmo molto più veloce di quello al quale le rigeneriamo. I militari statunitensi che controllano gli arsenali hanno contezza di cosa serve dove e in quali quantità. Dovendo centellinare le risorse in giro per il mondo, sono comprensibilmente riluttanti a impegnarsi troppo in Ucraina mentre altrove infuriano altri conflitti e mentre la Cina viene descritta ufficialmente come «sfida incalzante». La guerra nel Pacifico è la minaccia per la quale gli apparati della sicurezza nazionale, e i militari in particolare, devono essere preparati e focalizzati.

L’altro motivo della cautela delle Forze armate americane sin dall’inizio dell’invasione è il rischio di un’escalation. Non solo nucleare, anche orizzontale. Non le alletta né l’idea di combattere in prima persona una guerra contro i russi né l’eventualità che Mosca attacchi una base in Polonia usata per rifornire gli ucraini. I militari che trasportano le armi in Europa per Kiev sono molto consapevoli di questo rischio.

 

Carta di Laura Canali - 2024
Carta di Laura Canali – 2024 

 

LIMES Quando Trump dice che l’America non difenderà l’Europa, dice qualcosa di molto popolare?

MANKOFF Queste dichiarazioni sono importanti e indicative, ma non mi spingerei troppo in là nell’interpretazione. Per due motivi.

Non penso che negli Stati Uniti ci sia una diffusa opposizione alla Nato. C’è differenza tra ostilità e volontà di prendersi rischi in caso di crisi. I timori europei sull’America riguardano la seconda, non la prima. Questo isolazionismo – il termine non mi piace ma ne manca uno migliore – sta crescendo. È il prodotto di diversi fattori, tra cui le sconfitte in Iraq e Afghanistan e l’idea che gli Stati Uniti facciano troppo all’estero invece di affrontare le sfide economiche e sociali in patria. Il sentimento di dover ricostruire l’America sta crescendo.

Ciò detto, trovo il dibattito su intervenire o meno in Europa astratto – d’altronde siamo in un mondo in cui si ragiona per periodi ipotetici. In caso di guerra conclamata in Europa, la realtà sarebbe molto diversa. Se i missili russi colpissero Varsavia o Berlino, la risposta americana sarebbe diversa da quel che suggerisce la corrente isolazionista. Anche negli anni Trenta prevaleva negli Stati Uniti un senso di distacco dal mondo. Poi è cambiato. Potrebbe cambiare anche oggi, benché ovviamente non si parli dell’eventualità di una Pearl Harbor ma di un alleato attaccato. Gli Stati Uniti risponderebbero, magari più lentamente e con limiti variabili a seconda di chi è al potere in quel momento.

LIMESQuindi in realtà la posta in gioco è che l’Europa dovrebbe rinunciare al proprio stile di vita per riarmarsi pesantemente e gestire da sola ogni scenario al di sotto della guerra convenzionale?

MANKOFF Sì ed è comprensibile che per voi sia un cambiamento epocale. Ma alla fine dei giochi è della vostra sicurezza che stiamo parlando. Lo ha detto anche Merkel negli anni di Trump. Il mondo è cambiato: ci sono una Russia aggressiva e revanscista e seri dubbi sull’America, sulla sua stabilità domestica e sugli impegni che ha preso nella Nato. Non avete molte scelte. Dovete essere più capaci e disposti a occuparvi della vostra sicurezza. Altrimenti potreste trovarvi in una situazione in cui sarete del tutto impreparati. Ciò è molto pericoloso per l’Europa, l’America e il mondo.

LIMESPerò la Nato è stata creata per organizzare l’influenza americana in Europa…

MANKOFF … e tenere gli americani dentro, i russi fuori e i tedeschi sotto.

LIMESSe questo viene meno, che senso ha la Nato?

MANKOFF Non siamo ancora al punto in cui è venuto meno.

LIMESMa se ci sono seri dubbi sugli americani dentro?

MANKOFF L’Europa deve prepararsi alla possibilità che la garanzia americana venga meno. Se sei un pianificatore militare, te ne devi occupare. Non ci siamo ancora arrivati. Ma se ci arrivassimo, mi aspetterei grandi fratture in Europa. Alcuni paesi cercherebbero un’intesa con la Russia o con la Cina. Altri si organizzerebbero per resistere con o senza gli Stati Uniti. Abbiamo già visto in passato che forme avrebbe questo mondo, prima del 1914 e nel periodo interbellico, e non è un bel mondo. Ma se l’America riducesse sensibilmente le sue garanzie di sicurezza all’Europa, gli europei dovrebbero trovare da soli un modo per cavarsela. Le risposte potrebbero variare da paese a paese, a seconda di quali forze politiche sono al potere e a seconda delle diverse esperienze storiche con la Russia.*

 

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