Fonte: Minima cardiniana
di Stefano Borselli e Stefano Serafini – 8 aprile 2018
Il 2018 è iniziato con il twitter di Trump sul suo «più grande e funzionante pulsante nucleare», a marzo l’inevitabile replica di Putin che ha annunciato le capacità russe di rispondere ad una aggressione atomica colpendo le città americane. Intanto aumenta l’incertezza su chi controlla queste immense potenze distruttive e crescono i pericoli di guerra. Si parla di terza guerra mondiale a «bassa intensità», con rischi di degenerazione. La scintilla fatale potrebbe partire anche dalle aree contigue all’Italia, dove si sfiora il confronto diretto fra potenze nucleari. Le tensioni internazionali si imperniano sull’alternativa fra un mondo unipolare sotto il dominio USA, o un mondo multipolare in cui siano ricontrattati su ogni piano, e secondo le norme del diritto internazionale, nuovi equilibri.
L’Italia è membro della Nato e ospita strutture militari sia dell’Alleanza ché, in forza di accordi bilaterali risalenti al 1954, direttamente USA. Strutture che, anche se formalmente distinte, formano un unico sistema coordinato, nel quale, nella basi USA, sono presenti alcune decine di bombe atomiche. Tali basi non godono dello status di extraterritorialità come le ambasciate, ma la giurisdizione italiana su di esse e sul loro uso militare, è addirittura minore, anche a causa dell’esistenza di protocolli riservati (quindi sottratti al controllo del Parlamento e della opinione pubblica). In ogni caso la rinuncia alla piena sovranità sulle basi è motivata e fondata, in forza dell’articolo 11 della Costituzione, sul loro essere strutture di difesa. Per quegli stessi accordi gli USA non pagano per tali basi gli affitti a cui sono obbligati sul loro territorio nazionale.
Qualsiasi giudizio storico si dia circa le sue funzioni durante la Guerra Fredda, l’Alleanza Atlantica, da allora, non solo si è allargata (da 16 a 29 paesi inglobando molti Stati prima facenti parte dell’URSS), in contrasto con le reiterate promesse fatte da Reagan a Gorbaciov all’epoca del disgelo e prima del crollo dell’Unione Sovietica, ma ha anche formalmente allargato la sua operatività fuori dai territori dei paesi membri (peace-keeping; altre operazioni sotto «l’autorità» del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o sotto la «responsabilità» dell’OSCE; le peace support operations, comprensive sia del peace- keeping sia del peace-enforcement; gli interventi umanitari; gli interventi a favore di uno stato non membro della Nato, che sia stato oggetto di attacco armato), con ciò rinominando come difensive anche guerre preventive, sull’onda della mutata dottrina strategica americana.
D’altra parte, e nello specifico dell’area europea, non c’è più alcun Stato cuscinetto tra la Russia e i paesi dell’Alleanza Atlantica; cosa che aumenta i rischi di un conflitto nel quale l’Italia sarebbe coinvolta automaticamente senza nemmeno la necessità di una decisione del Parlamento sovrano. E sarebbe bersaglio di eventuali rappresaglie.
L’Italia ha avuto in passato una tradizione di politica estera e soprattutto mediterranea relativamente indipendente, politica tesa non solo a salvaguardare l’interesse nazionale, ma anche a porsi come fattore attivo di pace e di mediazione fra istanze opposte. Il nostro paese può e deve riprendere il suo ruolo in questo senso, riacquisendo la piena sovranità sul proprio territorio e dunque allontanando le basi americane e dando l’avvio a un processo di uscita dall’Alleanza Atlantica.
Chi è interessato ad approfondire l’iniziativa, può contattare direttamente gli estensori:
Stefano Borselli c/o Il covile <il.covile@gmail.com>
Stefano Serafini <stefanonikolaevic@gmail.com>