Fonte: Inchiesta
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di Vittorio Capecchi | 8 maggio 2015
Contro l’intelligenza di Keynes, Adriano Olivetti e la FLM (vedi articoli precedenti nella sezione “economia”) si è opposta, fino adesso con successo, l’opacità del neo liberismo che ha portato alle contraddizioni degli scenari economici attuali.
1. Breve storia del neoliberismo : nascita, trionfi e piccole esitazioni
Il manifesto ufficiale del neoliberismo è il libro del 1962 Capitalism and Freedom di Milton Friedman. La responsabilità sociale dell’impresa è definita da Friedman con queste parole:
“L’impresa ha una e una sola responsabilità sociale: quella di usare le risorse a sua disposizione e di impegnarsi in attività dirette ad accrescere profitti sempre con l’ovvio presupposto delle regole del gioco, vale a dire dell’obbligo ad impegnarsi in una aperta e libera competizione senza inganno o frode.”[1]
Friedman vede il profitto come unica finalità dell’impresa e condanna la posizione di chi afferma che “il mondo imprenditoriale dovrebbe contribuire a sostenere le attività caritative e soprattutto l’università”. La sua posizione su questo punto è categorica:
“La destinazione di somme, da parte delle imprese, per attività caritative e l’università, rappresenta un uso non corretto delle risorse delle imprese stessa, in una società di libera intrapresa. L’azienda è uno strumento degli azionisti che ne sono proprietari. Se l’azienda concede sovvenzioni, essa impedisce all’azionista singolo di decidere di sua libera scelta sull’impiego dei propri fondi”[2]
D’altra parte, per Friedman, non solo l’impresa ma anche lo Stato non deve intervenire nel sociale. In questa direzione Friedman trova l’appoggio di Leo Strauss che attribuiva alla Repubblica di Weimar la responsabilità dell’Olocausto e spiegava che una buona società è formata da individui virtuosi solo se lo Stato non interviene al livello sociale in quanto questi interventi sollevano le persone dalle conseguenze delle loro scelte individuali e sono molto pericolosi (Strauss riteneva che se negli Stati Uniti avesse trionfato lo spirito liberal, che proponeva interventi statali nel sociale, questo avrebbe indebolito la moralità americana e gli Stati Uniti avrebbero rischiato di fare la stessa fine della Repubblica di Weimar).
Friedman indica quindi uno dei principi base del neoliberismo: non sovvenzionare l’università, non realizzare un sistema di sanità pubblica, non intervenire con progetti sociali a favore delle persone più povere e così via. Friedman e Strauss ritengono che tutte le strategie del welfare state siano non solo economicamente ma anche moralmente errate e sono famose alcune affermazioni di Friedman: “L’Unione Sovietica è il pericolo immediato percepito dagli americani. Ma la vera minaccia alla sicurezza nazionale non è l’Unione Sovietica. La vera minaccia è lo stato assistenziale.” e “Nessun pasto è gratis”.
Lo Stato deve porsi come obiettivi solo quelli della difesa in politica estera e del controllo della criminalità in politica interna lasciando tutto il resto alla libera iniziativa privata. Così facendo sarà possibile ridurre le tasse con particolare attenzione a ridurle alle persone più ricche e più potenzialmente imprenditrici. Friedman è infatti contrario ad ogni tassazione progressiva (cioè far pagare in proporzione di più le persone più ricche) perché, egli scrive, “l’imposta progressiva è in realtà un’imposta che grava sul diventare ricchi; non intacca la posizione di quelli che lo sono già”.
La ricetta “economica e morale” proposta da Friedman è semplice: liberalizzare e privatizzare tutto il possibile (privatizzare le scuole, le università, le strutture ospedaliere, i fondi pensionistici, ogni tipo di commercio compreso quello della marijuana, le carceri ecc…) in modo da agevolare al massimo la competitività e la libera iniziativa. Per i neoliberisti ci sono solo due ostacoli da rimuovere: lo Stato quando fa politiche di welfare state (e impone tasse progressive per pensioni, scuola e ospedali pubblici ecc..) e i sindacati (che cercano di imporre salari più elevati). Su i sindacati il giudizio di Friedman è negativo perché “i sindacati sono un elemento anticoncorrenziale, sono un monopolio privato, sono contrari alle regole della libera iniziativa” ed ugualmente da condannare è ogni legislazione che imponga un minimo salariale perché contraria alla libera competitività tra le parti sociali.
