L’Occidente sulla strada sbagliata

per Gabriella
Autore originale del testo: Handesblatt
Fonte: Handesblatt

Da Handesblatt, il più importante giornale economico tedesco, un lungo e coraggioso editoriale contro i venti di guerra che soffiano dagli USA, un appello al realismo e alla pacifica convivenza tra popoli vicini, contro le ripetute violazioni del diritto internazionale, scritto in tedesco, in russo e in inglese. Apprezziamo, ma non possiamo fare a meno di notare come le stesse belle parole di esortazione, in molti punti del discorso, potrebbero benissimo rivolgersi alla politica tedesca così cieca verso i vicini della periferia.

  

   

Alla luce degli avvenimenti in Ucraina, il governo e molti media sono passati da un atteggiamento equilibrato a uno stato di agitazione. Il ventaglio delle opinioni si è ridotto al campo visivo di un fucile di precisione. La politica dell’escalation non ha un obiettivo realistico – e danneggia gli interessi della Germania.


Düsseldorf – Ogni guerra è accompagnata da una sorta di mobilitazione mentale: la febbre della guerra. Anche le persone intelligenti non sono immuni dagli attacchi di questa febbre. “Questa guerra in tutta la sua atrocità è tuttavia una cosa grande e meravigliosa. E’ una esperienza che vale la pena” esultò Max Weber nel 1914, quando le luci si spensero in Europa. Thomas Mann provava un “senso di purificazione, di liberazione, e un’enorme speranza”.

 

Anche quando già a migliaia giacevano morti sui campi di battaglia del Belgio, la febbre della guerra non si placava. Esattamente 100 anni fa, 93 pittori, scrittori e scienziati scrissero “L’Appello al mondo della cultura.” Max Liebermann, Gerhart Hauptmann, Max Planck, Wilhelm Röntgen, e altri incoraggiavano i loro connazionali alla brutalità verso il prossimo: “Senza il militarismo tedesco, la cultura tedesca sarebbe stata spazzata via dalla faccia della terra già molto tempo fa. Le forze armate tedesche e il popolo tedesco sono una cosa sola. Questa consapevolezza affratella 70 milioni di Tedeschi, senza discriminazioni di educazione, di status, o di partito.”

 

Interrompiamo il filo del pensiero: “La storia non si ripete!” Ma possiamo esserne così sicuri in questi giorni? A proposito degli eventi di guerra in Crimea e Ucraina orientale, i capi di Stato e di governo occidentali improvvisamente non hanno più domande, e hanno tutte le risposte. Il Congresso degli Stati Uniti sta discutendo apertamente di armare l’Ucraina. L’ex consigliere per la sicurezza Zbigniew Brzezinski consiglia di armare i cittadini casa-per-casa e di combattere per strada. Il Cancelliere tedesco, come è sua abitudine, è molto meno chiaro, ma non meno inquietante: “Siamo pronti a prendere misure severe.”

 

Nello spazio di qualche settimana, il giornalismo tedesco è passato da un atteggiamento di equilibrio ad uno stato di agitazione. Il ventaglio delle opinioni si è ristretto al campo visivo di un fucile di precisione.

 Dei quotidiani che pensavamo essere di tutt’altre idee, ora marciano in blocco con i politici nei loro appelli alle sanzioni contro il Presidente russo Putin. Anche i titoli di prima pagina tradiscono quella tensione aggressiva che di solito caratterizza gli hooligans quando fanno il tifo per la loro squadra.


Il Tagesspiegel: “Basta parlare!” Il FAZ: “Mostrare i muscoli“. La Süddeutsche Zeitung: “Ora o mai più” The Spiegel chiede di porre “Fine alla codardia“: “La rete bugie di Putin, la propaganda e l’inganno sono ormai evidenti. Il relitto dell’MH 17 è anche il risultato di un fallimento della diplomazia.” 

La politica occidentale e i media tedeschi concordano.


