di Alfredo Morganti – 22 maggio 2016
La politica è arte o scienza, passione o calcolo argomentativo, proposizione affermativa oppure proposizione ipotetica? Domanda antica, a cui non è stata data a pieno una risposta. Ed è forse anche difficile farlo in via definitiva. Ma io credo che senza passione, senza affermazioni piene e fuori dai denti, quasi accorate, non c’è politica, non c’è la bellezza della politica (quella che l’anziano implora nella ‘Baaria’ di Tornatore) e forse nemmeno la sua efficacia. Bene. Ricordate l’uscita di Cuperlo su LA7, quella in cui afferma in modo inequivocabile: “Il referendum è il congresso”?. Fu un’affermazione netta, chiara, evidente in un modo quasi imbarazzante. Non c’erano ipotetiche, non diceva se quello, se quell’altro facessero o fanno io non mi ci troverei più. No, Cuperlo parla della manovra alfaniana, ma non dice ‘se’.Dice: “il referendum è il congresso”, e spiega che se così non fosse, dopo la vittoria referendaria di Renzi il congresso si trasformerebbe in un plebiscito interno.
Be’, quelle affermazioni sono state poi riportate dall’agenzia DIRE, in un pezzo titolato: ‘CUPERLO: SE QUESTA MAGGIORANZA È IL FUTURO, ALLORA IL PD È MORTO’. L’affermazione chiarissima diventa ipotetica già nella titolazione, come dire che sono gli altri, nel caso, a voler trasformare il referendum in un congresso, e dunque se ciò dovesse accadere, allora una parte del PD si troverebbe suo malgrado in grande imbarazzo. L’iniziativa viene assegnata ad altri, appunto, a quelli che vogliono un referendum-sciabola che divide in due il Paese, così che alla minoranza che lui rappresenta (il PD che non ci starebbe, appunto) spetterebbe solo il compito di verificare se ciò dovesse davvero accadere, quindi restare comunque in attesa perché giugno viene prima di ottobre, e poi assumere eventuali decisioni. Nel caso si fosse proprio costretti. La riprova è su Repubblica, oggi. C’è un’intervista in cui Gianni Cuperlo dice: “Quanto al congresso, se dici che perdendo lasci la politica è evidente che scegli tu [ossia Renzi] di anticiparlo in quelle urne”. Sono sempre gli altri a scegliere, a volere, a decidere, noi si attende le decisioni altrui per prendere le nostre, che però non sono più, a rigore, decisioni vere e proprie, ma un gioco di rimessa.
Tuttavia se guardate con attenzione il filmato (che ho linkato anche in un mio post precedente, Chiedo la luna?), le parole di Cuperlo lì assumono corpo e anima. Non solo lui dice: “Il referendum È il congresso”, senza ipotetiche, con un’affermazione autonoma e apodittica, ma lo dice quasi sbottando, come se gli fosse scappato il colpo sotto la spinta di una forte passione che gli prende la mano (la passione difatti pronuncia sempre ‘affermazioni’: ‘ti amo’, appunto, non proposizioni ipotetiche: ‘se mi ami anche tu allora ti amo anch’io’ Emoticon smile). E nel filmato, a LA7, anche a Cuperlo scappa fuori la passione politica. E dice ‘è’, non ‘se’.
Lo so, lo so bene che le cose non sono così semplici, e che è in gioco in questi mesi la ricerca di una motivazione forte, solida, quasi dirimente per votare ‘sì’ o ‘no’ al referendum, facendolo nel modo più credibile possibile. La minoranza, stretta tra l’incudine e il martello, deve svicolarne in modo efficace e dunque il percorso appare gioco forza contorto, di certo non risolvibile per le vie brevi, sbottando in diretta TV. Non è il mio caso (voterò ‘no’ in tutta serenità), ma potrebbe essere quello della minoranza interna. Eppure non è detto che la soluzione sia sempre nelle subordinate ipotetiche, che il buco alla ciambella si faccia sempre con i ‘se…allora’ e con i posizionamenti sul campo conquistati dopo una dura guerra di posizione. Magari, e dico magari, qualche volta servirebbe una guerra di movimento, una passione forte, un’affermazione precisa, dura, senza sofisticatezze. Non lasciare all’avversario il diritto alla prima mossa, ma farla (!) questa prima mossa. E se scappa un colpo pazienza, se si sbotta, è andata. Io penso che sia meglio perdere con la passione sfoderata, piuttosto che perdere (o persino vincere: vincere?) dopo aver esibito una dialettica stringente di mosse e contromosse. Quando l’avversario mena sciabolate, le sottigliezze ipotetiche, il gioco di fioretto lo capiscono in pochi. C’è il rischio che l’ipotetica in politica divenga una politica ipotetica. E allora sono guai.