Senza protezione sindacale e senza protezione statale è evidente che si presenta il problema della povertà e, come scrive Friedman, “vedere gente povera addolora me quanto chiunque altro, indipendentemente dal fatto che sia o meno responsabile” ma la povertà va considerata un problema “privato” e questo vale anche per le nazioni meno industrializzate perché se non vi sono interventi degli Stati e dei sindacati il libero sviluppo dell’impresa porterà anche queste nazioni da “sottosviluppate” ad essere “in via di sviluppo”. Ciò che attacca Friedman è l’idea che gruppi di persone in quanto povere (qualunque sia la nazione in cui i vivono), abbiano dei diritti (al cibo, all’assistenza medica, all’istruzione ecc..). Friedman precisa che occorra scegliere con decisione tra la libertà delle imprese e del mercato da una parte e i principi di uguaglianza e giustizia dall’altra e invita ad aver fede nella libertà delle imprese e dell’individuo anche se questo significa aver “fede nella disuguaglianza “
“Il fondamento della filosofia liberale è la fede nella libertà dell’individuo, nella sua libertà di trarre il massimo vantaggio dalle sue capacità e opportunità conformemente alle sue possibilità, alla sola condizione limitativa che non interferisca nella libertà di altri individui di fare lo stesso. Ciò significa per un verso, la fede nell’uguaglianza degli uomini ma per altro verso la fede nella loro disuguaglianza.”[3]
In questo scenario neoliberista è chiara la posizione attribuita all’impresa. L’impresa è responsabile solo verso gli azionisti e deve cercare di realizzare i maggiori profitti possibili subordinando a questo obiettivo tutte le sue scelte (i prodotti, l’uso delle tecnologiche, l’organizzazione del lavoro, il sistema delle retribuzioni, e così via). Ma non è solo questo.
L’impresa è anche l’attore principale, l’unica via per raggiungere il “benessere per tutti”. Dato che lo Stato deve ritrarsi insieme ai sindacati, tutto il benessere di una nazione dipende dalla libera iniziativa dell’impresa. Il ragionamento neoliberista è il seguente. Se le imprese sono lasciate libere, senza tasse e senza vincoli sindacali o di qualsiasi altro genere, aumenteranno i loro profitti ed aumenterà il Prodotto interno lordo (il PIL) di ogni nazione. Si avrà allora, un effetto di “ricaduta” (il così detto trickle down effect) sull’insieme della popolazione e questo avverrà qualunque sia la nazione considerata. Tutti gli attori devono perciò subordinare le loro scelte a questo fine: il Governo deve favorire le privatizzazioni e lo smantellamento dei sindacati e del welfare state; la scuola (privata) deve formare persone che incontrino le esigenze delle imprese; la scienza e la ricerca tecnologica deve essere orientata alla ricerca del maggior profitto delle imprese e così via. In quanto alle politiche regionali la ricetta è semplice: non c’è alcun bisogno di politiche regionali.
La prima immagine che il modello neoliberista tende a dare di sé è quella di un modello che predica la «libertà del mercato» e la «libertà dell’impresa», un’immagine che viene contrapposta ai passati regimi sovietici. Questa immagine è però falsa perché «la libertà» non si riferisce all’insieme di tutte le imprese come la dizione sembrerebbe ipotizzare ma, come precisa Joseph Stiglitz[4] si intende parlare solo delle «imprese multinazionali e transnazionali più forti in ciascun settore» e per queste imprese è previsto l’intervento statale. Il termine «neoliberismo» è quindi riferito a un modello economico che favorisce la concentrazione del potere nelle imprese più forti dei diversi settori ed è a favore di queste imprese e non della «impresa» che devono essere orientate le scelte dei grandi organismi economici e dei governi (dalle politiche protezionistiche alla riduzione delle tasse, dallo smantellamento del welfare all’attacco ai sindacati) insieme alle scelte della ricerca e delle università.
