L’invidia di classe al posto della Rivoluzione culturale

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 10 febbraio 2016

Per molti giovani “la rivoluzione è un’incognita”

Mi ha molto colpito il tema di copertina di ‘pagina99’ del 30 gennaio scorso. Si parlava della ‘guerra dei trentenni’, definita come la “generazione azzoppata dalla crisi”. Si cita il caso di alcuni giovani professionisti, di laureati a pieni voti, di over-skilling in sostanza, che si trovano a svolgere prestazioni sottopagate rispetto all’effettiva preparazione scolastica e professionale, almeno a sentire il giudizio personale di ognuno. Sono storie di ragazzi che si aspettavano di svolgere mansioni consone agli studi fatti, ma anche di ricevere buoni stipendi e godere di condizioni di lavoro da veri professionisti. ‘Pagina99’ offre un dato: ci sono 100.000 nuove partite IVA aperte da under 35 ogni anno. 100.000 persone pronte a svolgere attività imprenditoriali o professionali aderenti alle proprie aspettative di vita e coerenti con gli studi effettuati.

Che significa tutto ciò? Che ci sono molte energie che sottoutilizziamo. Che il sistema, cioè, sottoutilizza per favorire i figli di papà piazzati meglio nella gerarchia sociale. Questi giovani “azzoppati” se ne lamentano apertamente, imprecano contro chi non dà loro la possibilità di esprimersi al meglio e di avere uno stipendio consono alle loro capacità. Non sanno di scontrarsi con un principio cardine del capitalismo e della nostra organizzazione sociale, quello della riproduzione sociale, per il quale il fisico nucleare figlio di un fruttivendolo è più facile che faccia quest’ultimo mestiere piuttosto che divenire un nuovo Einstein. Le dinamiche sociali non dipendono da quanto sei bravo, ma dal tuo potere in termini di gerarchie e dalla tua collocazione all’interno di esse. Il problema nasce quando si rivendica un diritto personale (sono un chimico geniale, voglio fare il chimico e prendere uno stipendio molto alto o comunque dignitoso) ma si ignora che esiste una società (con i suoi assetti di potere) che organizza i destini in termini ampiamente sovra individuali.

Se questo orizzonte fosse più chiaro a ragazzi che si suppone intelligenti, la smetteremmo forse di parlare di queste giovani generazioni sotto QUEST’UNICO punto di vista, quello delle aristocrazie dei migliori ma sfortunati in termini professionali (anche se esistono, va detto, dei migliori fortunati, e il mondo non è DEL TUTTO in mano ai figli di papà) e amplieremmo lo sguardo ai milioni di 20-30-40enni che non studiano, non lavorano, vivono in famiglia da adulti oppure sono dei ‘precari’ intenti a svolgere prestazioni e lavori di ogni sorta. Con l’aggravante che NEMMENO QUESTI ULTIMI paiono avere una visione sociale ampia, e sappiano cogliere l’orizzonte della propria precarietà personale come il segnale di una riproduzione sociale dei ruoli anche qui rigorosa e inflessibile. Per questo non ci si può scagliare contro la bassissime dinamiche sociali solo per rivendicare i propri diritti personali a salire su quel medesimo e iniquo ascensore. Semmai non si dovrebbe avere solo l’ambizione di entrare a far parte della classe dirigente per portare a casa stipendi interessanti, utili a consumare merci, quanto quella di contribuire a spezzare il giogo a cui tutti, non solo le partite IVA under 35, siamo sottoposti socialmente, giovani e vecchi assieme.

La responsabilità dei 30-40enni, oggi, è quella di aver totalmente o quasi corrisposto alle regole, agli assetti, alle ideologie, alle narrazioni che governano l’attuale sistema sociale. Di aver accettato il dominio del consumo su ogni altro tipo di comportamento, e dei gadget (elettronici in special modo) sulle persone. Di pensare per sé, secondo canoni e ambizioni personali, di aver accolto appieno la narrazione individualista, quella dei ‘migliori’, del ‘merito’, ignorando che anche questa è ideologia: ti sbandierano il merito, ma dominano il familismo, le amicizie e il tornaconto (che poi vuol dire, appunto, la ‘riproduzione sociale’). Ma, soprattutto, i 30-40enni sono il primo caso di giovane generazione al fondo conservatrice, o al più timidamente riformista. Mi chiedo: come si può essere così giovani senza sperare di ‘cambiare il mondo’, e non solo l’entità del proprio stipendio? Non lo dico a sproposito. Cito uno di questi trentenni, intervistato da ‘pagina99’, che è stato chiarissimo a riguardo: “Nel nostro sistema ci sono quelli che stanno molto bene e quelli che stanno molto male. Ma quelli che stanno molto male non vogliono fare la rivoluzione, che è sempre un’incognita, vogliono prendere il posto di quelli che stanno molto bene. E ci provano in tutti i modi, anche furbi e illegali”. Efficace sintesi di una generazione che ha scambiato i propri sogni con lo sfrenato desiderio di una vita borghese e magari cosmopolita.

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