Autore originale del testo: Fausto Anderlini
L’insostenibile (e friabile) consistenza del Pd
Produco una carta e abbozzo una analisi
La performance della Schlein è notevole, ma soprattutto se paragonata al dato clamorosamente in controtendenza del voto degli iscritti. In realtà sette lunghezze non è un margine così ampio e il quadro d’insieme è piuttosto quello di una fratturazione verticale dell’elettorato Pd delle primarie. Una evidenza dualistica che plasticamente aderisce alla fratturazione statutaria del Pd, con un segretario eletto dagli elettori, con tutto quanto ne consegue dal lato della composizione degli organi centrali, che non ha il consenso degli iscritti.
I dati salienti sono due:
– Pure non sottacendo una prova partecipazionistica di un certo rilievo nel grigio panorama politico, è evidente il forte decalage nell’affluenza ai seggi: 1.100.000 scarso di votanti a fronte del milione e mezzo delle primarie che incoronarono Zingaretti. Quasi un terzo in meno !
– Il netto dualismo che oppone il Nord al Sud, con le sole eccezioni alla regola dell’Emilia e della Sicilia. Al Nord la Schlein fa il pieno distanziando quasi ovunque di oltre venti punti l’antagonista. Stessa cosa si ripete al Sud, ma a parti invertite. Non un gradiente lineare ma un vero e proprio cleavage verticale, come si trattasse di due mondi radicalmente distinti, se non estranei.
E’ evidente la correlazione del voto alla Schlein con le aree economicamente più progredite e le grandi centralità urbane (una tendenza già percepibile nel voto degli iscritti) a reiterare quella frattura fra centro e periferia che è ormai caratteristica universale quanto paradossale del comportamento politico. Con la sinistra che facendosi interprete delle esigenze dei ceti sfavoriti ottiene il consenso di quelli benestanti, mentre le destre perseguono gli interessi dei ricchi ottenendo il voto dei poveri. Tuttavia non è il caso di abbandonarsi alle correlazioni ecologiche e alle loro fallaci apparenze, soprattutto se le risultanzer si mettono in relazione alle politiche proclamate. Dove semmai emerge come regola una clamorosa serie di effetti perversi.
Bonaccini, ad esempio, ottiene il massimo dei consensi al sud, sia fra gli elettori che nel ceto politico, malgrado fosse il candidato più esposto sull’autonomia differenziata, Di converso la Schlein totalizza le più schiaccianti performances proprio dove Renzi aveva avuto la culla della sua ascesa. Emblematico il caso della Toscana. Improbabile che gli elettori siano cambiati. Son sempre gli stessi, che a suo tempo opzionarono Veltroni anzichè D’Alema, e poi Renzi anzichè Bersani e Cuperlo, e che adesso aderiscono in massa alla Schlein.
Se Bonaccini aveva l’appoggio della corrente ‘riformista’ di ascendenza renziana c’è da dubitare che il ‘renzismo residuo’ sia alla base dei suoi consensi. Il Sud, infatti, è sempre stato relativamente refrattario al ‘renzismo’, fenomeno dilagante nell’Etruria rossa e visto con favore al Nord. Tutt’altro che proporsi come pietra della contesa, il ‘renzismo’ è stato piuttosto baypassato e trasceso. Cosa naturale essendo tutti stati ‘renziani’, dirigenti e popolo, seppure in diversa misura e coinvolgimento. Renzi, per quanto degenerato, è stato null’altro che uno stadio evolutivo intrinseco al Pd. La Toscana, ma anche il resto del nord. sta lì a testimoniare, che c’è un vettore comune che porta da Prodi alla Schlein passando per Veltroni, Renzi e lo stesso Letta, sebbene con margini di oscillazione anche molto ampi dal lato delle proposte politiche. E’ il vettore della politica post-moderna, variamente interpretabile ma con tratti comuni che la strutturano. Del resto il civatismo, col suo occupy Pd, fu coevo e consustanziale al renzismo, prima di staccarsene polemicamente. La stessa ‘sinistra’ torna al comando del partito con una strategia di approccio tatticamente coincidente con quella a suo tempo usata da Renzi (e tentata da Vendola). Cioè un’opa che bypassa la struttura di partito.
Il voto del Sud, anche con l’eccezione siciliana e poche altre distonie, è tutto da interpretare. Non credo sia sufficiente richiamare l’influenza dei grandi notabili, De Luca ed Emiliano in primis, cioè lo stereotipo del padrinato meridionale. Credo che al fondo abbia agito una renitenza antropologica rispetto al profilo socio-culturale della Schlein. Considerata espressiva di un Nord alieno e contrapposto alle sue esigenze sociali e identitarie. Tanto da preferirle, ma solo occasionalmente, un nordico di stampo vetero-socialdemocratico come Bonaccini. E il Sud è questo: i cinque stelle, Conte, ma anche De Luca ed Emiliano, fieri interpreti della meridionalità.
Il Pd è dunque spaccato; fra iscritti ed elettori, cosiccome negli elettori e nella classe politica. Il ‘Congresso’ non ha risolto il problema e le primarie lo hanno reso ancor più esplicito. Fossi nella sua classe politica più accorta su questo mi interrogherei, anzichè far festa. Il composto è altamente e costitutivamente instabile e la leadership della Schlein lo rende esplosivo. Dietro di essa c’è una coalizione composita, a sua volta problematica: la sinistra interna e quella aggiunta da Art. 1 (non la stessa cosa), il doroteo Franceschini (nel caso eccellente manovratore), le frattaglie pisapiiche, boldriniane e tardo vendoliane, e più in largo l’establishment euro-atlantico garantito da Letta (che non per caso opzionò la Schlein sin dal tempo delle agorà). Riusciranno costoro a trovare un ubi consistam interno, anche capace di evitare una rinnovata diaspora fra gli iscritti e di saldare il rapporto con ciò che si è espresso al seguito di Bonaccini ? Oppure riuscirà la Schlein a governare tale marasma da sola in grazia di insospettate doti di autorevolezza e di leadership ? Arduo problema.