A metà degli anni ’70 Friedman arrivò all’apice del successo e cercò di sperimentare il suo modello ricordando gli insegnamenti dell’amico Leo Strauss sulla importanza che solo un gruppo di pochi poteva portare ordine in una società caotica. Nel 1975 venne ricevuto dal dittatore Pinochet in Cile che vide nel neoliberismo una filosofia del tutto consona alle sue politiche (il carteggio Pinochet-Friedman è disponibile anche in rete[5]) ed è questo successo che porta Friedman al premio Nobel per l’economia che riceve nel 1976. La storia di questi rapporti è descritta dall’economista Loretta Napoleoni:
“Nel 1956 la Pontificia università cattolica del Cile di Santiago firma un accordo di cooperazione con la Chicago School of Economics dell’Università di Chicago, Inizierà così uno scambio con gli studenti cileni che durerà due decenni. Alla fine degli anni ’60 una ventina di questi approda a Chicago e partecipa alle lezioni di Milton Friedman all’epoca considerate rivoluzionarie. «Ciò che caratterizza la scuola di Chicago è la convinzione che l’intervento dello Stato nell’economia debba essere minimo e il mercato lasciato libero di diventare lo strumento di controllo dell’economia». Così Milton Friedman riassume la sua teoria alla Pbs americana. Tornati a casa gli studenti manifestano il loro entusiasmo per i principi appresi e iniziano a riunirsi regolarmente ogni martedì per discutere i loro progetti. Il fine è riformare l’economia cilena. Presto vengono ribattezzati i Chicago Boys (..). Nasce un dialogo agguerrito tra i rappresentati del governo e i Chicago Boys che dura fino al colpo di Stato dell’11 settembre 1973 (..). [Nel 1975] Friedman (..) presenta un canovaccio di proposte per trasformare il Cile nel primo paese neoliberista. Pinochet lo riceve in privato e l’economista americano ne approfitta per spiegargli la sua filosofia. (..) Mesi dopo i Chicago Boys sono chiamati a riformare l’economia del paese e lo fanno e lo fanno applicando alla lettera le parole di Friedman: 500 imprese di Stato vengono privatizzate, le tariffe sull’importazione abolite, le spese statali tagliate all’osso e il mercato totalmente liberalizzato. Il Cile della dittatura di Pinochet diventa come Milton Friedman aveva sperato la prima nazione guidata dalla sua teoria economica neoliberista. (..). Il successo cileno instaura un legame perverso tra libertà di mercato e libertà politica, un legame che non è mai esistito. In Cile 24.000 persone muoiono o scompaiono per mano della dittatura mentre i Chicago Boys sono al lavoro per diffondere la libertà di mercato, Pinochet di fatto abolisce gli ultimi residui di quella politica. Il paese diventa un laboratorio economico circondato da un oceano di sangue”.[6].
Questo intreccio tra uso del potere militare, anticomunismo e sostegno alle multinazionali più potenti fu molto apprezzato dai presidenti repubblicani che iniziarono a dirigere gli Stati Uniti e come scrive Loretta Napoleoni «negli anni Ottanta Ronald Reagan e Margaret Thatcher introducono le stesse riforme che Pinochet ha sperimentato in Cile»[7]. L’ultimo prsidente USA sostenitore del neoliberismo, George W. Bush, confermerà queste scelte : riduzione delle tasse soprattutto a favore delle fascia medio-alta dei contribuenti, pochissime concessioni al welfare state, debito pubblico elevato con parallela svalutazione delle moneta per agevolare le esportazioni delle imprese; massimo appoggio alle imprese multinazionali più potenti e spregiudicate (come la Enron), non sottoscrizione del Protocollo di Kyoto, sostegno all’industria militare (fino a entrare in guerra con l’Iraq senza il consenso dell’ONU), adesione ai valori più conservatori come quelli delle sette protestanti dei Born again per assicurarsi i voti di chi non appartiene alla fascia medio-alta dei contribuenti.
La marcia trionfale del neoliberismo negli anni Ottanta e Novanta è sembrata inarrestabile ricevendo i consensi entusiasti delle multinazionali che operavano nelle nuove tecnologie della ICT. Da Bill Gates agli economisti Peter Schwartz e Peter Leyden allora responsabili della rivista Wired . Bill Gates[8] afferma che i principi del neoliberismo si sono rafforzati con l’ondata tecnologica della ICT perché oggi, attraverso Internet, si può arrivare ad un “capitalismo senza attriti” in cui l’universo dei consumatori può avere informazioni in tempo reale su i prezzi definiti dall’universo dei venditori e in questa “globalizzazione” (questo termine è strettamente collegato con il pensiero neoliberista) le imprese (ovviamente quelle di maggiori dimensioni e credibilità internazionale) sono avvantaggiate nella ricerca del loro massimo profitto.
Gates vede, come Friedman, l’impresa unico attore della economia e della società e per lui “l’istruzione è l’investimento più importante” a patto però che “la tecnologia informatica diventi il nucleo dell’esperienza didattica“. Nei suoi libri non sono mai nominate discipline come la storia, l’economia, la sociologia, la psicologia, la letteratura, la filosofia considerate inutili rispetto a ciò che è immediatamente più utilizzabile dalle grandi imprese come la sua. L’adesione di imprenditori “moderni” e di successo come Bill Gates al neoliberismo ha fatto si che riviste statunitensi come Wired (una delle più diffuse riviste sull’innovazione tecnologica e sulla ICT) diventassero strumenti di propaganda di questi principi. E’ infatti su Wired che Schwartz e Leyden scrivono un articolo (poi trasformato in libro) sul futuro radioso “per tutti” permesso dall’avvento della economia globale in rete. La ricetta per arrivare a questo futuro radioso é sintetizzata dai due economisti in tre azioni in linea con il pensiero di Friedman (distruggere i sindacati, privatizzare tutte le imprese pubbliche, smantellare il welfare state) :
“Intorno al 1980 Margareth Thatcher e Ronald Reagan hanno presentato insieme la formula che ha dato una spinta verso questa nuova economia. Una formula che all’epoca sembrò brutale : distruggere i sindacati, privatizzare tutte le imprese pubbliche e smantellare il welfare state. Ma col senno di poi si può affermare che ne valeva la pena”[9]
Per portare avanti queste strategie Schwartz e Leyden sottolinenano l’importanza che siano sostenute sia al livello internazionale (da organismi economici come il WTO, Banca Mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione mondiale dei brevetti) sia al livello nazionale con politiche governative che portino avanti le linee tracciate da Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Gli organismi internazionali sono correttamente valutati dai due economisti essere perfettamente in linea con il modello neoliberista mentre l’Europa è valutata negativamente perché una parte dei suoi governi si ostina ancora a difendere la presenza dei sindacati e del welfare state non aderendo totalmente a una strategia di privatizzazione totale.