Ogni serie compulsiva di accuse porta allo stesso risultato: in men che non si dica le accuse e le contro-accuse si intrecciano in un groviglio inestricabile, così che i fatti ne risultano quasi completamente oscurati.

  Da chi è partito l’inganno?


È iniziato tutto con l’invasione russa della Crimea o è l’Occidente che per primo ha promosso la destabilizzazione in Ucraina? La Russia vuole espandersi verso Occidente o la NATO verso Est? O forse due potenze mondiali si sono incontrate sulla stessa porta nel mezzo della notte, guidate da intenzioni molto simili nei confronti di un terzo indifeso che ora paga per il pantano che ne è risultato, con le prime fasi di una guerra civile?

 

Se a questo punto state ancora aspettando una risposta su di chi sia la colpa, potreste anche semplicemente smettere di leggere. Non vi perderete nulla. Non stiamo cercando di portare alla luce questa verità nascosta. Non sappiamo come è iniziato. Non sappiamo come andrà a finire. E ci troviamo proprio qui, nel bel mezzo. Almeno Peter Sloterdijk ha qualche parola di consolazione per noi: “Vivere nel mondo significa vivere nell’incertezza.


Il nostro scopo è ripulire un po’ della schiuma alla bocca di coloro che discutono, rubare le parole di bocca sia ai sobillatori che ai sobillati, e mettere al loro posto delle parole nuove. Una parola che è andata in disuso negli ultimi tempi è questa: realismo.

 

La politica dell’escalation mostra che l’Europa manca dolorosamente un obiettivo realistico. Negli Stati Uniti è diverso. Le minacce e gli atteggiamenti fanno semplicemente parte dei preparativi elettorali. Quando Hillary Clinton paragona Putin a Hitler, lo fa solo per fare appello al voto repubblicano, per esempio di persone che non possiedono un passaporto. Per molti di loro, Hitler è l’unico straniero che conoscono, ed è per questo che Adolf Putin è una rappresentazione fittizia molto gradita nella campagna elettorale. A questo proposito, Clinton e Obama hanno un obiettivo realistico: fare appello al popolo, per vincere le elezioni, per vincere un’altra presidenza democratica.

  Difficilmente Angela Merkel può accampare per sè queste circostanze attenuanti. La geografia costringe ogni Cancelliere tedesco ad essere un po’ più serio. Come vicini di casa della Russia, come parte della Comunità europea unita nello stesso destino, come importatori di energia e fornitori di questo e di quello, noi tedeschi abbiamo un interesse ben più vitale nella stabilità e nella comunicazione. Non possiamo permetterci di guardare alla Russia attraverso gli occhi del Tea Party americano.


Ogni errore inizia con un errore del pensiero. E stiamo facendo questo errore se crediamo che solo l’altra parte si avvantaggi della relazione economica con noi e quindi subirà delle perdite dall’interruzione del rapporto. Se i legami economici sono stati mantenuti per un profitto reciproco, allora il reciderli porterà ad una perdita reciproca. Punizione e auto-punizione in questo caso sono la stessa cosa.

 

Anche l’idea che la pressione economica e l’isolamento politico metterebbe la Russia in ginocchio non è stata il frutto di una riflessione adeguata. Anche se potessimo avere successo: a che cosa ci servirebbe la Russia in ginocchio? Come si può voler vivere insieme nella casa europea con un popolo umiliato la cui leadership eletta viene trattata come paria e i cui cittadini potrebbero aver bisogno del nostro aiuto nel prossimo inverno?


Naturalmente, la situazione attuale richiede una forte presa di posizione, ma più che altro una forte presa di posizione contro noi stessi. I tedeschi non hanno né voluto né provocato questa realtà, ma ora la nostra realtà è questa. Basti considerare quello che Willy Brandt ha dovuto ascoltare quando il suo destino come sindaco di Berlino lo ha messo all’ombra del muro. Quali sanzioni e quali punizioni gli venivano suggerite. Ma egli decise di rinunciare a questo festival dell’indignazione. Non ha mai accettato il giro vite della rappresaglia.

