L’italicum, la legge più bella del mondo (per Renzi) va cambiata

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 3 ottobre 2016

 Decidere il nulla.

Prendete il caso dell’Italicum (che per me è persino più pericoloso della riforma costituzionale). Quando fu approvato a colpi di fiducia e con la sostituzione dei membri PD dalla commissione con altri fedeli al premier, lo stesso Renzi disse che quella era la legge più bella del mondo, quella che tutti ci avrebbero invidiato e copiato. Detto fatto. Prima ancora di usarla una volta soltanto, già va cambiata. Non è casuale. Il decisionismo renziano, quello per cui si fa e si disfa in un battibaleno, con me o contro di me, o così o pomì (ricorda Craxi in questo), produce in realtà oggetti normativi senza valore. Oggetti che sono da buttare, se la necessità (ossia la tattica politica) lo richiede. Oggetti come palloncini pieni d’aria (l’aria della propaganda e della comunicazione) che scoppiano al primo sbalzo di pressione atmosferica. L’assenza di mediazione, di studio, di una tempistica adeguata alla rilevanza del disegno di legge, le Camere piegate alle proprie impellenze, l’uso abnorme della fiducia, dei tempi corti, l’assenza di un pensiero, di una dibattito effettivo (che vada oltre la relazione introduttiva propagandistica di due ore + interventi pro e contro + voto in streaming, e chi s’è visto s’è visto), tutte queste modalità di approvazione producono cose che non esistono davvero, flatus voci, fuffa. In sostanza il nulla o quasi politico e normativo.

Che sia così lo dimostra l’ipotesi di cambiare una legge nuovissima, solo perché sono cambiate le condizioni del gioco ovvero erano state calcolate male sin dall’inizio (in sostanza, con l’Italicum, M5S vincerebbe al ballottaggio e questo fa rabbrividire la II Repubblica). Corto respiro nell’approvazione delle norme, cortissimo respiro adesso nella loro auspicata riformulazione. Questo accade a ‘liberare’ la decisione da tutto quello che è invece indispensabile a essa, tale da renderla ‘pesante’, rilevante, capace di produrre oggetti normativi adeguati alle circostanze storiche (come fu per la Costituzione 70 anni fa, ma non è per questa nuova legge sottoposta a referendum). E dunque: lo studio, il dibattito pubblico, il coinvolgimento dei cittadini, la diffusione ampia, critica dei contenuti, una coscienza collettiva della dimensione del problema e del carattere della sua soluzione. Pagnoncelli oggi spiega, ad esempio, che solo il 10% dei cittadini dichiara di conoscere nel dettaglio la riforma costituzionale, mentre il 46% ne ha appena sentito parlare e spesso nemmeno quello. E certo che poi lo scontro si personalizza: a causa della fretta non si conosce nemmeno la materia del contendere! Il decisionismo renziano, animato solo da esigenze di marketing e di consenso mediatico, produce il nulla, l’inconsistenza, lo zero virgola legislativo.

È la prova provata che ‘decidere’ nei modi e nelle forme auspicate da Renzi non vuol dire velocizzare e sostanziare il lavoro del Parlamento, ma solo creare dei ‘mostri’ inservibili, vecchi da subito, adeguati alle ragioni della propaganda ma non a quelle del pensiero politico e istituzionale. La decisione infondata richiama sempre nuove e successive decisioni infondate, a riparazione o completamento delle prima, in una sorta di caterva decisionale che somiglia tantissimo a una caterva di chiacchiere. Con una coazione a ripetere dello stesso schema iniziale (“si discute ma poi si deve decidere, e basta con l’assemblearismo” ripetono i replicanti) che smentisce, nei risutati aleatori, le premesse. Una decisione che produce tanta successiva indecisione, e trattative, e tattiche, e valutazioni contraddittorie, che sono il vero risultato di questa ansia da prestazione, che colpisce la parte peggiore della politica, la stessa che ogni tanto ci regala un ventennio di buio.

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