Si arriva così agli inizi degli anni 2000 in cui esplodono gli scandali delle corporations (Enron, Gruppo Carlyle, Parmalat..) che fanno scrivere al giurista Joel Balkam a proposito del gruppo Enron che va messo sotto accusa il modello neoliberista:
“Dal caso Enron occorre trarre una lezione più profonda. […] Sebbene la compagnia sia nota per l’arroganza e la discutibile etica dei suoi dirigenti, nelle ragioni soggiacenti al suo tracollo possono essere rintracciate caratteristiche comuni a tutte le corporations: l’ossessione per il profitto e l’andamento delle azioni, l’avidità, la mancanza di attenzione verso gli altri e una certa propensione a infrangere la legge. Questi tratti sono, a loro volta, profondamente radicati nella cultura di un’istituzione, la corporation, che mette in primo piano gli interessi privati e respinge qualsiasi preoccupazione di ordine morale”[10]
Questi scandali non sembrano però intaccare l’adesione entusiasta al neoliberismo delle multinazionali e transnazionali ed è solo la crisi del 2008-2013 che ha fatto cadere i toni euforici del “futuro radioso” diffusi in USA negli anni ’80 e ’90. C’è stato perfino un brevissimo momento in cui si è parlato di “ritorno a Keynes” ma poi le multinazionali e transnazionali, sulle quali il neoliberismo è costruito, si sono riorganizzate intorno ai vertici degli organismi economici internazionali e al finanzcapitalismo e lo scenario complessivo non è mutato anche se sono visibili evidenti contraddizioni.
2. Le contraddizioni negli scenari economici attuali
Lo scontro tra chi aderisce ai “valori” del neoliberismo e chi si muove percorrendo vie alternative è diverso a seconda che da uno scenario internazionale si consideri uno scenario europeo e dai vertici delle politiche europee si passi alle politiche regionali arrivando alle imprese di una specifica regione. l’ Emilia Romagna, oggetto di un libro in corso di stampa con la casa editrice Il Mulino di Bologna dal titolo Tra storia e futuro. Politiche per una regione smart. Una ricerca sulle trasformazioni dell’economia in Emilia Romagna a cura di Vittorio Capecchi, Sergio Caserta e Angiolo Tavanti.
(a) Lo scenario internazionale (dominato dagli organismi economici internazionali, dal sistema della finanza internazionale e dai rapporti di forza tra i diversi governi nazionali) è oggi il risultato delle politiche neoliberiste fino adesso imperanti. Cinque tavole possono sintetizzare questo scenario.
La prima tavola è quella riportata più di venti anni fa nel Rapporto 1993 dell’UNDP[11] (l’Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) che pubblicò in copertina l’immagine di uno strano calice formato da una coppa molto ampia e da uno stelo lungo e stretto per visualizzare il fatto che, dati del 1989, il quinto più ricco della popolazione mondiale (il 20% che vive negli Stati Uniti, Europa e Giappone, la così detta «Triade») possiede l’82,7% della ricchezza prodotta, l’81,2% del commercio mondiale, il 94,6% dei prestiti bancari e l’80,6% di tutti gli investimenti e risparmi, mentre nelle nazioni più sfruttate, dove vive l’80% della popolazione mondiale, si produce e si consuma meno del 20% della ricchezza mondiale. La struttura di questi squilibri non è mutata. Nel Rapporto 2010[12] è scritto che gli ultimi venti anni “sono stati contrassegnati da un aumento delle disuguaglianze, tra e all’interno di una stessa nazione, con l’emergere di modelli di produzione e consumo che, in misura crescente sono apparsi insostenibili” e anche dall’ultimo rapporto UNDP disponibile[13] risulta che 1. 2 miliardi di persone vivono con meno di 1,25 dollari al giorno e quasi un miliardo e mezzo di persone “vive nella povertà subendo privazioni che coinvolgono salute, istruzione e qualità della vita”.
La seconda tavola[14] è quella in cui sono indicati i salari orari per occupato nell’industria manifatturiera che indicano (dati 2003) che di fronte a una media UE di 24,53 euro all’ora (in Germania 27,9; in Italia 20; in Francia 27,7) si hanno salari orari medi del 14,21 in Spagna; 9, 21 Portogallo; 4,70 Polonia;1,67 Romania; 1,39 Bulgaria; 1,00 nella Cina urbana; 0,50 nella Cina rurale.