 

Quando gli è stato conferito il Premio Nobel per la Pace ha messo in luce quello che succedeva intorno a lui nei giorni frenetici in cui il muro è stato costruito: “C’è ancora un altro aspetto – quello dell’impotenza mascherata dalla verbosità: prendere posizione su situazioni giuridiche che non possono diventare una realtà e pianificare contromisure per circostanze che differiscono sempre da quelle cui ci si trova davanti. Nelle situazioni critiche eravamo sempre abbandonati a noi stessi; i parolai non avevano nulla da offrire”.


I parolai sono tornati e la loro sede è a Washington DC. Ma nessuno ci costringe a piegarci ai loro ordini. Seguire questa guida – anche se in modo calcolato e un po’ a malincuore, come nel caso di Merkel – non protegge il popolo tedesco, ma può anche metterlo in pericolo. Questo resta un dato di fatto, anche se non fossero gli americani, ma i russi, a essere responsabili per l’origine dei guai in Crimea e in Ucraina orientale.

 

Willy Brandt decise chiaramente in modo diverso rispetto a Merkel ora, e in una situazione nettamente più incandescente. Come egli ricorda, si era svegliato la mattina del 13 agosto 1961 “sveglio e allo stesso tempo attonito”. Aveva fatto sosta ad Hannover durante un viaggio, quando ricevette delle segnalazioni da Berlino sui lavori in corso al grande muro che separava la città. Era una domenica mattina e l’umiliazione non avrebbe potuto essere maggiore per un sindaco in carica.


I sovietici si erano presentati con il fatto compiuto. Gli americani non lo avevano informato, anche se avevano probabilmente ricevuto alcune informazioni da Mosca. Brandt ricorda che una “rabbia impotente” era salita dentro di lui. Ma che cosa fece? Egli tenne sotto controllo i suoi sentimenti di impotenza e dimostrò il suo grande talento di uomo politico realista che gli avrebbe fatto guadagnare l’incarico di Cancelliere e, infine, anche il Premio Nobel per la Pace.

 

Con la consulenza di Egon Bahr, egli accettò la nuova situazione, sapendo che nessun livello di indignazione da parte del resto del mondo avrebbe fatto cadere questo muro. Egli ordinò anche alla polizia di Berlino Ovest di usare manganelli e idranti contro i manifestanti davanti al muro, in modo da non scivolare dalla catastrofe della divisione nella catastrofe molto peggiore della guerra. Si adoperò per quel paradosso che in seguito Bahr definì in questo modo: “Abbiamo riconosciuto lo status quo, al fine di cambiarlo.”


E sono riusciti a realizzare questo cambiamento. Brandt e Bahr fecero gli interessi particolari della popolazione di Berlino Ovest nei cui confronti erano allora responsabili (della quale dal giugno 1962 in poi ha fatto parte anche l’autore di questo scritto).

 

A Bonn negoziarono la “subvention” di Berlino, una agevolazione fiscale dell’otto per cento sulle retribuzioni e sull’imposta sul reddito. Nel gergo locale era chiamato il “premio della paura”. Essi inoltre negoziarono un accordo sui permessi di viaggio con Berlino Est che ha reso il muro permeabile già due anni dopo che era stato tirato su. Tra Natale 1963 e Capodanno 1964, 700 000 abitanti di Berlino visitarono i loro parenti nella parte orientale della città. Poco tempo dopo, ogni lacrima di gioia si era trasformata in un voto per Brandt.

