Luciano Canfora: “Meloni neonazista? Glielo ridirei. In Tribunale spiegherò perché”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Francesco Rigatelli
Fonte: La stampa

Luciano Canfora: “Meloni neonazista? Glielo ridirei. In Tribunale spiegherò perché”

Il 12 aprile 2022 durante un convegno al liceo scientifico Fermi di Bari lo storico Luciano Canfora definì l’allora non ancora premier Giorgia Meloni «neonazista nell’animo» per il suo appoggio alle imprese del Battaglione Azov, formazione paramilitare ucraina di orientamento neonazista. La presidente di Fratelli d’Italia lo querelò per questo tramite il suo avvocato e deputato Andrea Delmastro, ora sottosegretario alla Giustizia. Martedì 16 aprile al Tribunale di Bari si terrà la prima udienza predibattimentale.

Professore, come si difenderà?

«Non voglio anticipare quello che è rispettoso che io dica solo davanti al giudice. Posso solo ripetere quel che ho detto e perché l’ho detto, il resto lo aggiungerò nella sede giusta. La questione, al di là del dibattito sulla questione ucraina, è oggettiva. Meloni discende dal Movimento sociale, un partito che si riferiva alla storia della Repubblica sociale, cioè a uno stato satellite del Terzo Reich».

Da qui a definirla neonazista il passo è breve come il secolo scorso?
«Il prefisso “neo” serve proprio a indicare che una persona viene da un nucleo originario da cui poi si è evoluta. Aggiungo un dettaglio che forse è sfuggito: “nell’animo” è una citazione da Tocqueville, che ammette che il suo animo è contrario alla democrazia, riferendosi a una parte di sé interiore non predominante. Tutti abbiamo delle pulsioni più o meno confessabili, che dominiamo con la ragione».

«Ne sarei contentissimo, perché lo sono, mentre altri pensano che sia un insulto. In Inghilterra fino a un secolo fa “democratico” era una parolaccia, perché significava “rivoluzionario”. Insomma, i tempi evolvono».

E lei, con tutto il rispetto, non è rimasto indietro a considerare stalinista un complimento?
«Sempre più avanti dei neonazisti».

Lei definisce la destra neonazista a prescindere dalla posizione sull’Ucraina?
«La Storia continua in maniera sorprendente. Meloni, che come noto fatica a definirsi antifascista, è passata in pochi anni da una posizione filorussa ad una filoucraina. All’interno delle forze ucraine c’erano anche componenti neonaziste. La mia definizione in un convegno voleva fare riferimento anche a questo aspetto».

Dica la verità, è un po’ dispiaciuto?
«Neanche per sogno. Perché dovrei? Non credo proprio. Sono convinto con Togliatti che la politica sia il momento più alto della vita morale. E con Socrate penso che non ci sia l’uomo cattivo, ma ignorante».

Si riferisce a Meloni?
«No, a tutti noi. Trovo paradossale vivisezionare in questo modo le opinioni delle persone. Allora vuol dire che c’è davvero la censura».

Oggi che Meloni è premier ripeterebbe quella frase?
«Sì, la sto ripetendo continuamente. Mi lasci dire che ho simpatia per le sue domande, ma quando sono così a grappolo e a carattere tribunalizio mi lasciano un po’ perplesso».

Dunque ripeterebbe quella frase?
«Sì, anche se tra un po’ dovrò fare penitenza temo».

Alessandro Sallusti ha scritto su Il Giornale che il suo è un insulto spacciato per libertà…
«Una delle mie lacune è di non leggerlo. La mia è semplicemente una valutazione politica, e come tale non decade».

Esiste un diritto all’insulto?
«A questo punto devo dirle che sono argomenti che svilupperò solo davanti al giudice».

Cosa ne pensa di Saviano che ha dato a Meloni della bastarda?
«È un linguaggio che non ho mai usato, ma lo fece Almirante riferendosi alla Repubblica italiana».