Una terza tavola è basata su i dati che mostrano tutto lo strapotere delle multinazionali del cibo e dell’acqua necessaria per la vita. Nel Rapporto UNDP del 2009 si scrive che “Oggigiorno, circa 1,1 miliardi di persone nei paesi in via di sviluppo hanno un accesso inadeguato all’acqua e 2,6 miliardi sono prive di servizi igienico-sanitari di base. Due deficit gemelli, che affondano le radici nelle istituzioni e nelle scelte politiche, non nella disponibilità di acqua. Il fabbisogno di acqua delle famiglie rappresenta una quota esigua dell’impiego idrico, in genere inferiore al 5 per cento del totale, ma sussiste una spaventosa disuguaglianza nell’accesso all’acqua pulita e ai servizi igienico- sanitari a livello di famiglie. In Asia, in America Latina e nell’Africa sub sahariana, le persone che vivono nelle zone ad alto reddito delle città hanno accesso a diverse centinaia di litri d’acqua al giorno, distribuita presso le loro abitazioni a prezzi contenuti dalla rete dei servizi pubblici. Nel contempo, gli abitanti delle baraccopoli e le famiglie povere nelle zone rurali dello stesso paese hanno accesso a una quantità di gran lunga inferiore ai 20 litri d’acqua al giorno per persona, necessari per soddisfare i bisogni umani più elementari. Sulle donne e sulle ragazze grava un duplice svantaggio, in quanto sono loro a sacrificare il proprio tempo e la propria istruzione per garantire l’approvvigionamento d’acqua”. Altri dati da inserire quelli sullo spreco di cibo nel mondo , dati presentati dalla FAO nel 2011 secondo cui oltre un terzo del cibo prodotto ogni anno per il consumo umano, cioè circa 1,3 miliardi di tonnellate, va perduto o sprecato, contenuta nello studio intitolato Global Food Losses and Food Waste (Perdite e spreco alimentare a livello mondiale). Lì si dice che i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo sperperano, rispettivamente, 670 e 630 milioni di tonnellate di cibo ogni anno.
Quarta tavola: quella sul riscaldamento globale e sull’inquinamento dell’aria, terra e acque. Come continuano a denunciare Greenpeace e gli esperti mondiali “ai ritmi attuali, la crescita delle temperature nei prossimi anni potrebbe essere di 0,2 gradi per decennio, e forse più, e raggiungere tra 1,8 e 4 gradi centigradi di aumento globale alla fine del Ventunesimo secolo. Un tale riscaldamento comporterebbe l’estinzione di molte specie animali e vegetali e lo sconvolgimento dell’assetto climatico così come lo conosciamo”.
Quinta tavola: sulla diversa speranza di vita nel mondo e sugli squilibri della ricerca. Come è stato scritto nell’appello lanciato da Medici senza frontiere e altre organizzazioni nel 2005 “Il problema non potrà essere risolto fino a che non si ammetterà il fallimento dell’attuale sistema di ricerca basato solo sui profitti e sui brevetti. Delle 1393 nuove medicine immesse sul mercato tra il 1975 e il 1999 appena 11 erano per malattie tropicali. Una stima aggiornata al 2004 parla di 1550 nuovi farmaci, di cui meno di 20 per malattie tropicali o TBC. La spesa globale per ricerca medica è cresciuta negli ultimi 10 anni da 30 a 106 milioni di dollari. Nello stesso periodo la spesa per ricerca sulle malattie che colpiscono i paesi più poveri è cresciuta molto meno, da 0,3 a 3,5 milioni di dollari. Eppure queste patologie rappresentano il 90% delle npatologie mondiali. E’ indispensabile che i Governi intervengano per trovare nuovi meccanismi di incentivo e di finanziamento per una ricerca medica basata sui bisogni di salute pubblica mondiale e non solo sui profitti”.
E’ del tutto evidente che il portare avanti politiche neoliberiste porta ad un aumento delle disuguaglianze tra e all’interno delle nazioni oltre a una distruzione delle risorse umane e naturali che mettono a rischio tutta l’umanità.
(b) Scenario Europa. Quando dallo scenario internazionale si arriva alla Comunità Europea occorre distinguere due diversi tipi di attori: quelli al vertice della così detta Troika e dei governi europei più potenti) [15] e quelle rintracciabili nelle diverse regioni europee. E’ facile valutare le politiche della troika e di governi nazionali come quello della Merkel come politiche neoliberistiche che hanno come punto di riferimento il finanzcapitalismo[16]. Se invece si analizzano le regioni europee, come nel saggio scritto da Capecchi con Bernd Beck[17], si può osservare che nel Lander del Baden-Württemberg le politiche regionali sono guidate da una coalizione Spd-Verdi che ha battuto la Merkel nelle elezioni del 2011 e quella regione tedesca è oggi all’avanguardia in Europa per strategie smart molto distanti dalle politiche neoliberiste della Troika. In una politica regionale ci si può perciò trovare in contrasto con le politiche della Troika ed avere sintonie con le politiche realizzate in regioni come il Baden-Württemberg .
