L’intervista a Prodi di Repubblica e l’assenza dei partiti

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 15 settembre 2017

Oggi Prodi si fa intervistare da ‘Repubblica’. Le sue critiche al PD sono pesanti. Dice in sostanza che è un partito che si tiene nella scia dei sondaggi e punta solo alle percentuali. E per questo sacrifica le proposte di legge che non paiono collimare positivamente coi rilevanti demoscopici. Cerca di battere la destra, insomma, facendo la destra. Una mostruosità. Detto questo guardate i tempi. La questione Pisapia, a meno di sorprese, sembra sbloccarsi. Tra i punti usciti dal confronto di lunedì scorso c’è anche l’approvazione dello ius soli. Prodi, che è molto vicino a Pisapia, ritiene lo ius soli un punto dirimente, un tema di identità politica e di solidarietà sociale che un partito di centrosinistra non può mollare così, in nome dei sondaggi (leggi: bramosia di potere). Lo stesso Prodi si fa intervistare da “Repubblica” per parlare di questi temi e sferrare un attacco al PD.

Ecco. C’è come qualcosa che si tiene, come indizi che fanno prova. Sembra che qualcosa si stia muovendo nell’arcipelago neoulivista, e non in termini favorevoli al PD, anzi. E pure in assenza di un vero disegno, i singoli elementi prefigurano un quadro non buonissimo per il progetto renziano (ma anche orlandiano) di puntellare il partito a destra con Calenda e a sinistra con Pisapia (che poi vorrebbe dire anche Prodi e il mondo di cattolici democratici e di ulivisti). A causa di questi smottamenti, Il PD potrebbe (potrebbe eh, la politica non è matematica) sguarnirsi proprio sul versante di centrosinistra, e lì prendere dei colpi. Forse anche da questa fenomenologia, molecolare ma non tanto, dovrebbe comprendersi la necessità di incunearsi sui fianchi degli avversari, inibire per quanto possibile i loro piani, funzionare da disturbatori, contrapporre il proprio progetto a un altro, occuparne lo spazio di modo che quest’ultimo risulti inefficace e si aprano invece praterie per il tuo.

Insomma ‘manovrare’ strategicamente è preferibile che restare a guardare le manovre altrui, accontentandosi soltanto della bellezza e della fertilità della propria riserva di spazio politico (o, vice versa, del proprio deserto da attraversare). Purtroppo in assenza dei partiti (quelli veri non quelli demoscopici) questa dimensione dello scontro è sempre meno evidente a tutti, diviene oggetto di retroscena, sfugge ai più nella sua forma effettiva di scontro. E in assenza di un pensiero collettivo (che solo i partiti veri riescono a produrre), ci rifugiamo nei nostri pensieri personali, atomici, molecolari che, per quanto arguti o brillanti, alla fin fine hanno l’effetto di dividere invece che di unire. O, al più, alimentare discussioni infinite sui social media.

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