di Toni Gaeta 17 novembre 2015
Per avere un’idea, sia pur parziale, di come può essere onorato e celebrato l’uroborico delle culture matriarcali, riporto un brano dell’antropologa Heide Gottner-Abendrotth. Essa nel saggio “Le Società Matriarcali” (1), parlando dei Khasi, dopo aver descritto la funzione della grande pietra orizzontale ka iawbei, antistante l’alto menhir anch’esso in pietra, posto in posizione perpendicolare e centrale rispetto alla ka iawbei (come per raffigurare un trono o un altare), scrive: «E’ probabile che nei tempi passati su questa pietra venisse decapitato ogni anno un uomo, quale sacrificio volontario nei confronti dell’antenata del clan, per assicurare un futuro felice ai suoi discendenti. In questo caso l’antenata mitica assume il ruolo di dea della morte e della vita nell’aldilà: la grande dea dell’Assam dei tempi antichi. Il suo luogo sacro, la collina di Kamakhya, nei pressi di Gauhati, più tardi trasformato in un tempio indù, é stato riconosciuto come uno dei principali insediamenti khasi dell’Assam.
Lì si insediarono i Khasi e i Garo durante il periodo neolitico, dopo aver attraversato le montagne dell’Himalaya ed essere scesi nella pianura. Tutto questo avvenne nell’India nord-orientale, prima dell’arrivo degli ariani patriarcali. Per sottrarsi alla violenza degli invasori, i Khasi si ritirarono sulle colline, che presero il loro nome, dove essi si trovano ancora oggi. (1)
Ka Meikha, la madre primordiale dei morti, era riverita come la dea di tutti i defunti, ai quali essa offre il dono della “rinascita”. Essa é la dea del profondo e della trasformazione. Dall’abisso delle sue fenditure e dalle sue fluenti acque nasce la nuova vita…omissis. E’ difficile per gli occidentali capire questi rituali, ma prima di giudicarli, dobbiamo cercare di capire che cosa significava il rito sacrificale nel contesto della cultura matriarcale.
Le descrizioni di altri studiosi (2) lasciano intendere che gli uomini sacrificati non erano vittime involontarie. Essi provenivano da clan molto rispettati e, secondo alcune testimonianze, si recavano volontariamente all’incontro con la dea della morte, spinti dalla speranza che essa avrebbe garantito una vita migliore al loro popolo. Si trattava di un ruolo sacro, che con ogni probabilità nei tempi antichi era riservato al Re. Questi nello stesso momento in cui si insediava sul trono, si offriva a una futura morte rituale. La pratica diffusa di sacrificare il “re sacro” assumeva la forma di un dare e un ricevere tra gli esseri umani e la terra: ad essa, che tanta vita aveva dato, ne veniva restituita una, la migliore di tutte !» (Vedi anche il mio articolo “Il potere della rinascita” in sez. Cultura).
Parlando, poi, della cultura dei Newar della valle di Katmandu, la stessa antropologa scrive che: «Numerose tradizioni di questo luogo portano testimonianza di sacrifici umani maschili offerti a Vatsala Kali (3). La decapitazione sacrificale del bufalo o del toro nel bel mezzo della valle di Kathmandu, dove questi animali sono così sacri, che non possono nemmeno essere utilizzati per lavorare, allude a quello che in origine doveva essere il sacrificio di un uomo. Forse così Pashupati, il signore degli animali e re consorte di Kali, indossando una maschera di bufalo, andava incontro alla sua morte rituale. Il sacrificio dello sposo della dea madre (re sacro), solitamente rappresentato da un toro, é un’antica usanza matriarcale, che ci riporta sulle tracce delle grandi culture dell’Indo, dell’Anatolia, della Mesopotamia, dell’Egitto e di Creta.»
In proposito Robert Graves ci dice che i riti sacrificali in onore dei miti di Ila, di Adone, di Litierse e di Lino, si riferiscono al lutto annuale per la morte del “re sacro” o del suo sostituto, cioé il fanciullo sacrificato, per placare la dea della vegetazione. Inoltre, Erich Newman, in “Storia delle origini della coscienza” (4) scrive che: «Nei primi anni della civiltà il principio matriarcale era largamente dominante. Questo periodo é rappresentato in mitologia da una dea dominatrice e da un giovane dio, che é a un tempo suo figlio e suo amante. Attis, Adone, Tammuz, e Osiride sono esempi di giovani dèi nati dalla Grande Madre, diventati suoi amanti, morti, e rinati di nuovo attraverso di lei. Questi giovani dèi sono simboli della vegetazione, che rinasce dalla terra ogni primavera (nascita), ritorna alla terra in autunno (morte) e rinasce l’anno seguente (“rinascita”).
Sebbene il significato più profondo della “rinascita” dei defunti in seno al clan o all’intera società matriarcale, sembra ombreggiato dal concetto più esteso ma meno significativo di “fertilità”, l’impronta culturale matriarcale e il suo carattere uroborico resta marcata. Indubbiamente, l’espandersi dell’agricoltura attirò molti più popoli nelle aree geografiche più fertili. Quindi, le culture matriarcali della Mesopotamia, dell’Anatolia, della Palestina e dell’Egitto dovettero cedere terreno ad altre culture: quelle che ritenevano la paternità funzione sociale altrettanto importante della maternità.
