Luciano Canfora e Massimo D’Alema presentano “Marx e i suoi scolari”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giovanna Ponti

Luciano Canfora e Massimo D’Alema presentano “Marx e i suoi scolari” (Video)

Trascrizione di Giovanna Ponti

(10 marzo 2024)

MASSIMO D’ALEMA

Il libro di Canfora cerca di restituire alcuni punti del pensiero di Marx liberandolo da certe tradizioni marxiste che in parte lo hanno utilizzato fino a falsificarlo.

In particolare parte da alcune affermazione di Marx e si dipana su alcune delle principali interpretazioni dei suoi scolari, fra i quali il più famoso: Lenin.

Il tema che trovo più convincente nel libro è la negazione  che Marx  sia stato il teorico della dittatura  del proletariato. L’operazione che ha identificato il marxismo con la dittatura non trova fondamento nell’opera di Marx e nasce da una ossificazione del marxismo-leninismo, dallo schiacciamento del marxismo, che nasce come visione critica del capitalismo e delle sue contraddizioni,  sul progetto di interazione umana.

Marx infatti ha lasciato aperto il tema delle transizioni alle forme politiche che poi il movimento storico avrebbe trovato, non ha mai elaborato una teoria politica, anche se vede, dopo l’esperienza della Comune di Parigi, una possibile lotta di classe di tipo militare.

Marx non parla di dittatura, ma di egemonia.

La tradizione del marxismo-leninismo è stata complice del pensiero liberale nel fare una operazione che ha avuto un peso enorme nella storia e cioè l’identificazione del marxismo con l’idea di dittatura e di soppressione della libertà, consegnando la bandiera della democrazia nelle mani del pensiero liberale.

Il comunismo sovietico, nella sua versione ideologica, è stato complice di questa operazione culturale: ha schiacciato Marx sull’idea della dittatura e della fine della libertà.

Farei una piccola osservazione sul libro. Nella lettura di Canfora, la durezza del leninismo è legata all’analisi dell’imperialismo. Lenin nei suoi scritti dà l’avvio a quel processo di costruzione della dittatura di una minoranza e alle scelte politiche drammatiche che saranno l’inizio  di una dittatura che sfocerà nello stalinismo. Io penso che questo disprezzo per la democrazia avesse radici antiche, di tipo filosofico-ideologico.

Fin dal 1895 nell’introduzione al  testo “le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”di Engels, Federico Valentes scrive che l’autore vuole affermare che “ noi dobbiamo difendere la democrazia, anzi dobbiamo obbligare la borghesia a rimanere nel terreno della legalità perché sarà la democrazia che soffocherà il potere borghese”, ed Engels come interprete del pensiero di Marx ha una autorevolezza indiscutibile.

Nel libro giovanile di Lenin “Che cosa sono gli amici del popolo” ci sono pagine sprezzanti sulla democrazia che sembrano una risposta ad Engels. In questa opera il giovane  Lenin identifica il marxismo come una elaborazione contro il populismo, ma in realtà il suo pensiero è già fortemente segnato dalla violenza populista. Il disprezzo di Lenin per la democrazia viene prima della realizzazione della rivoluzione, è una sua caratteristica culturale.

In qualche modo Canfora porta alla luce anche l’elaborazione marxiana di un altro scolaro che ha combinato meno guai di Lenin e che si chiama Gramsci.

 

LUCIANO CANFORA

Parlando di Lenin non possiamo pensare ad un avventurista.

La tradizione specifica del comunismo sovietico ha una sua consistenza politica.

Accanto a questa posizione. e penso a Rosa Luxemburg, vi è la critica di un sostanziale giacobinismo di una avanguardia che trascina, e quindi si investe di un ruolo egemonico e dispotico, secondo i tempi e i momenti che sono propri del giacobinismo.

Giacobinismo che fu proprio anche della Comune che però a Marx non piaceva per niente. Marx si accolla la Comune solo dopo la sua sconfitta e ciò è un gesto di grande intelligenza.

