di Alfredo Morganti 19 maggio 2015
Sky tg 24 ha invitato Pietro Ichino a parlare di ‘buona scuola’. Direte voi: e che c’azzecca? Ichino non è specializzato in libertà di licenziamento, e la libertà di licenziamento non è associata indelebilmente al jobs act, che è figlio, appunto, del trio Renzi-Ichino-Poletti? Sì, è così: Ichino per la scuola dovrebbe essere come il cavolo a merenda, come un pesce fuor d’acqua. E invece no. Che cos’è difatti che caratterizza l’ichinismo? La volontà bestiale di creare precarietà laddove già abbonda, di presentare il licenziamento come un rimedio a se stesso, di immaginare il lavoro come un’esperienza breve ma intensa. Un bel ricordo, insomma. E, in ultimo, Ichino è soprattutto il tentativo fatto uomo di creare lavoro senza crearne davvero, ma solo sventolando regole nuove e bislacche, a parità di crisi e di investimenti. Quindi Ichino c’entra benissimo con la ‘buona scuola’ di Renzi. C’entra con l’idea che uno decida per tutti, con l’idea che le insegnanti entrino in un regime di flessibile insicurezza, sottoposte ai giudizi e alle valutazioni di tutti, anche di chi non ne ha competenza, a partire da quelle chissà quanto interessate del Dirigente Scolastico e alla eventualità che esse debbano sloggiare dalla proprio istituto anche a ciclo inconcluso.
Ichino è sinonimo di parapiglia, di insicurezza, di trambusto. Quello che si genera quando, dietro indennizzo, un lavoratore potrebbe vedersi recapitata una lettera di licenziamento solo perché l’azienda, pur non essendo in crisi, intende semplicemente ridurre il budget di investimenti o contenere il costo del lavoro a parità, magari, di effetti produttivi. A scuola il parapiglia, a usare un eufemismo, scatterà quando alla collegialità si sostituirà il tutti contro tutti degli insegnanti, la competizione, il darwinismo didattico, il pesce grosso che mangia quello piccolo (anzi, il pesce piccolo che, siccome è parente di un Dirigente Scolastico, si mangia quello grande). Ichino è un segno profetico, compare sempre prima di un disastro sociale, lo annuncia, lo auspica, infine lo genera. Quando la scuola pubblica nazionale, per esempio, diventera’ un reticolo di singole autonomie, di istituti sempre più distanti tra loro sul modello delle scuole paritarie, e ogni scuola, pur di comprare la carta igienica (anzi, vedrete che la carta igienica toccherà comprarla sempre ai genitori), calerà sul mercato col coltello in mezzo ai denti a contendersi le risorse private come pirati dei Caraibi, pronte a scambiarle con chissà che. Anche se queste risorse dreneranno comunque verso le aree più ricche, secondo il detto che il fiume va sempre al mare.
Ichino è anche il simbolo vivente, mostruoso, del trait d’union che sempre più connetterà scuola e lavoro, senza con ciò generare lavoro, ma solo mutando la scuola stessa in un apparato che prepara tecnici addomesticati per l’impresa, e nulla più. Come se la scuola primaria dovesse addestrare periti tecnici, o la scuola media degli infermieri professionali o degli idraulici, solo perché nell’area di influenza (e di raccolta fondi) dell’istituto c’è una ditta di termoidraulica o una clinica privata che paga le merendine ai bambini una volta al mese. No, caro Ichino e quel che rappresenti: la scuola primaria (ma non solo) deve PER PRIMA COSA insegnare a leggere, scrivere e far di conto. ‘Leggere’ vuol dire dotarsi di cultura e saperla interpretare criticamente; ‘scrivere’ vuol dire saper produrre cultura, pensieri critici, autonomia delle idee; ‘far di conto’ invece significa acquisire capacità logico-argomentativa a vari livelli. Come usare un tornio o una scheda elettronica si vedrà, come addestrare un quadro aziendale ci si penserà poi. Ma è inevitabile che se metti un giusvalorista a parlare di scuola qualcosa non vada! Anzi, qualcosa non sia già andato! E l’idea che la scuola sia una cosa dove imparare in fretta un mestiere stia passando, lasciando tutti sempre più ignoranti. Incapaci di leggere, scrivere e far di conto. Talmente ignoranti da non capire che questi tre tenori ti stanno fregando: il premier, il giuslavorista e il ministro del lavoro che non c’è, non ci sarà, ma intanto fanno finta che ci sia coi numeri farlocchi che lasciano circolare. La scuola pubblica nazionale non è un meccanismo che, siccome è in crisi, sia possibile smontare del tutto. Il meccanismo va rimontato e debbono tornare i soldi e le risorse. Altrimenti siamo finiti. Siamo finiti come società e come Paese.
PS: È ovvio che la classe dirigente terrà ben alla larga i suoi figli dalla scuola di Ichino. Come dubitarne? Mica sono scemi.
1 commento
il nuovo che avanza: jobs act confezionato da un giuslavorista ex dirigente sindacale, deputato dal 1979 passato dal pc ad pd a sc e ritorno al pd. il nuovo che avanza.