Fonte: Il Fatto Quotidiano
“Non so proprio cosa succederà mercoledì”, dice Luciano Canfora con un sorriso ironico, “ma vorrei rincuorare i giornalisti di quotidiani e talk show, già vestiti a lutto: comunque vada, non sarà una tragedia”.
Non se la sente di fare un pronostico?
È difficile. La difficoltà nasce dalla debolezza dei due protagonisti, Conte e Draghi. Mi rendo conto possa sembrare un giudizio scolastico, ma mi sembrano entrambi inadeguati. Conte è stato un bravo presidente del Consiglio, non lo dico per simpatia politica, ma penso abbia impostato bene la lotta contro il contagio e abbia avuto grandi meriti nell’ottenere dall’Europa i fondi del Pnrr. Però come capo partito è in grande difficoltà: direi quasi imbranato. Capisco che guidare un movimento così caotico non sia stato facile, tra la rivalità con Di Maio e la presenza ingombrante di Grillo, ma se uno vuole fare quel mestiere deve attrezzarsi. Lui ha deluso.
E Draghi?
Anche lui ha mostrato una carenza. Saprà fare bene altre cose, ma non l’uomo politico. Un bravo politico non rompe le righe alla prime difficoltà, non brucia i vascelli alle sue spalle e si lascia sempre un’alternativa da percorrere. Il quadro attuale nasce dalla somma delle debolezze di questi due soggetti, che sono gli attori principali, ma pure gli attori secondari non hanno certo brillato. Alla fine, forse, viste le pressioni di vario tipo, quelle del presidente Mattarella e quelle che arrivano dall’esterno, Draghi potrebbe anche decidere di andare avanti.
Altrimenti sarebbe il caso, più unico che raro, di un premier che se ne va senza essere sfiduciato e con una maggioranza parlamentare.
Di solito il presidente del Consiglio cerca a tutti i costi di restare al suo posto, lui sta tentando a tutti i costi di andarsene. La maggioranza in Parlamento c’è: se siamo sull’orlo del baratro, come dicono tanti osservatori, beh allora forse è il caso che si fermi!
Siamo davvero sull’orlo del baratro? Draghi, in questi 17 mesi, si è meritato una così ampia apertura di credito e di stima?
Non so. Di sicuro attorno alla sua figura c’è stata tanta retorica apologetica, con punte quasi comiche: si ricordi l’articolo sulle statue di De Gasperi e di Einaudi che si inchinano al passaggio del “migliore”. Dopo questa stagione di esaltazione senza limiti, per gli organi di stampa è difficile accettare che se ne vada così: devono piangere per forza, è un obbligo quasi estetico. Io invece vorrei incoraggiarli: non sarebbe un dramma.
Non si perderebbe tempo vitale, in una fase storica così delicata?
Mettiamo che Draghi si rifiuti davvero di andare avanti, una soluzione potrebbe essere sostituirlo con una figura che non crei particolari imbarazzi alle forze politiche della maggioranza. Uno come Daniele Franco. Se invece prendesse forma l’ipotesi considerata più pericolosa – e cioè che il presidente della Repubblica sciogliesse le Camere e indicasse una data per le elezioni – credo si finirebbe per votare verso ottobre. Draghi rimarrebbe in carica per l’ordinaria amministrazione (la storia recente dimostra che non è necessariamente così ‘ordinaria’), solo pochi mesi in meno della durata naturale della legislatura. Eviterei toni apocalittici: Mattarella è un buon democristiano e ha l’esperienza del tessitore, farà in modo di diluire questa crisi.
Molti ferventi democratici vogliono evitare il voto per non favorire la destra.
Cosa cambia? Più va avanti il governo senza Meloni, più Meloni cresce nei consensi.
Intanto il centrosinistra è esploso, almeno nella versione Pd-5S.
Qualche responsabilità ce l’ha anche Enrico Letta, che ha impostato da subito il rapporto con il M5S con pretese di carattere egemonico, urticando e indebolendo i suoi interlocutori. Ora la forza elettorale del Movimento si è molto ridotta: come alleati per il Pd sono meno interessanti. Ma il Pd stesso non sa da che parte girarsi, il campo largo non esiste più.
Chi rappresenterà il mondo del lavoro in crisi?
Per fortuna c’è la Cgil. Un contraccolpo positivo dell’irrigidimento del Cinque Stelle è il fatto che il governo si sia deciso a ricevere e ascoltare i tre sindacati confederali. Sulle loro spalle c’è il destino di una grande massa sociale in sofferenza.