 

Gli elettori si sono resi conto che c’era qualcuno che voleva influenzare il loro modo di vivere quotidiano, non solo creare un titolo di prima pagina per la mattina successiva. In una situazione quasi completamente senza speranza, quest’uomo del SPD ha combattuto per i valori occidentali – in questo caso i valori della libertà di movimento – senza megafoni, senza sanzioni, senza la minaccia di violenza. L’élite di Washington ha iniziato a sentire parole che non erano mai state sentite in politica prima di allora: Compassione. Cambiare attraverso il riavvicinamento. Dialogo. Riconciliazione di interessi. E questo nel bel mezzo della Guerra Fredda, quando le potenze mondiali avrebbero dovuto attaccarsi l’un l’altra in modo velenoso, quando lo script conteneva solo minacce e proteste, stabilire ultimatum, imporre blocchi sul mare, condurre guerre di rappresaglia, è così che la guerra fredda doveva essere portata avanti.  

Una politica estera tedesca tesa alla riconciliazione – in principio solo la politica estera di Berlino – non solo appariva coraggiosa, ma anche molto strana.


Gli americani – Kennedy, Johnson, poi Nixon – seguirono i tedeschi; che hanno dato il via a un processo che non ha eguali nella storia di nazioni nemiche. Infine, c’è stata una riunione ad Helsinki, al fine di fissare le regole. All’Unione Sovietica è stata garantita la “non ingerenza nei loro affari interni”, cosa che ha riempito di soddisfazione il capo del partito Leonid Brezhnev e ha fatto ribollire il sangue a Franz Josef Straußrib. In cambio, la direzione del partito comunista di Mosca ha dovuto garantire all’Occidente (e quindi alla loro stessa società civile) “il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, compresa quella di pensiero, coscienza, religione o credo”.


In questo modo la “non interferenza” è stata acquisita attraverso la “partecipazione”. Il comunismo aveva ricevuto una garanzia perenne sul suo territorio, ma entro i suoi confini i diritti umani universali improvvisamente cominciarono a crescere lentamente. Joachim Gauck ricorda: “La parola che ha permesso alla mia generazione di andare avanti era Helsinki.” 

 

Non è troppo tardi per il duo Merkel / Steinmeier usare i concetti e le idee di quei tempi. Non ha senso seguire solo le idee strategicamente vuote di Obama. Tutti possono vedere come lui e Putin stiano procedendo, come in sogno, direttamente verso un cartello che recita: Strada Senza Uscita.

 

“Il test per la politica non è come una cosa comincia, ma come va a finire”, così Henry Kissinger, anch’egli vincitore del Premio Nobel per la Pace. Dopo l’occupazione della Crimea da parte della Russia ha dichiarato: dobbiamo volere la riconciliazione, non la dominanza. Demonizzare Putin non è una politica. E’ soltanto un alibi per le loro mancanze. Egli consiglia di ridurre i conflitti, vale a dire sminuirli, restringerli, e poi distillarli in una soluzione. 


Al momento (e già da molto tempo) l’America sta facendo il contrario. Tutti i conflitti sono intensificati. L’attacco di un gruppo terroristico chiamato Al Qaeda è stato trasformato in una campagna globale contro l’Islam. L’Iraq è bombardato con dubbie motivazioni. E ancora la US Air Force vola su Afghanistan e Pakistan. Il rapporto con il mondo islamico può tranquillamente considerarsi rovinato.  

Se l’Occidente avesse giudicato il governo degli Stati Uniti di allora,  che ha marciato in Iraq senza una risoluzione dell’ONU e senza la prova dell’esistenza delle “ADM”, con gli stessi standard di oggi su Putin, allora a George W. Bush sarebbe immediatamente stato vietato l’ingresso nell’Unione Europea. Gli investimenti esteri di Warren Buffett avrebbero dovuto essere congelati, l’esportazione di veicoli dei marchi GM, Ford e Chrysler, vietate.

 

La tendenza americana alla escalation verbale e poi anche militare, l’isolamento, la demonizzazione, e l’attacco ai nemici non si sono dimostrati efficaci. L’ultima grande azione militare di successo condotta dagli Stati Uniti è stato lo sbarco in Normandia. Tutto il resto – Corea, Vietnam, Iraq e Afghanistan – è stato un chiaro fallimento. Lo spostamento di unità della NATO verso il confine polacco e l’idea di armare l’Ucraina sono la continuazione di una mancanza di diplomazia da parte dei mezzi militari.

