Fonte: Minima cardiniana
di Franco Cardini – 19 novembre 2018
“Laicità”, a livello semantico (lasciamo perdere sia l’etimologia, sia i significati volgari e approssimativi), non è sinonimo né d’irreligiosità, né d’indifferentismo: significa semplicemente l’essere coscienti dei propri diritti civili e rispettare quelli degli altri in una società pluralistica, dove non esistono più né religioni di stato né etiche condivise ma nella quale persone e gruppi che s’ispirano a valori diversi decidono liberamente di convivere tutelando ciascuno il minimo indispensabile delle proprie certezze e convinzioni, nonché lasciando agli altri il massimo possibile d’espressione delle loro: il tutto nell’accettazione di un apparato giuridico concordato e condiviso, in grado di garantire a ciascuno il massimo della libertà e d’imporgli il massimo del rispetto dovuto agli altri. Non è facile: sono necessari chiarezza d’idee, onestà intellettuale e profondità di senso civico. Tre dote semplici e nobili, ma ardue a coniugarsi insieme.
Se e nella misura in cui ciò non avviene, c’è il rischio del subentrare del politically correct: ambigua e squallida caricatura della sintesi di quelle doti, atteggiamento pseudovirtuoso e pseudorazionale che dovrebbe tutelare la libertà di ciascuno mentre finisce viceversa con il limitarla e l’insidiarla, quando non addirittura con il mutarsi in una sorta di orwelliana neotirannia (e che essa per affermarsi necessiti di una neolingua è noto). Ad esempio: in molti paesi, incluso il nostro, la legge civile ammette come cose lecite – con le limitazioni che tutti gli apparati giuridici prevedono per qualsiasi tipo di libertà – l’aborto e l’unione coniugale tra soggetti del medesimo sesso. Vi sono cittadini che adiscono ai diritti che scaturiscono da queste liceità e cittadini che le ritengono offese all’ordine stabilito da Dio. La legge dovrebbe tutelare entrambi i gruppi: nella realtà quotidiana (nelle strade, nei luoghi pubblici, nelle scuole, sui posti di lavoro, spesso all’interno delle stesse famiglie) ciò è difficile. Ma fino a che punto è lecito ostentare qualcosa che dipende da un’intima convinzione privata ma che offende un concittadino? E fino a che punto chiunque di noi ha il diritto di tutelare i suoi diritti?
Tutti noi abbiamo ben presenti alla nostra mente certi casi-limite. Ma a volte il conflitto può presentarsi nei modi più impensati e assumere connotazioni quanto mai serie. Anche quando si tratta, ad esempio, di ordinare e/o di confezionare una torta di nozze. Ecco il racconto di un fatto autentico, presentato e commentato da un magistrato e giurista cattolico. È evidente che, chi vorrà replicare da un punto di vista differente, avrà altrettanta libertà di farlo su questo spazio. Sempre a patto che, come qui fa il dottor Agnoli, lo faccia con correttezza e cognizione di causa.
DOPO IL POMO DI PARIDE, LA TORTA DI MR. GARETH LEE
di FRANCESCO MARIO AGNOLI
Quanti guardano con sgomento i tentativi del diritto positivo non solo di trascurare, ma di sovrapporsi al diritto naturale con l’ausilio di dottrine giuridiche per le quali vi è perfetta coincidenza fra i due concetti, perché l’unico diritto naturale è quello positivo, hanno molti fronti sui quali combattere. E, se non possono battersi, molte carte sulle quali spostare le bandierine delle parti in conflitto. Attualmente uno dei fronti più interessati dagli attacchi dei nemici del diritto naturale è quello dell’obiezione di coscienza. Battaglie che in un momento caratterizzato da un certo declino dei cosiddetti partiti “progressisti” si svolgono soprattutto nelle aule giudiziarie.
Su questo fronte l’associazione Family Watch Internationalritiene di potere spostare in avanti la bandierina del diritto naturale grazie a una recente sentenza (10 ottobre 2018) della Corte Suprema del Regno Unito nella causa Gareth Lee v. Ashers Baking Company. Family Watch, prendendo spunto dalle convinzioni cristiane dei proprietari della Ashers Baking Company, preferisce parlare di libertà religiosa (“Good news on the religious liberty front”). Indubbiamente anche di questo si tratta, ma l’ampio raggio delle possibili applicazioni indicato in motivazione evidenzia che si tratta di libertà di coscienza nel senso più ampio del termine.
All’origine del conflitto e della decisione l’iniziativa di Mr. Gareth Lee, aderente, con qualche ruolo organizzativo e di rappresentanza, ad una organizzazione LGBT di Belfast. Costui si era rivolto ad una grande impresa di panetteria (appunto la Ashers Baking Company) di proprietà di cristiani praticanti per la preparazione e l’acquisto di una torta, forse nuziale (evidente comunque lo scopo provocatorio, l’intenzione di creare un caso), sulla quale si doveva apporre, a guisa della classica ciliegina, la scritta “Sostegno al matrimonio gay accompagnata dall’effigie di due brutti pupazzetti di sesso maschile. Ottenuto un cortese rifiuto Mr. Lee si era rivolto, conseguendone l’appoggio, alla Equality Commission of Northern Ireland. Accusati di discriminazione, i pasticceri avevano visto respingere il loro ricorso in via giudiziaria tanto in primo quanto in secondo grado.
