L’inverno è arrivato (per tutta la sinistra)

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 27 maggio 2019

L’Italia è divisa in due. Il centro nord vuole il taglio delle tasse, il sud i sussidi. Da nessuna parte c’è una richiesta forte di lavoro, né una proposta seria o un piano da parte di chi governa. Il lavoro, dico, quello che produce occupazione reale ed entrate fiscali nello stesso tempo. Non gli 80 euro, non i sussidi, non gli sgravi pret porter, né l’assistenza, né i lavori usa e getta che producono soltanto precariato, flessibilità e soluzioni individuali. Se questa è l’aria, se l’onda è così micidiale, questo Paese non è destinato a salvarsi. Questo dice il voto, meglio e più di un convegno addottorato di accademici o di ceto politico. Il destino italiano è scritto tutto nella radiografia elettorale. Qual è la richiesta vera che serpeggia nel Paese? Quella di investire risorse pubbliche e private in un progetto che preveda occupazione e lavoro, e dunque più risorse per il welfare? Manco per niente. L’Italia profonda vuole meno tasse, vuole sussidi, vuole benefit, sgravi, bonus, regalìe. E magari tutto e subito, pronto cassa.

C’è un’orda di elettori che si muove come uno sciame e si rinserra, nel tempo, prima sotto le bandiere di Forza Italia, poi di Renzi, poi di Grillo, ora di Salvini. Sono simbolicamente sempre gli stessi con la stessa richiesta: meno tasse per tutti, flat tax, taglio fiscale, usate voi la formula che ritenete più efficace per descrivere questo impulso. Accanto a costoro, il ‘popolo’ chiede assistenza, vuole l’assegno statale cash, nemmeno ci pensa più alla possibilità di costruire un’esistenza attorno a una carriera lavorativa. Tutto ciò è ovviamente favorito da un aumento delle disuguaglianze, da un impoverimento della dotazione di risorse pubbliche, da uno sgretolamento sociale, dalla declino del sistema formativo e da una crescente ignoranza. L’humus giusto per ingenerare la crisi definitiva di un sentimento pubblico positivo, senza il quale si diventa tutti più poveri, più soli e più disperati.

Qual è stata in questi anni la risposta della sinistra all’offensiva della destra? Da una parte abbiamo avuto un partito (il PD, presunto erede della sua tradizione storica) che ha perpetuato una folle rincorsa al centro. Dall’altra, liste e listine che non sono andate oltre la provvisorietà, che al più hanno espresso ceto politico e che il lunedì del voto erano già morte. Percentuali bassissime che hanno tentato al più di esprimere una identità anche in modo talvolta velleitario (e ve lo dice uno che ha votato la lista Tsipras e LeU, uno complice del fenomeno). Io credo che sia venuto il momento di dire basta a questo andazzo, il momento di lavorare alla scomposizione e alla ricomposizione del puzzle della sinistra italiana, ben più che tentare escamotage identitari che non ottengono alcun risultato, se non quello di creare nuova frustrazione. Ma direi basta, ancor più, con un partito che vive di un equivoco di fondo: quello di presentarsi come sinistra, ma di essere centrista a tutti gli effetti, moderato nella cultura politica, e al più liberal sui grandi temi dei diritti civili. Spero che Zingaretti sino a oggi abbia scherzato, e adesso inizi a fare sul serio.

Le responsabilità della sinistra sono estese, toccano tutti, non schivano nessuno. Sia chi ha ridotto la politica a roba da social, sia chi si è messo a scimmiottare le destra, sia chi ritiene che “pochi ma buoni” sia la formula giusta, ma per restare alla fine soli e più spaesati di prima. Tocca tutti. La mucca nel corridoio era talmente grande che in pochi l’hanno vista davvero, mentre gli altri erano impegnati a mettere like, a mostrare come la propria identità fosse più pura di quella degli altri, a presentarsi come più intelligenti perché economisti, e a prendersela col vicino di casa invece di costruirci assieme qualcosa. Il problema oggi è puntare a qualcosa di grosso, che abbia massa critica, che sia largo e plurale, che faccia sentire per prime le minoranze come a casa propria. L’antitesi del partito di Renzi, ma anche del ‘listismo’ di sinistra. Ne saremo capaci?

E poi c’è il dato oggettivo, storico. La sinistra italiana galleggia su una base sociale che va da un’altra parte, che ha accettato valori, idee e simboli dell’avversario. Ho già accennato alla richiesta di taglio delle tasse o di meri sussidi: parlo del ‘popolo’, mica solo della borghesia delle professioni o imprenditoriale. Ci sono pensionati che chiedono il taglio delle tasse e ce l’hanno con lo Stato e i ‘burocrati’: ma sono donne e uomini che usufruiscono in modo strutturale, non contingente, del welfare. Ce ne sono altri che vivono in realtà prive di un tessuto produttivo, ma che accettano la riduzione del proprio destino a beneficio o sussidio pubblico. C’è un popolo che è ormai prigioniero del mercato, del consumo, dei valori ‘valutati’, che depreca le forme di solidarietà, che si atteggia a individualista e che scimmiotta i conservatori. È un popolo che da decenni svolazza da Berlusconi a Renzi a Grillo e a Salvini.

Il tema è: come recuperarli al progetto della sinistra, alla solidarietà, al senso della collettività, al bene pubblico? Non può certo riuscirvi un partito che fa il verso al centro, che ha avuto il berlusconismo a modello. Né può bastare il listismo, che sembra davvero sordo a tutto, anche al buon senso. Tanto meno si tratta di rilanciarsi accuse reciproche di tradimento. Gramsci ha insegnato con la sua vita, ancor più che con le sue parole, che dinanzi a una sconfitta di tali dimensioni non si riparte come se niente fosse, chiusi in un bozzolo di semi-certezze, timidamente o arrogantemente accodati all’avversario oppure pronti a rilanciare accusa di socialfascismo ai propri compagni. L’inverno è arrivato per tutti, lo dicono i numeri elettorali, ma ancor più l’incapacità di ricucire finalmente un rapporto positivo col Paese, i lavoratori, i cittadini. E di avviare un corpo a corpo con il ‘popolo’ piuttosto che blandirlo, pronti a ingaggiare una lotta per l’egemonia trincea per trincea, casamatta per casamatta, in una lunga e complessa battaglia prima di tutto culturale, avendo ben presente lo stato reale in cui versa l’Italia.

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