L’idolatria del nuovo (i nani, i giganti e le ballerine)

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

L’idolatria del nuovo (i nani, i giganti e le ballerine)

C’è una storia gattopardesca della sinistra italiana che, col senno di poi, spaventa. Se andate a riprendere vecchie copie di Repubblica, e quindi rileggete certi articoli, andate a rimestare nei dibattiti di allora, nelle boutade, nell’andirivieni di personaggi improbabili, e persino nel lessico rimasto inalterato sino ai giorni nostri, si potrebbe restare stupefatti. Da anni e anni c’è chi chiede di ‘aprire’ i partiti, c’è chi invoca la società civile, chi cerca un leader, magari giovane, donna, nero, che ‘buchi’ il video, che spacchi in due gli apparati, rottami i vecchi, faccia entrare ‘aria nuova’ e mandi in pensione gli anziani dirigenti, l’apparato, le mummie, quelli che non capiscono le ‘novità’, che difendono le ‘poltrone’, quelli che ostacolano il ‘nuovo’. Alla fine potreste morire di noia, scorrendo lo spettacolo del nulla accaduto, proprio mentre tutto si annunciava ineluttabile, ovviamente sull’onda della spinta della ‘gente’ (definita ‘popolo’ dalla sinistra ‘vera’, unica variante concessa in un lago di mortale tedio).

Ricordate il popolo dei fax? E quello viola? E i girotondi? E i referendum su tutto lo scibile elettorale? E il Parlamento tramutato in una scatoletta di tonno? E Rodotà Rodotà? E il maggioritario che ci fa vincere dalla sera stessa? E il premio per consentire la ‘governabilità’? E Renzi, presunto vincente, sicuro flagello, con tutti quelli che ci hanno creduto? Tutto ritorna, imperterrito, anche oggi. Elly Schlein (povera ragazza, ha delle qualità e una certa freschezza, ma qualcuno la salvi dal tritacarne globale) è già la leader da cui “ripartire”, e così l’Emilia. Nel frattempo siamo già ‘ripartiti’ da una decina di persone, una fu la Serracchiani; prima ancora Danny Sivo ci ha ricorda Francesca Borri; Renzi fu il campione di quelli da cui “ripartire” per “vincere”. Dietro a questo percorso, sempre la longa manus di Repubblica e dei guru della sinistra mediatica, quelli che volevano aprire i partiti come scatolette di tonno (pure loro), che se avessimo avuto un giornale vero forse avremmo persino contrastato questo vocìo, proprio com’era giusto fare. Ma non sia mai, eh!

Ed ecco il paradosso. La parola più vecchia di questi anni è stata ‘nuovo’. Puzza di rancido, in realtà. Liberiamocene. Persino la Bolognina fu annunciata dal ‘nuovo’ PCI di Occhetto. Da parte mia, faccio ammenda perché non capii per tempo la trappola lessicale e politica. A nessuno viene oggi il sospetto che abusare del ’nuovo’ sia stata alla fin fine una truffa ideologica? E che forse esibire questa etichetta ‘novista’ è stato il segno palese della conservazione in atto? Abbiamo letto il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica come un avanzamento gioioso e progressista: la gente scelga chi deve governare, senza mediazioni del Parlamento, se non quelle minime consentite dalla Costituzione (che però si deve cambiare per adeguarla all’andazzo corrente!). Si trattava invece di un passaggio dalla politica come mediazione e cultura, alla politica come esibizione di leader muscolari; dalla partecipazione organizzata a quella di chi fa tifo da casa o da dietro una tastiera; dal senso della collettività a quello dell’individuo furbo che buca i media (con l’arroganza che non guasta).

La vecchia locuzione ‘nani e ballerine’ già introduceva il tema, a cui oggi potremmo rispondere (in positivo) con il vecchio aforisma di Bernardo di Chartres (1070-1130), che propose di essere come “nani sulle spalle dei giganti”, ossia come uomini che possono “vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti”. (Giovanni di Salisbury). Ebbene, a un certo punto, i nani sono scesi da quelle spalle alla ricerca di novità, anche per ribellione verso i giganti, e si sono mischiati con ballerini e ballerine, la ‘gente’ insomma, i guru, i comunicatori, i tecnici, con quel che ne è conseguito (cecità, scarso ingegno, tatticismo, arroganza e prepotenza invece di intelligenza e passione). I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

L’idolatria del nuovo ha magnetizzato le riflessioni, l’idea di distruggere i partiti e quel che ne restava ha prevalso, le istituzioni sono divenute sorde e grigie, i barbari hanno sfondato le porte. Certo che c’era bisogno di un rinnovamento, c’è sempre bisogno di un rinnovamento. Ma in questi anni in Italia abbiamo assistito al suo esatto contrario, la conservazione camuffata da riformismo. Servirebbe oggi (e finalmente) una reazione: rompere il paradosso, individuare i giganti, risalire sulle loro spalle, lasciando in terra i novisti-rottamatori. Si può fare? Si può ancora (ri)costruire un ambiente dove le organizzazioni, la reciproca responsabilità, il senso del collettivo, la rappresentanza del disagio, dello sfruttamento, di chi è subalterno, e quindi la ricchezza sociale, il rispetto dell’intelligenza, il gusto della cultura, la solidarietà e la cura, una visione di lunga gittata, possano prevalere? Vi dico la verità: non lo so. Anche se lo spero.

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