di Antonio Gaeta, 2 settembre 2018
Ho appreso di un’associazione culturale, che ha assunto l’impegno di diffondere nel raggio di propria influenza la fruizione di particolari rappresentazioni teatrali.
I protagonisti sono cultori appassionati del teatro, che non esercitano professionalmente l’attività di attore. Il copione delle rappresentazioni in questione, pur nelle sue particolarità e diversità, assume tratti filodrammatici simili a quelli della tragedia. Per questo la loro trama ha suscitato il mio interesse nei confronti di un articolo di giornale, che cito in brani, stante l’attinenza dell’argomento con quanto ho scritto su “L’uomo: una ricerca in corso d’opera” (vedi note).
Con riferimento alla ”Nascita della tragedia greca”, pubblicazione giovanile di Friedrich Nietzsche, Matteo Nucci, nella sezione del quotidiano “Il Manifesto” (31.08.2018) , dedicata al Festival della Mente, scrive:
«L’idea centrale del libro di Nietzsche è semplice. Il mondo greco non è affatto dominato da quei canoni di misura, armonia, equilibrio e saggezza con cui per secoli appassionati e studiosi si perdevano in un’ammirazione sognante dell’irrecuperabile passato. Due sono le forze in gioco, in effetti. Ciascuna di esse ha il volto di un dio. Apollo contro Dioniso.(1)
La forza apollinea è ben raccontata dalla chiarezza con cui le arti plastiche sanno rappresentare l’essere umano nella sua individualità. Si tratta di uno sguardo limpido e luminoso quasi opposto allo sguardo cupo, ambiguo, selvaggio della forza che all’apollineo si oppone: il dionisiaco. È la musica, stavolta, a raccontare perfettamente quella dimensione orgiastica, ebbra, capace di calarsi nelle profondità abissali dell’animo umano, vedendolo dunque non nella sua individualità ma nella sua appartenenza all’umanità tutta e anzi all’animalità in genere, da cui l’uomo non può separarsi.
Queste due forze, secondo la geniale opera di Nietzsche, si ritrovano a dialogare nella tragedia antica, che nasce proprio dallo spirito dionisiaco della musica, quella del coro: ossia il centro originario della tragedia stessa. Ascoltando il canto del coro, così potente e pervasivo, nelle prime tragedie, il pubblico veniva spinto, secondo Nietzsche, a entrare progressivamente in una dimensione orgiastica segnata dalla perdita del principium individuationis, (2): ossia il principio che rende ogni essere umano un singolo esponente della sua specie, diverso da tutti gli altri. Nella musica del coro gli spettatori finivano per sentirsi parte di un tutto in cui smarrivano il senso della propria storia personale e delle proprie piccole, contingenti, aspirazioni e paure… omissis
Comunque sia di ciò, fra la scena e gli spalti, dove il pubblico si assiepava per ore, stava lo spazio dell’orchestra, ossia il luogo della danza (orchèomai significava danzare): ovvero il luogo della musica dionisiaca».
Per pura coincidenza il copione delle rappresentazioni dell’associazione di cui ho detto prevede l’inserimento di danze, che sembrano contrastare con le sobrie caratteristiche narrative, rese in forma teatrale moderna.
La danza, come molti sanno, nasce dal naturale bisogno umano di ebrezza: ovvero voglia di annullare le singole identità (le storie individuali), per sentirsi parti di un’inseparabile collettività.
Detta circostanza mi ha indotto a pensare che Nietzsche ignorava la sostanziale continuità del culto dionisiaco intercorrente tra le matrifocali civiltà europee pre-storiche e il riemergere dello stesso culto in quelle greche, di derivazione indoeuropea (o ariana, comunque di cultura patriarcale). Tale continuità ci parla della danza come facente parte di antichissime tradizioni di musicalità corale, cui si associarono nel corso del tempo strumenti sonori, sempre meno rudimentali.
Certamente non abbiamo testimonianze di rappresentazioni di tipo teatrale riconducibili a dette civiltà pre-ariane. Tuttavia, i canti e le danze tutt’oggi praticati presso culture, abitualmente considerate di grado evolutivo inferiore rispetto al nostro, sono ancora in grado di trasmetterci messaggi molto importanti per tutti gli esseri umani: ovvero il senso di ebbrezza, scaturente dalla gioia di sentirsi parte importante dell’animalità, in comunicazione con tutta la biosfera !
Pur nelle continue trasformazioni di stile, introdotte dal dominio delle forme di potere fondate sullo sviluppo delle capacità raziocinanti, la danza ha mantenuto alcuni tratti fondamentali delle sue origini. Essa unitamente con la musica accompagnatrice ci parla ancora di un’esigenza corporea, che trae spunto dalla necessità riproduttiva della specie, manifestata con l’accoppiamento.
Persino nelle esibizioni apparentemente individuali più sfrenate, che seguono i ritmi cosiddetti “tribali” della creatività musicale contemporanea, il danzante esprime spesso (con linguaggio non verbale, esternato in forma tragica) il dramma della propria esistenza, espropriata (giusta mercificazione del sesso) della spiritualità sessuale: quella che lo renderebbe felice di appartenere alla propria specie, in armonia con tutte le altre.
NOTE:
(1) – vedi https://www.nuovatlantide.org/luomo-una-ricerca-in-corso-dopera-ii-il-dualismo-antropologico/
(2) – vedi https://www.nuovatlantide.org/luomo-una-ricerca-in-corso-dopera-iv-principium-individuationis/