Fonte: il Simplicissimus
Url fonte: https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2015/08/30/londra-caccia-gli-italiani/
di Anna Lombroso per il Simplicissimus 30 agosto 2015
È bastato dire “mettetevi nei loro panni”, “provate a presentarvi dove nessuno vi vuole”, che eccoci serviti: il ministro dell’Interno inglese Theresa May in un editoriale sul Sunday Times interpreta in salsa britannica la libertà di movimento nell’Ue, come dire fermiamo quelli che pretendono di venire qui e approfittare del nostro Welfare, delle nostre garanzie, dei nostri diritti senza avere un contratto in tasca. Non sappiamo se la dichiarazione della May sia un auspicio o l’annuncio di un vera e propria limitazione della libera circolazione dei cittadini compresi o primi tra tutti i 57mila cittadini italiani arrivati in Gran Bretagna tra marzo 2014 e lo stesso mese del 2015, una percentuale non piccola dei 330 mila nuovi immigrati che hanno guardato con speranza le bianche scogliere di Dover o preferibilmente i corridoi degli aeroporti londinesi.
Hanno già un soprannome “benefit cheaters”,truffatori del welfare, sospettati, si sa gli italiani sono così, di esercitare un turismo dei diritti mordi e fuggi, senza contratto e senza voglia di lavorare, installandosi in domicili di fortuna per esigere gli assegni di disoccupazione, farsi curare i denti usufruendo del sistema sanitario inglese e approfittando degli aiuti che il governo mette a diposizione di famiglie indigenti. Tutto il mondo è paese e abbiamo già visto gli slogan: manca solo “aiutiamoli a casa loro”, ma invece c’è “Put british workers first” e “British jobs for british workers”, inalberati sui cartelli dei manifestanti per il Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, che sollecitano l’imposizione accelerata di quel limite all’immigrazione di 100 mila unità l’anno, come l’esecutivo si era impegnato a fare in campagna elettorale.
Per ora possono stare tranquille le anime belle, ma troppo sensibili, che lamentano l’esibizione nei social network delle immagini raccapriccianti di vite nude ormai morte che galleggiano nello stesso Mediterraneo delle loro vacanze, graffiando la liscia lavagna delle loro coscienze letargiche con il gessetto della vergogna, possono stare tranquilli quelli che se ne sentono turbati come da una provocazione inutile e irrispettosa, un’offesa alla privacy, dicono, di chi, è bene ricordarlo, non ha un nome, probabilmente non ha più nessuno che li riconosca da quell’immagine e che li pianga, non ha nemmeno un numero se non quello progressivo della lunga lista redatta dall’Europa matrigna che non si sottrae mai ad anguste contabilità, oltraggiose per le esistenze che dalla sua aritmetica sono condannate a miseria e disuguaglianza.
Si, possono stare tranquilli – ma solo per un po’. Per un po’ siamo sicuri che non vedremo mamme italiane alzare i loro figli disperatamente per sottrarli alle onde, per un po’ non vedremo ragionieri di Lambrate stipati in Tir, per un po’ non vedremo freschi reduci da master alla Bocconi seviziati dagli scafisti e nemmeno pizzaioli sorrentini lasciati a crepare di sete e fame sulle bianche scogliere.
Ma già adesso questa notizia potrebbe essere l’utile occasione per interrogarsi a proposito di tanti ragionevoli e giudiziosi distinguo che si continuano a fare anche in alte sfere, perché le disuguaglianze sono come le matrioske: dentro una ce ne può essere un’altra e poi un’altra ancora, così che si creano gerarchie della disperazione e del merito a trovare salvezza che non sono quelle tradizionali, prima le donne e i bambini, no, sono prima quelli che fuggono dalle guerre, possibilmente etniche, interne, comunque incivili, poi quelli che scampano alle guerre “umanitarie” cui abbiamo contribuito, poi quelli dell’esodo per motivi ambientali, per fame, per sete, infine, quelli che scappano perché hanno l’ambizione, si direbbe riprovevole, a concedersi una speranza, un futuro senza fame, senza sete, senza schiavitù. Come se fame, sete, non fossero conseguenze delle guerre predatrici di potenze che hanno sfruttato risorse e territori, come se fame, sete, non si estendessero come un contagio e inquinassero le vite di chi sente da lontano il rombo dei cannoni e lo scoppio delle bombe, ma ne patisce da vicino gli effetti, primo tra tutti la paura, con l’incertezza, la minaccia di un coinvolgimento, la contiguità con la morte.
Ma si sa è l’Europa che ce lo chiede, ci chiede di viaggiare su un doppio binario di civiltà intanto trasformando, ma si sa che viviamo un formidabile stravolgimento semantico, un fenomeno epocale, un esodo che sconvolgerà per sempre i confini della geografia politica e dell’etica, in una crisi umanitaria, un incidente “naturale” che va affrontato diversificando l’esercizio di umanità secondo l’occhiuta ed esosa discriminazione attuata dalla Signora Merkel, prima i siriani vittime di una guerra vera, col marchio doc, poi si vedrà, come se le carestie, le violenze, il terrore non fossero atti, eventi, accadimenti bellici.
Si possiamo stare tranquilli per un po’, finché quelli che cercano qualcosa di meglio di un Paese governato da imbelli, corrotti, incapaci, addestrati all’ubbidienza a quell’impero feroce, potranno andarsene in classe turistica, in traghetto, in alta velocità, col gruzzoletto che papà e mamma e i nonni hanno conservato per loro, grazie a quei “fondamentali” sani che ci hanno tenuto apparentemente in piedi per un po’ anche quando eravamo già in ginocchio. Ma il gruzzoletto finisce, potremmo tornare dalle Samsonite alle valige di cartone legate con lo spago, alle quarantene come indesiderabili. Ah no, indesiderabili lo siamo già, sarebbe ora di accorgersene e invece di partire restare qua prima che cadano le bombe a far cadere il regime.