(c) Scenario regioni europee La politica europea al livello della Troika e di governi nazionali come quello della Merkel sono immerse in uno scenario neoliberista ma non così sono i documenti elaborati dalla Commissione Europea che a partire dalla svolta di Lisbona (2000) arrivano ai recenti documenti Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Questi documenti sono alla base del Programma europeo per la Ricerca e l’innovazione (2014 -2020) Horizon 2020 e per accedere ai finanziamenti occorre immergersi uno scenario di “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” che è certo quello prefigurato da Milton Friedman e Pinochet.
(d) Scenario Italia Quando dallo scenario europeo si passa a quello italiano gli effetti della crisi sono visibili in direzioni diverse:
(1) Aumento del divario regioni centro nord/regioni sud L’Italia si riconferma in Europa come la nazione che ha le più elevate differenze regionali al proprio interno ed emerge sempre più forte una “questione meridionale”. Nel Mezzogiorno, all’aumento dell’incidenza della povertà assoluta (circa 725 mila poveri in più, arrivando a 3 milioni 72 mila persone), si accompagna un aumento dell’intensità della povertà relativa, dal 21,4 al 23, 5%[18]. Inoltre, come risulta dall’articolo di Silvano Bertini che analizza gli indicatori economici per regione nel periodo 2008-2012 le regioni del Mezzogiorno si stanno staccando dalle altre non solo per minore occupazione e maggiore disoccupazione ma anche per minore PIL, minori esportazioni, minore spesa (pubblica e privata) in Ricerca e Sviluppo. I dati sulla salute sono nella stessa direzione. Come risulta dall’Istat[19] nel 2011 mentre la vita media in Italia è di 79,4 anni per gli uomini e 84,5 per le donne nel Mezzogiorno la vita media si abbassa a 78,8 e 83,9 ed in Campania (la regione in cui si vive meno a lungo) si arriva a 77,7 e 83 (una distanza di 2,8 anni di differenza rispetto alle regioni in cui si vive più a lungo). Risulta inoltre[20] che mentre nelle famiglie del Centro Nord la percentuale di famiglie che hanno al loro interno un NEET (un giovane dai 15 ai 29 anni che non studia e non lavora) è inferiore al 4% nelle famiglie del Mezzogiorno la percentuale di famiglie con un NEET arriva al 10%. Un dato interessante al livello nazionale è quello delle delocalizzazioni Secondo i dati della Cgia di Mestre[21];
(2) Aumento economia criminale, evasione fiscale e corruzione. L’economia criminale vale in Italia 170 miliardi di euro e le segnalazioni di riciclaggio eseguite da intermediari finanziari sono aumentate negli ultimi 5 anni del 212%[22]. L’evasione fiscale viene stimata in 180 miliardi di euro[23] In quanto alla corruzione i dati del Corruption Perception Index (CPI) della Transparency International (l’Associazione che al livello internazionale combatte la corruzione) indicano che ln Europa l’Italia ha i valori più elevati di CPI insieme alla Grecia.;
(3) Aumento pressione fiscale e debito pubblico tra il 1995 e il 2013 il prelievo fiscale medio sulle famiglie italiane è aumentato del 18%, la pressione fiscale dal 2010 è passata dal 41,6% del PIL al 43,3% nel 2014 ed è prevista aumentare al 43,&% nel 2017. La spesa pubblica continua ad aumentare: la spesa corrente è aumentata di 27,4 miliardi di euro tra il 2010 e il 2014 mentre sono crollate le spese in conto capitale, gli investimenti (negli ultimi 5 anni la caduta degli investimenti è stata del -23,9% pari 15,4 miliardi di euro)[24];
(4) Crisi nei piccoli negozi e botteghe artigiane. Nel 2014 il saldo tra aziende iscritte e aziende cessate tra i piccoli negozi e imprese artigiane è stato di -34.410 con una perdita di 93.400 posti di lavoro (42.000 nei piccoli esercizi commerciali e 51,500 nell’artigianato). Se si considera il periodo più lungo 2009-2014 le imprese artigiane che sono cessate risultano -94.000 passando da 1.466.000 a 1.372.000);
(5) Aumento della delocalizzazione. Tra il 2000 e il 2011 l’aumento nelle delocalizzazioni è stato del 65% con ai primi posti Francia (2.562 imprese), Stati Uniti (2.408), Germania (2.099), Romania (1.992) e Spagna (1.925) con la Cina al settimo posto (1.103). Due osservazioni per interpretare questi dati. Le imprese italiane che vanno all’estero sono soprattutto nel commercio all’ingrosso (il 48,3%) seguite dalle imprese manifatturiere sono il 28,6%. Tra le imprese manifatturiere è diverso chi si sposta all’estero per usufruire dei più bassi salari e di minori vincoli sindacali e chi va all’estero per stabilire punti di partenza per una migliore penetrazione.