Quella tradizione, peraltro respinta dal socialismo francese, è risolta dentro, avrebbe detto Gentile, la “impazienza leninista” rispetto ai tempi dello sviluppo di un movimento che per andare avanti, deve andare piano, senza cercare scorciatoie.

Il giacobinismo di Lenin, che lui non ha mai ammesso, è dentro alla situazione politica che, al termine della Prima guerra mondiale, concede delle chances. Non stiamo parlando di un capriccioso avventuriero, stiamo parlando di uno sperimentato politico rivoluzionario con mire egemoniche che percepisce la sconfitta del movimento europeo di fronte alla guerra e, con la richiesta della pace subito, conquista un mondo (meno ostile) per la neonata Repubblica Sovietica. Lenin capisce subito la sconfitta in Occidente e, tra le cose possibili, comprende quello che effettivamente accadrà e che  gli permette di guardare il resto del mondo (e di trovare una legittimazione al suo governo).

Il trattino, poi rimosso, tra marxismo-leninismo era una forzatura arbitraria perché sono stati due pensieri diversi ed il secondo ha strumentalizzato il primo forzandolo fino in fondo.

MASSIMO D’ALEMA

Sono d’accordo. D’altra parte anche la via italiana al socialismo di Gramsci e Togliatti è stata un’altra cosa rispetto all’ortodossia marxista e leninista. Un’idea geniale per rendere compatibile la lotta di classe alla situazione particolare italiana.

A partire da Gramsci noi abbiamo cercato di offrire una alternativa alla visione classica,

Vorrei tornare a Marx. Il tuo libro indica l’idea di rileggere Marx al di fuori di ogni dogmatismo.

Noi abbiamo coltivato l’illusione, perché tale si è rivelata, che sotto l’egida del capitalismo globale fosse finita la storia dell’umanità. Questa idea ha rafforzato anche noi, dopodiché ci siamo trovati davanti a una crisi drammatica.

Oggi si torna a leggere Marx perché il tema che lui propone, e cioè che il capitalismo nel suo sviluppo produce disuguaglianze ingiustizia ed alienazione, torna ad essere un tema attuale.

E scopriamo che Marx, due secoli fa, ha intuito perfino, nel quarto libro del Capitale, ciò che poteva significare lo sviluppo della Finanza. Questo signore a un certo punto dice che il meccanismo del denaro che produce denaro apre una grande contraddizione che è quella che esiste tra la finanza internazionale e i produttori di ricchezza e Marx definisce “produttori di ricchezza” gli imprenditori e gli operai insieme. Cioè il teorico del conflitto di classe tra padrone e operai, arriva a un certo punto a comprendere che chi produce ricchezza dalla ricchezza diventerà un nemico dei produttori (intesi come grande categoria che va dagli imprenditori all’operaio).

Marx arriverà a dire che si potrà creare una economia nella quale il valore non verrà più da uno sfruttamento del lavoro del singolo operaio, ma dal controllo sociale dell’innovazione.

Il controllo dei grandi processi dell’economia genera oggi un potere enorme. Se noi pensiamo cosa è oggi il capitalismo globale, il potere dei grandi gruppi che controllano l’Intelligenza Artificiale, il mondo del digitale, quale concentrazione di ricchezza di potere questo comporti, beh, quel signore con la barba queste cose le aveva già intraviste. E questo controllo oggi è nelle mani di grandi imprenditori privati.

La Cina ha cercato di conciliare il pensiero marxista occidentale, basato sul conflitto e sullo scontro, con la filosofia orientale dell’armonia e questo è un modo abbastanza originale di dare nuove prospettive.

Noi abbiamo due grandi esperienze: quella sovietica dove lo Stato ha soffocato il mercato e quella americana, a cui l’Europa si è ora ridotta, in cui il dominio del mercato capitalistico ha distrutto la politica.

La Cina cerca di mantenere un governo di indirizzo, anche attraverso metodi autoritari.

Oggi il vero problema della democrazia non è il fatto di essere soffocata da marxismo, perché nel mondo occidentale è stato sconfitto, ma quello che pone un drammatico problema fra democrazia e questo nuovo capitalismo che erode le basi stesse della democrazia.