Diversi l’opinione e il giudizio finale della Suprema Corte, che ha ritenuto l’insussistenza di alcuna ipotesi di discriminazione. Difatti – ha motivato la presidente della Corte – vi sarebbe discriminazione se il fornaio avesse rifiutato di fornire la torta o uno qualunque dei suoi prodotti a Mr. Lee, perché gay o perché sostenitore del matrimonio omosessuale, ma la situazione in esame è profondamente diversa. Difatti il cliente chiedeva la fornitura di una torta recante un messaggio col quale i fornai erano in profondo disaccordo. Anche fornitori e commercianti hanno il diritto di rifiutare i messaggi da loro non condivisi che il cliente intende trasmettere (in questo caso attraverso la ciliegina sulla torta) quale che ne sia il contenuto: sostegno a una vita di peccato, sostegno a un particolare partito politico o a una particolare confessione religiosa (si tratta, appunto, di libertà di coscienza non esclusivamente di libertà religiosa).
Nel motivare la Corte inglese ha anche ricordato, per la stretta analogia con la fattispecie, una recente decisione della U.S. Supreme Courtnella causa Masterpiece Cakeshop v. Colorado Civil Rights Commission. Anche in questa controversia era coinvolto un pasticcere, che si era rifiutato di fornire la torta richiestagli per un matrimonio omosessuale. In quel caso però il giudice statunitense non si era posto il problema se il pasticcere potesse essere costretto a trasmettere messaggi da lui non condivisi. Aveva invece ritenuto, in certo senso a monte, che il procedimento della Commissione sui diritti civilidel Colorado, intervenuta a censurare come discriminatorio il rifiuto, fosse viziato dalla prevenzione di questa nei confronti delle credenze religiose del panettiere (in questo senso la decisione statunitense è più attinenteall’aspetto della libertà di coscienza costituito dalla libertà religiosa di quella inglese). Comunque – prosegue la motivazione – anche il caso americano evidenzia l’esistenza di una netta distinzione fra chi si rifiuta di produrre una torta destinata a trasmettere un particolare messaggio e il rifiuto motivato dalle caratteristiche personali del cliente. Ovviamente – la conclusione finale della decisione britannica– “si può discutere caso per casoin quale ipotesi si versi, ma nessun dubbio nel nostro”.
Di segno opposto, con deciso arretramento delle bandierine del diritto naturale, la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) sulla richiesta, dichiarata irricevibile, proposta nel 2015 da un certo numero (non pochi, circa 20.000) di sindaci e funzionari municipali, che chiedevano, per ragioni di coscienza, di potersi esonerare dall’obbligo di celebrare i matrimoni fra soggetti dello stesso sesso introdotti in Francia dalla legge Taubira detta anche del “mariage pour tous”[1].
Trattandosi di una dichiarazione di “irrecevibilità”, la richiesta si è arenatagià al primo passaggio perché ritenuta palesemente infondata. Una pretesa infondatezza che consente, a risparmio di tempo e fatica, che tali provvedimenti vengano predisposti da legali interni alla Corte e sottoscritti, senza dibattito e camera di consiglio, da un unico giudice.
In realtà nel caso non mancano due righe di motivazione. Due righe che però dovrebbero spaventare perfino chi concorda con la CEDU nel ritenere che in questo caso non vi fosse spazio per l’obiezione dicoscienza. Due righe che rendono il provvedimento assolutamente non condivisibile (o addirittura, viene voglia di dire, pur se trattasi di aggettivazione non consona a uno scritto giuridico, ignobile) per i ricordi che richiama e gli scenari futuri che prospetta. Ad avviso di questo magistrato della Corte di Strasburgo (un singolo che tuttavia parla e decide a nome della Corte), la palese mancanza di spazio per l’obiezione di coscienza discenderebbe dal fatto che, nel celebrare le nozze, il sindaco o il funzionario municipale agiscono non come “individui”, ma a nome dello Stato in quanto ufficiali di stato civile.
Viene imboccata così una strada che ha già condotto e conduce ad esiti terrificanti. Se la qualifica rivestita cancella giuridicamente la coscienza individuale anche i medici chiamati a praticare gli aborti non possono rifiutarsi, perché (in Italia) operano non in proprio, come individui, ma quali dipendenti erappresentanti del Servizio Sanitario Nazionale. Allo stesso modo non troppi anni fa i militari della Wehrmacht o delle Schutsstaffeln (SS), dai generali all’ultimo soldato, agivano, obbedendo alle leggi e agli ordini di servizio, come semplici ingranaggi, necessariamente privi di coscienza individuale, dell’apparato statale del Terzo Reich.
Questo lo sbocco inevitabile di una motivazione che legittima la speranza che il prossimo 25 novembre i cittadini svizzeri diano risposta positiva al referendum popolare che vuole stabilire il primato della loro Costituzione sui provvedimenti della Corte di Strasburgo. E che molti altri paesi seguano al più presto il loro esempio. O provvedano in via parlamentare, come ha fatto la Duma. I parlamentari russi, il 4 dicembre 2015, recependo una decisione di quella Corte Costituzionale del precedente 14 luglio, ha approvato quasi all’unanimità (436 favorevoli e 3 contrari) una legge per la quale le sentenze CEDU potranno trovare esecuzione solo se la Corte costituzionale ne constati la perfetta conformità con laCostituzione della Federazione Russa.
[1] Cfr. su questa decisione “La CEDH contre la liberté de conscience des maires” di Grégor Puppink in FigaroVox/Tribune del 18/10/2018.