Di fronte a questa situazione quali sono state le scelte del governo Renzi all’interno dello scontro tra politiche neoliberiste e sue alternative? Possiamo articolare la risposta in quattro direzioni: (a) scelte totalmente dipendenti dalle politiche della Comunità europea (tanto da inserire il “pareggio in bilancio” nella Costituzione) (b) scelte deboli verso una politica “inclusiva” con gli 80 euro e una parte dei provvedimenti nella scuola; (c) scelte forti nella direzione “neoliberista” soprattutto nelle politiche del lavoro con l’adesione al “modello Marchionne” e l’attacco ai diritti dei lavoratori (smantellamento dello Statuto dei lavoratori, il Jobs Act che tutela il “diritto” di licenziamento anche se dichiarato “illegittimo”..) [25];(c) ampia area di potenziali politiche industriali non ancora affrontate (sviluppare investimenti e ricerca e sviluppo mirati alla riduzione degli squilibri crescenti tra le regioni del Centro Nord e quelle del Mezzogiorno, decidere una politica del welfare e della sanità a partire da una politica di innovazione tecnologica orientata alla prevenzione, affrontare l’evasione fiscale …).
(e) Scenario Emilia Romagna. Che cosa pensano e come agiscono gli attori intervistati in Emilia Romagna (persone responsabili a vari livelli di politiche regionali e le imprese?. Nella ricerca prima ricordata di Capecchi, Caserta e Tavanti si ricorda che la regione Emilia Romagna si trova tra le regioni più forti in Italia e che, nonostante la crisi, si confronta con le regioni più forti in Europa (questo libro sarebbe stato molto diverso se fosse stato basato su una regione del Mezzogiorno). Gli attori responsabili di politiche economiche intervistati hanno espresso giudizi di valore nella direzione di una regione “intelligente, ecosostenibile e inclusiva” e gli stessi valori sono stati espressi dalle imprese intervistate. La delocalizzazione è stata portata avanti per stabilire rapporti più diretti con i clienti e allargare i propri mercati e le scelte di innovazione tecnologica e tutte le imprese intervistate mostrano grande attenzione a valorizzare la manodopera impiegata, a stabilire rapporti stretti con il territorio, a trovare un equilibrio tra i valori legati al proprio territorio e la necessità di affrontare in mare aperto le logiche neoliberiste ecc. Ovviamente bisogna tener presente che il campione delle imprese intervistate non solo è del tutto “qualitativo” ma è anche un campione di imprese di eccellenza di medie e piccole dimensioni che si muovono all’interno di una produzione “a specializzazione flessibile” con una storia lontana da quella delle multinazionali per la “produzione di massa” che cercano di imporre, come nel caso del “modello Marchionne”, le loro logiche antisindacali ai diversi Stati.
In sintesi, alla fine di queste tre narrazioni economiche si può prevedere una vittoria della opacità neoliberista oppure una vittoria di chi porta avanti una politica economica “intelligente, sostenibile e inclusiva” ? Il futuro è ovviamente nelle azioni delle nuove generazioni. Quelli che appartengono alla mia generazione possono solo, come in questi tre interventi, raccontare storie (di Keynes, Adriano Olivetti, della FLM) sperando che queste storie si incontrino con storie più recenti e con maggior successo.
[1] M. Friedman, Capitalism and Democracy, 1962; tr. it., Capitalismo e libertà, Studio Tesi, Pordenone, 1987,p. 207
[2] M. Friedman, op. cit., p. 209
[3] M. Friedman, op. cit., p.301
[4] J. Stiglitz Globalisation and its discontents, 2002; trad. it. La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino 2002
[5] Il carteggio è consultabile nel sito www.naomiklein.org.
[6] L. Napoleoni, Maoeconomics, Rizzoli, Milano 2010, pp.91-93
[7] L. Napoleoni, op. cit., p. 93
[8] B. Gates, The Road Ahead. Completely Revised and Up – to -Date, 1995, tr. it. La strada che porta a domani , Edizione aggiornata, Mondadori, Milano 1997; B. Gates, Business @ the Speed of Tought, 1999, tr. it. Business @lla velocità del pensiero, Mondadori, Milano 1999.