Questa politica di sbattere la testa contro il muro – e farlo esattamente dove il muro è più spesso – ti dà solo il mal di testa e non molto altro. E questo considerando che il muro ha un’enorme porta nel rapporto dell’Europa con la Russia. E la chiave di questa porta si chiama “riconciliazione di interessi”.

 

Il primo passo è quello che Brandt chiama “compassione”, cioè la capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi degli altri. Dovremmo smettere di accusare il 143 milioni di Russi di guardare il mondo in modo diverso rispetto a John McCain.

 

Quel che è necessario è l’aiuto per modernizzare il paese, niente sanzioni che diminuiranno ulteriormente la ricchezza e danneggeranno le relazioni. I rapporti economici sono comunque dei rapporti. La cooperazione internazionale è simile alla tenerezza tra le nazioni, perché tutti si sentono meglio dopo.


E’ ben noto che la Russia è una superpotenza energetica e allo stesso tempo una nazione industriale in via di sviluppo. La politica di riconciliazione e dell’interesse reciproco dovrebbe attaccarsi a questo. Aiuto allo sviluppo in cambio di garanzie territoriali; anche il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier ha detto le parole giuste per descrivere questo: partenariato di modernizzazione. Deve solo rispolverarle e usarle come un obiettivo e un’aspirazione. La Russia dovrebbe essere integrata, non isolata. Dei piccoli passi in questa direzione sono meglio della grande assurdità di una politica di esclusione.

 

Brandt e Bahr non sono mai arrivati alle sanzioni economiche. Sapevano perché: non si ricordano casi in cui i paesi sottoposti a sanzioni abbiano chiesto scusa per il loro comportamento e poi si siano arresi all’obbedienza. Al contrario: dei movimenti collettivi nascono a sostegno del sanzionato, come avviene oggi in Russia. Il paese non è mai stato unito dietro al suo presidente come ora. Questo potrebbe quasi farvi pensare che i sobillatori dell’Occidente siano a libro paga dei servizi segreti russi.

 

Un altro commento sul tono del dibattito. L’annessione della Crimea è stata in violazione del diritto internazionale. Ma il sostegno ai separatisti dell’Ucraina orientale non è compatibile con le nostre idee sulla sovranità statale. I confini degli stati sono inviolabili.


Ogni atto va inserito nel suo contesto. E il contesto tedesco è che siamo una società messa alla prova che non può agire come se le violazioni del diritto internazionale iniziassero ora, con gli eventi in Crimea.


La Germania ha dichiarato guerra contro il suo vicino orientale due volte negli ultimi 100 anni. L’anima tedesca, che generalmente pretendiamo sia sul lato romantico, ha mostrato il suo lato crudele.

 

Naturalmente, noi che siamo venuti dopo possiamo continuare a proclamare la nostra indignazione contro lo spietato Putin e appellarci al diritto internazionale contro di lui, ma per come stanno le cose questa indignazione dovrebbe arrivare con un lieve rossore di imbarazzo. O, per usare le parole di Willy Brandt: “Le pretese assolute minacciano l’uomo”.


Alla fine, anche gli uomini che avevano ceduto alla febbre della guerra nel 1914 hanno dovuto rendersi conto. Dopo la fine della guerra, i pentiti hanno emesso un secondo appello, questa volta per la comprensione tra i popoli: “Il mondo civile è diventato uno scenario di guerra e un campo di battaglia. E’ tempo che una grande marea di amore sostituisca l’onda devastante dell’odio.”

  Nel 21° secolo dovremmo cercare di evitare di prender la strada sbagliata dei campi di battaglia. La storia non deve ripetersi. Forse possiamo trovare una scorciatoia.

Pubblicato da Carmenthesister

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