Ezio Mauro e Massimo Giannini ieri a Metropolis hanno denunciato la sproporzione di forza tra la premier e un cittadino per quanto illustre come lei, si sente sotto pressione?
«No, ma è un fatto ed un esempio interessante della nostra vita politica degli ultimi tempi. Io rivendico la libertà di dare definizioni dei politici. I giudizi poi per alcuni sono gratificanti, per altri meno».

Non comprende che qualcuno che non si sente così possa offendersi?
«Sì, pazienza, può fare un articolo e spiegare perché. Pure io ho ricevuto insulti violentissimi e non mi sono messo a piangere. A mio padre i fascisti spararono addosso nel 1928 e si salvò per caso, a me finora è andata meglio».

Meloni ora che è premier dovrebbe ritirare la querela secondo lei?
«Questione di buon gusto, faccia come vuole, non la giudico per questo».

Ma come politica oggi come la definirebbe?
«L’azione del suo governo, come di tutti, è predeterminata dalla Nato e dall’Ue. I caratteri fondamentali della premier sono dunque atlantismo, europeismo linea Von der Leyen e il poco che resta lotta ai migranti stile decreto Cutro».

Quindi come la definisce?
«È un grosso problema di pensiero politico. Nel suo libro lei si definisce vicina a Vox. L’orizzonte sembra quello, poi c’è stato qualche ritocco nel libro con Sallusti. Se fossi un umorista direi vociana, nel senso di Prezzolini ma anche pensando a Vox più che a Orbán».

Il limite di Meloni è di non dirsi antifascista?
«Non credo sia un limite, è un fatto. Non ho nessun intento demonizzante nei suoi confronti. Mi riferisco semplicemente a categorie storiche. De Felice, per esempio, parlò del fascismo come di democrazia di massa».

E lei lo condivide?
«No, perché il fascismo avversava la democrazia».

Non c’è una fissazione della sinistra sul fascismo, mentre i difetti di questa destra sono altri?
«La simbiosi tra quel che è sopravvissuto del fascismo e l’oltranzismo atlantista costituisce l’attuale terreno di coltura della destra mondiale. L’attenzione a questi fenomeni non è un capriccio. Se mai l’antifascismo va riempito di contenuti e invocarlo non basta».

Nicola Piovani ha detto che la destra accontenta tutti con la retorica, ma fa l’interesse di pochi…
«Da Mussolini in poi è sempre stato così. Ora non hanno la sua bravura oratoria, ma il metodo è lo stesso».

A Bari è salito sul palco per Decaro a dire che i Comuni sono stati la prima vittima del fascismo…
«È vero, ma come disse Marx la prima volta è tragedia, la seconda è farsa. Anche se la procedura di scioglimento procedesse il Comune verrebbe sciolto prima per elezioni. Un goffo intervento della destra nella campagna elettorale».

L’accusa generica alla sinistra è di non occuparsi di sicurezza e libertà economiche, lei come la pensa?
«Un esempio per tutti: quando c’era contrapposizione tra la sinistra tutta e i governi centristi, Giuseppe Di Vittorio elaborò il piano del lavoro. Fare politica significa produrre proposte alternative di lungo periodo».

Alle Europee cosa voterà?
«Attendo le liste, ma probabilmente Sinistra italiana».

Montanelli le diede dello storico parruccone di sinistra, lei si sente un militante?
«O tutti gli storici lo sono in quanto ricercatori o insinuare che buttino il loro lavoro in politica è fastidioso. Poi pure il grande Mommsen si impegnò nella vita pubblica tedesca, ma questo ha un altro senso e lo stesso vale per me».

La sua arma segreta è l’enorme preparazione?
«Io studio e mi considero uno studente in servizio permanente effettivo. Non sono così ingenuo da fare il monumento di me stesso. La ricerca per me è un modo di esistere».

Dopo la raccolta di firme tra Anpi, Arci, Cgil e Libera in suo favore, si sente un eroe della libertà di pensiero?
«Neanche dopo aver bevuto un bicchiere di troppo».

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