di Alfredo Morganti – 11 aprile 2018
Renzi ha detto di non essere andato alla assemblea dei gruppi parlamentari per non condizionare il dibattito interno. Lo dice la Meli, devo crederci. Nello stesso tempo, sempre la Meli racconta un grande attivismo dell’ex segretario, che vorrebbe fare fuori Martina, piazzare Orfini al comando e andare così a primarie in autunno. A quanto pare intervenire in una assemblea di partito vorrebbe dire condizionarne il dibattito, mentre invece agitarsi nell’ombra significherebbe rispettarlo. Ma Renzi è così, è questo il suo stile. Non ama i momenti pubblici di discussione, non ama gli organismi di partito se non per far passare la sua linea e farla certificare da qualche maggioranza di mani alzate, non ama nemmeno il partito, verso il quale prova, mi sembra, un certo moto di disgusto reale. Troppe chiacchiere, troppo rumore, troppa gente che parla col rischio di sollevare critiche e obiezioni. Nel suo modello del ‘fare’ non c’è spazio per il dissenso, le burocrazie democratiche, le discussioni. Per andare dritto a meta basta una telefonata, due parole di intesa, un ammiccamento. Probabilmente lui non riesce nemmeno a concentrarsi per il tempo giusto di ascolto, mentre invece si sente pronto a parlare per ore a uditori osannanti. Per questo sente come una costrizione, probabilmente, la fatica della mediazione e del dibattito, soprattutto in consessi pubblici. Gli cadono le braccia quando deve analizzare e poi ricomporre.
O forse è proprio una strategia, altro che psicologismi. La strategia di adottare un regime pattizio e produrre qualche stretta di mano informale, piuttosto che praticare un luogo pubblico di discussione e di confronto. Una zona grigia al posto della zona luminosa. Le stanzine della fotocopiatrice al posto di un salone affollato o di un tavolo di mediazione. Da questo punto di vista, avoja se è ancora il segretario del PD. Non lo vedrete fare relazioni, prendere appunti e concludere le discussioni dopo aver ascoltato tutti. Ma lo percepirete intento a stringere patti e ad avanzare informalmente soluzioni a lui favorevoli. Avendo in fastidio il formicolio di posizioni e di proposte attorno, tentando solo di imporre la propria, di soluzione. Un segretario ‘grigio’ che non compare più sotto i riflettori, ma svolge caminetti personali, ufficiosi, di congrega, insultando nel frattempo le riunioni informali degli altri. Vengono a mente quei personaggi dei film che tramano nell’ombra, incombono dietro le tende e sfruttano il buio per colpire improvvisi. Sono quelli che sguazzano nella zona grigia, si muovono favoriti dall’oscurità, tramano senza che nemmeno un retroscenista possa scorgerli (a parte la Meli). Se non fosse per l’odioso parallelo con il suo nemico D’Alema, oggi dovremmo parlare congruamente dell’Ombra di Renzi, un’ombra nascosta in una sera di poche stelle e percepita solo grazie a un brivido improvviso sulla pelle. Così. Proprio come canterebbe Claudio Baglioni. Preciso.