[9] P. Schwartz, P. Leyden: “The Long Boom. A History of the Future 1980-2020”, Wired, luglio 1997, p.128. Il saggio è stato trasformato in libro: P. Schwartz, P. Leyden, J. P. Hyatt, The Long Boom: A Vision for the Coming of Age of Prosperity, Perseus Harper Collins, New York, 1998
[10] J. Balkam, The Corporation, 2004 ; trad. it. The Corporation. La patologica ricerca del profitto e del potere, Fandango, Roma 2004 p. 74
[11]UNDP, (United Nations Development Programme), Rapporto sullo sviluppo umano 1999. La globalizzazione. Il Rapporto è disponibile on line.
[12]UNDP, Rapporto sullo sviluppo umano 2010, La vera ricchezza delle nazioni. Vie dello sviluppo umano. Il Rapporto è disponibile on line.
[13]UNDP, Rapporto sullo sviluppo umano 2014, Sostenere il progresso umano: ridurre la vulnerabilità e accrescere la propria capacità di ripresa. Il rapporto è disponibile on line. In questa direzione vanno anche altre statistiche come quelle che documentano che le persone che non hanno accesso all’acqua potabile passeranno da 1 miliardo e 400 milioni (su una popolazione complessiva di 5 miliardi) a 3 miliardi quando la popolazione mondiale nel 2020 sarà di 8 miliardi.
[14] La tavola è riportata in G. Corò, G. Tattara, M. Volpe: “I processi di internazionalizzazione come strategia di riposizionamento competitivo”, in G. Tattara, G. Corò, M. Volpe (a cura di), Andarsene per continuare a crescere , Carocci, Roma, 2006, p. 38
[15] L’uso del termine in ambito giornalistico è datato 2010 e comprende la “terzina” (in russo trojka) composta dai vertici della Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario. Attualmente i rappresentanti della Troika sono identificati in Jean-Claude Juncker e Olli Rehn (rispettivamente presidente della Commissione e commissario per gli Affari economici e monetari), Mario Draghi (presidente della BCE) e Christine Lagarde (direttore operativo del FMI). A questi nomi vengono aggiunti quelli dei responsabili dei governi più forti come quello tedesco.
[16] B. Amoroso, Figli di troika. Gli artefici della crisi economica, Castelvecchi RX, Roma 2013. Come scrive in quel libro Amoroso (pp. 30-31): ”Il veicolo è tuttora quello del pensiero neoliberista (liberalizzazioni e privatizzazioni) con il quale si mettono in moto processi di destabilizzazione dei mercati degli Stati, per poi imporre il salvataggio con misure che danno il colpo finale a tali economie. La troika è apparsa di recente al pubblico come inviato speciale della finanza che, dopo aver spinto la Grecia a indebitarsi su false promesse di sviluppo e facile accesso ai capitali creati dai suoi consulenti della Goldman Sachs coadiuvati da banche tedesche e francesi, le ha posto al collo il cappio del debito che la sta strangolando. L’esito è noto: la rapina dei risparmi dei cittadini greci trasferiti nelle banche tedesche e francesi, per poter così riprendere le attività speculative e di rapina verso altri Paesi”
[17]V. Capecchi, B. Beck “Le politiche dello sviluppo regionale in Europa”, Alternative per il socialismo, 28, 2013, pp.173-184
[18] Istat, “La povertà in Italia”, Statistiche Report, 14 luglio 2014 (disponibile on line)
[19] Istat, Annuario Statistico Italiano 2014, cap. 4. Sanità e salute.
[20] Italia Lavoro, Famiglie e Lavoro, Rapporto annuale 2014, Roma 24 novembre 2014
[21] CGIA di Mestre: “La crisi ha fermato la fuga delle nostre aziende”, marzo 2013
[22] Ufficio studi CGIA Mestre: “L’economia criminale vale 70 miliardi di euro e c’è un boom di denunce di riciclaggio: + 212% negli ultimi cinque anni”, 30 agosto 2014
[23]Ufficio studi CGIA Mestre: “Fisco record? Nei prossimi anni la pressione è destinata ad aumentare ancora”, 29 novembre 2014; “la spesa pubblica continua ad aumentare”, 14 marzo 2015
[25] U. Romagnoli, “Lo statuto dei lavoratori non è da rottamare”, Inchiesta, gennaio-marzo 2015, p.20.. Sulle mistificazioni del Jobs Act si rinvia a Simonetta Ponzi, “L’inganno del tempo indeterminato a tutele crescenti”, Inchiesta, gennaio-marzo 2015, pp. 9-11. Maurizio Landini sintetizza con queste parole: ”Renzi, afferma il principio che pur di lavorare si debba accettare qualsiasi condizione. Non c’è più il concetto che il lavoro è un diritto e la persona deve avere tutti i diritti di cittadinanza. Inoltre viene messo in discussione un diritto fondamentale: quello di potersi coalizzare e agire collettivamente per contrattare la prestazione lavorativa” [M. Landini: “ E’ ora di sfidare Renzi con una coalizione sociale”, Il Fatto quotidiano, 22 febbraio 2015; ripreso in Inchiesta, gennaio-marzo 2015, p. 7].