Fonte: Politica prima.it
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di Giangiuseppe Gattuso – 05 marzo 2015
L’Italia ha un tasso di liberalizzazioni molto basso. Frutto delle resistenze di lobby fortissime, caste di ogni genere, ordini professionali, organizzazioni imprenditoriali.
In Europa, secondo le stime dell’Istituto Bruno Leoni, il paese più liberalizzato è la Gran Bretagna che su un valore 100, tasso massimo di liberalizzazione, arriva a un indice del 94%. Subito dopo ci sono i Paesi Bassi, la Spagna la Svezia, con il 79%. Poi la Germania, il Portogallo, l’Austria il Belgio, la Finlandia, l’Irlanda e l’Italia con voto 66 su 100. La Grecia, con i suoi enormi problemi, è a quota 58%.
Ricordiamo le battaglie condotte in questi anni dai tassisti per evitare, non solo la liberalizzazione delle licenze, ma anche l’aumento del loro numero in proporzione al bacino d’utenza. E l’aspra contesa con gli NCC (noleggio con conducente) per limitarne l’attività; e quella modernissima, di questi giorni, contro Uber. La compagnia di trasporto privato che utilizza il web per connettere, tramite telefonino, autisti e passeggeri. In Italia funziona, dal 2013, solo a Roma e Milano.
Un punto molto dolente riguarda il complesso settore delle comunicazioni. Un coacervo di interessi, connivenze, e malaffare che ha bloccato il mercato per decenni. Sovvertendo i principi fondamentali della concorrenza e mettendo un freno allo sviluppo tecnologico. Relegando così l’Italia agli ultimi posti, per esempio, nella classifica della velocità e connettività internet. Una conseguenza del monopolio della rete in rame, che arriva a casa di ogni utente, della ex Sip, poi ‘privatizzata’ e divenuta Telecom Italia. Un monopolio che per decenni ha frenato ogni iniziativa privata e ancora oggi limita la diffusione di servizi ad alto valore aggiunto consentiti dalle reti in fibra ottica. La cosiddetta banda ultra larga.
Tra le liberalizzazioni più roventi spiccano quelle riguardanti le farmacie. Ne abbiamo parlato altre volte su PoliticaPrima pubblicando interessanti contributi di farmacisti titolari di Parafarmacie. I quali hanno sottolineato la grave condizione di non poter vendere, oltre ai farmaci da automedicazione e da banco, cioè senza obbligo di ricetta medica, anche i farmaci di fascia C, e cioè quei farmaci con obbligo di ricetta ma a totale carico dei consumatori. Un affare di circa 3 miliardi di euro l’anno, il 17% delle vendite totali di prodotti farmaceutici. Tutto nasce con le, ormai famose, lenzuolate di Bersani che varò le prime liberalizzazioni nel 2006 e, tra l’altro, previde la possibilità di vendere i farmaci di fascia C in punti vendita al di fuori dalle farmacie.
Da quel momento sono iniziate le danze e i dolori per alcune migliaia di farmacisti, giovani e meno giovani. Cioè di quei laureati in farmacia, abilitati e iscritti all’ordine professionale che non possedevano una “farmacia”. Cogliendo l’opportunità del decreto Bersani hanno pensato bene di aprire una “Parafarmacia”. Ma la casta potente e danarosa dei farmacisti titolari, non intendendo perdere, o ridurre, il prosperoso fatturato, ha avuto la “forza” di bloccare ogni tentativo di risolvere la questione.
Al punto che il Ministro della Salute, dopo l’esclusione di tale opportunità dal Disegno di Legge Concorrenza, appena varato dal Governo, ha avuto la faccia tosta di dichiarare: “L’aver evitato che i farmaci di fascia C, come gli psicofarmaci, possano essere venduti nei supermercati o nelle parafarmacie è innanzitutto una vittoria dei cittadini, poiché garantisce la loro salute e la sicurezza nella distribuzione dei farmaci più sensibili”. Mortificando, così, la professionalità di migliaia di giovani farmacisti. Anche in questo caso, quindi, un blocco potente di privilegiati ha finora frenato lo sviluppo di un settore importante, la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro e un più capillare servizio per i cittadini.
Le “liberalizzazioni” rappresentano un nodo fondamentale per lo sviluppo del nostro sistema economico. Le sacche di privilegio di cui godono interi comparti non fanno altro che limitare la libera attività imprenditoriale, imponendo barriere d’ingresso che frenano la concorrenza e non permettono ai cittadini-consumatori di potere usufruire di una scelta variegata e di prezzi più bassi. Stiamo parlando, insomma, di questioni che hanno bisogno di profondi interventi legislativi, di una forte volontà di cambiamento, e del coinvolgimento di tutte quelle forze politiche disponibili a rendere questo Paese finalmente più libero e moderno.