Quando tu hai una concentrazione di grandi tecnocrazie, formato da gruppi finanziari internazionali che svuotano i poteri democratici, tu hai una situazione in cui la democrazia diventa meramente una parvenza.

Oggi non solo Marx ha dimostrato di non essere stato il grande nemico delle democrazie, ma abbiamo bisogno del suo pensiero critico del capitalismo e delle sue contraddizioni se vogliamo ridare un fondamento alla democrazia.

 

LUCIANO CANFORA

Il confucianesimo è alla base della cultura cinese. La storia della Cina è una storia di avvicinamento e allontanamento dalla storia occidentale che per loro è incarnato proprio dalla esperienza del comunismo mediato dai sovietici. Inoltre molti dirigenti del PCC hanno studiato in Europa e sono stati influenzati dal pensiero occidentale.

Quando si è tentato la rottura con il passato e la tradizione confuciana è stato un fallimento non solo politico, ma anche un segno per lungo tempo. La rivoluzione culturale è costata la vita a milioni di persone.

L’esito riporta a una conseguenza molto importante perché nel processo storico si mescolano, si complicano suggestioni che passano in maniera geometrica, radicale e poi si contaminano. Il peso nella storia della cultura, dei pregiudizi è ineliminabile. Vedi gli esisti della Rivoluzione Francese.

I rivoluzionari devono sapersi contaminare dal passato.

Questo spiega perché non c’è mai stata una vera Internazionale: non poteva esserci!

Nel mondo attuale, pensiamo ad esempio a quattro grandi realtà, Cina India Sud-Arica e Brasile, che guardano ormai all’Occidente con allarme e lontananza, e rappresentano tre quarti dell’umanità.

Questo ai nostri propagandisti dell’Occidente non è mai chiaro del tutto, anzi lo rifiutano ciecamente.

In quel mondo grande, il marxismo è stato un alimento e la spinta verso la decolonizzazione.

Ma questi grandi Paesi hanno sperimentato grandi sforzi organizzativi e di mediazione con le loro tradizioni culturali.

Però mentre in Cina c’è questa ritrovata armonia confuciana, l’India ha avuto una dinastia regnante occidentale che era sovrapposta a un mondo che aveva un’altra tradizione. Quella tradizione, che per certi aspetti è per noi inquietante, è  stata rilanciata con l’induismo contrapposto al modello occidentale, con però una componente islamica fortissima. Non c’è da stare tranquilli, ma occorre sottolineare che anche l’India ha comunque recuperato le sue tradizioni.

In America Latina molti Paesi guardano ai nostri modelli spesso traviandoli. Penso al singolare filofascismo del peronismo che è un bel problema storico perché la tradizione latino-americana è quella che il Garibaldi giovanissimo ha abbracciato e ha, a suo modo, trapiantato nel nostro Mezzogiorno. Cavour considerava Garibaldi un dittatore, per dire.

Le tradizioni dei popoli sono quindi fondamentali.

…….

Tornando a Marx, non lo si può definire un politico in senso stretto, e tanto meno un uomo di Partito. Non fu mai nemmeno molto impegnato come militante: criticherà aspramente Ferdinand Lassalle, che pure lo adorava, che fondò nel 1863 il Partito Socialista tedesco, poi Partito Socialdemocratico tedesco.

Marx fonda nel 1864 l’Assemblea Nazionale dei Lavoratori in Inghilterra che però raccoglie cento anime diverse, anche se lui fu all’interno l’ uomo con il  massimo valore intellettuale.  Comprende che la Comune era opera di altri, dei socialisti francesi, e non vi partecipa pur riconoscendola come opera positiva, ma solo a posteriori.

La teorizzazione di una futura globalizzazione sta già nel capitolo più bello del Manifesto, e da Marx ribadito dieci anni dopo in una lettera in cui dice “Ormai il mercato è mondiale”. Nella piccolissima e marginale Europa possiamo solo tentare la rivoluzione socialista, ma sarà schiacciata perché il capitale ha sfondato e ha conquistato tutto il mondo” (1858).

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