Da qui il generarsi di moltissimi miti e il continuo cambiamento degli stessi, in ragione degli eventi politici e sociali, che caratterizzarono le popolazioni dedite allo sviluppo dell’agricoltura e dell’arte del foggiare strumenti, che facilitavano un maggiore e migliore approvvigionamento alimentare.
Fu questo il periodo delle numerose dee e dei numerosi dèi, che ora lottavano tra loro ora concludevano alleanze o accordi, che riflettevano gli scontri e gli incontri nell’ambito delle convivenze tra i loro cultori umani. Il mito di Persefone, figlia di Demetra, dea protettrice della vegetazione, che vede la ragazza dover tornare ad Ade, dio del Tartaro (ovvero morire) durante 6 mesi, per poi ritornare alla madre (rinascere) nei successivi 6 mesi, costituisce un esempio eclatante del capovolgimento dei ruoli tra femminile e maschile nell’ambito dei miti aventi stesso riferimento alla “fertilità”: capovolgimento che rifletteva il progressivo prevalere del potere patriarcale su quello matriarcale. Ciò avvenne grazie all’uso da parte delle società patriarcali degli stessi metalli, già utili per l’agricoltura (prima bronzo poi ferro), questa volta per uccidere. Ma avvenne anche grazie al loro saper deformare i miti matriarcali. (Oggi si potrebbe dire: grazie alla manipolazione dell’informazione).
Zeus che fagocita Meti e acquisisce la sua saggezza, sta a significare l’appropriazione del sapere da parte della cultura patriarcale, che sostenne il mito olimpico di Zeus, padre e signore di tutti gli dèi e di tutti gli uomini: mito che prese piede nell’antica Grecia ad opera degli Achei, ai danni dei Cretesi e della civiltà minoica più in generale. Ma anche in Anatolia, dopo la Guerra di Troia, ai danni dei Frigi (già popolo matriarcale), alleati di Troia. Stesso processo subirono anche i Babilonesi, gli Egizi e le tribù palestinesi ad opera degli Israeliti. In questo senso il cristianesimo primitivo costituì una risposta alla brutalità e alla violenza dei valori patriarcali, divenuti preponderanti con l’Impero Romano.
Come ho già scritto nel precedente articolo “Realtà e significato di Maria Maddalena”, nelle tesi gnostiche, infatti, si parla di Sophia come della componente femminile di Dio. Questo perché da Gerusalemme ad Alessandria d’Egitto i primi cristiani ritennero Sophia al tempo stesso sorella e sposa di Cristo. Essi erano persuasi, che, così come Cristo, Sofia venisse da Dio, inteso come Padre e Madre: ovvero Generatore e Origine dei principi maschile (Cristo) e femminile (Sophia).
Queste convinzioni in qualche modo riprendono i motivi ricorrenti nelle religioni matriarcali, sia pur valorizzando maggiormente (rispetto a prima) la funzione maschile e paterna. In questo senso il cristianesimo primitivo, oltre che tutelare la saggezza, che deriva dalla non contrapposizione tra i sessi, costituì un tentativo di salvare la coesistenza tra popolazioni di origine matriarcale e popolazioni portatrici dei valori patriarcali. Esso, tuttavia, non poté valutare lo sviluppo di un percorso, che prese avvio nella psiche degli uomini al comando delle società patriarcali, condizionando tutti gli sviluppi delle civiltà successive: la formazione della dimensione mentale dell’Io, separato dal corpo e dalle leggi naturali che lo regolano.
E’ facile comprendere come, una volta affermatasi la “mentalità patriarcale”, che permea di sé tutta la Storia delle civiltà meglio conosciute (giacché patriarcali), fino ai giorni nostri, i rituali, le pratiche sociali e i comportamenti individuali delle società matriarcali siano stati sempre identificati con l’enigmatico, l’abnorme, il mostruoso, il terrificante e, quindi, il minaccioso, che gli “eroi” dovevano affrontare e sconfiggere. Su questo molto ampia é la documentazione fornita da Robert Graves nei saggi “La Dea bianca” e “I Miti Greci” (5). Tuttavia, Erich Newman, nella “Storia delle origini della coscienza” pone in evidenza un salto qualitativo compiuto dall’uomo patriarcale, rappresentato dal mito di Edipo.
Egli asserisce che: «Solo con lui [Edipo] termina la linea del rapporto fatale con la Grande Madre e il figlio amante !» Questo perché – come sostiene Alexander Lowen in “Paura di vivere” (6) – l’uomo patriarcale opera un distacco tra sé e il terrificante mondo dell’incontrollabile e uroborica Natura, rappresentata dal femminile e dalle sue modalità di organizzazione sociale e culturale. Di fronte a ciò che egli vede come una minaccia, l’uomo patriarcale si identifica nelle proprie forze fisiche e psichiche maschili, valorizzate con il prevalere nel contesto umano della violenza delle armi, indirizzata e diretta dalle volontà della mente, imposte al resto del corpo.
Questa nuova condizione fa nascere nell’uomo patriarcale il concetto di “Io incorporeo”, capace di separarsi dall’insieme e di avere una visione del Sé estranea alla Natura. L’Io, dunque, quale strumento di una “coscienza”, intesa come conoscenza delle singole cose, tuttavia, separate dal contesto naturale, che, in quanto “contesto”, viene relegato nella dimensione dell’inconoscibile e temuto ambiente naturale.. Quindi, sepolto nell’inconscio, in cui dominano le forze del mostruoso, orribile e inaccettabile “uroborico femminile”. Non a caso, tutti i mostri mitologici hanno un connotato originario femminile, così come la Sfinge: “la nemica antichissima, il drago dell’abisso, la potenza della Madre Terra nel suo aspetto uroborico” (Erich Newman).
Tutto ciò fu funzionale al seppellimento delle acquisizioni operate dalle culture matriarcali e cambiò in molti aspetti la struttura psicofisica dell’essere umano. Non é un caso che alcuni studiosi, entusiasti dell’espandersi delle capacità cerebrali raziocinanti, hanno voluto vedere in tale fenomeno, risalente a 5-6 mila anni fa, la nascita di una nuova specie umana, definita Homo Sapiens Sapiens. Alcuni psicanalisti, però, allo stesso periodo fanno risalire l’avvio dei processi nevrotici, causati dalla separazione dell’essere umano rispetto al resto della biosfera.
In verità, da questo periodo della Storia umana la separazione tra le funzioni dei nostri 2 emisferi cerebrali si accentuò, risultando di gran lunga prevalenti le proprietà analiticamente raziocinanti dell’emisfero sinistro, rispetto alla visione dei contesti, che accentua le capacità creative dell’emisfero destro. Julian Jaynes nel suo saggio “The Origin of Consciousness in the Break-down of the Bicameral Mind” (7) scrive: «L’emisfero destro é più coinvolto nei compiti di sintesi e di costruzione dello spazio, mentre l’emisfero sinistro é più analitico e più verbale. L’emisfero destro, forse come già [nella funzione de]gli dèi, considera che le parti hanno un significato solo se collocate in un contesto, nell’insieme. Mentre l’emisfero sinistro ‘dominante’, come il lato destro dell’uomo dalla mente bicamerale, considera le parti in se stesse.»
Ciò che Alexander Lowen aggiunge a tali considerazioni é che la “funzione degli dèi” rifletteva le leggi della Natura, regolate dai principi biologici e, quindi, nella specie sessuata umana dalla capacità riproduttiva della donna: tutte cose dalle quali l’ “Io cosciente” non avrebbe dovuto allontanarsi mai. Egli scrive, infatti, che: «Il concetto di matriarcato corrisponde alla visione del mondo rappresentata dall’emisfero destro. Il matriarcato fu rovesciato e l’emisfero destro divenne secondario, allorché le funzioni dell’emisfero sinistro crebbero d’importanza. Quest’ultime rappresentano una capacità sempre più affinata di manipolare le cose, che é prerogativa della mano destra, nonché l’uso crescente della parola per descriverle, capirle o deformarle (manipolazione informativa)… omissis. La causa fondamentale del cambiamento [ai tempi del mito di Edipo] fu la crescita delle funzioni dell’emisfero sinistro (con cui si identifica l’Io, ndr), che costituiscono prerogative del sistema patriarcale.
L’Io conquista il suo potere con l’uso della ragione e della volontà. Entrambe queste funzioni sono messe in evidenza nella storia di Edipo…omissis. La sua risposta all’enigma della Sfinge fu una risposta verbale, analitica e logica. Da quanto detto, possiamo concludere che il mito di Edipo é una storia sull’origine del dominio dell’Io e del connesso ordine sociale patriarcale !» Il suo potere raziocinante, infatti, é tale da indurre la Sfinge a volare via, per gettarsi nel Mare Egeo. In questa sconfitta della rappresentate della Natura, con la conseguente sottomissione della donna, depositaria del mistero biologicamente creativo, A. Lowen vede la nascita dell’uomo moderno: aspetto molto importante, su cui anche Horkaimer e Adorno hanno scritto, prendendo come esempio il mito di Odisseo.
(*) Uroborico: fenomeno in cui ogni parte è connessa con ogni altra in un ciclo eterno.
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“Le Società Matriarcali – Studi sulle culture indigene nel mondo” – Edizioni Venexia
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Vedi Bareh, cit.; B.K. Kakati, The Mother Goddess Kamaklya, Lawyer’s Book Stall, Gau hati, Assam 1948, 1967.
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Vatsala Kali, dea della morte e della rinascita – Vedi Michaels, cit. p. 109; Kooij, cit. p. 16.
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“Stortia delle origini della coscienza” (Astrolabio, Roma, 1978)
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“I Miti Greci” (Longanesi, Milano, 2011) – “La Dea bianca” (Adelphi, Milano, 1992)
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“Paura di vivere” di Alexander Lowen – Casa Editrice Astrolabio
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“The Origin of Consciousness in the Break-down of the Bicameral Mind” (Houghton Mifflin Co, Boston, 1976)