L’eterno cantiere della sinistra: “per ritrovarsi sempre alla casella di partenza”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Eterni ritorni
9 Dicembre 2014
Dopo la grande fluttuazione astensionista delle regionali, fondammo una associazione extra-pd. Riflessioni e temi all’odg gli stessi posti da D’Alema con il recentissimo ‘cantiere’. L’associazione ebbe vita breve, per via delle incompatibilità caratteriali dei membri e la mia scarsa attitudine alla leadership. E tuttavia non posso non onorarmi d’essere stato un precursore delle tante iniziative edilizie fallimentari che si sarebbero susseguite da lì in avanti. E’ un tratto tipico delle sinistre diasporiche: rilanciare il dado con metodo per ritrovarsi sempre alla casella di partenza. Sicchè ogni nuovo inizio è un ritorno alla fine (e viversa). In un ciclo metempsicotico perenne di morti apparenti e di nascite abortite.
Questo che segue era il documento fondativo, e il video il mio intervento alla soiré di lancio al passepartout. Entrambi casualmente ripropostimi dal quotidiano rewind di Fb. Li avessi inseriti nella diretta streaming di Italiani europei nessuno si sarebbe accorto che son passati sei anni.
DOCUMENTO DI CONVOCAZIONE
Ri-cominciamo da sinistra
Nella sua gravità l’esito del voto regionale di domenica impone risposte forti ed urgenti. Si è infatti prodotta una rottura profonda tra una parte rilevante del popolo di centrosinistra ed il gruppo dirigente del PD.
La linea politica di Renzi e della maggioranza del PD afferma esplicitamente il disprezzo della mediazione, del conflitto sociale, dei corpi intermedi e della politica come campo di senso e strutturazione d’identità, di cultura e di visione del mondo. Tale risultato non deve allora sorprendere più di tanto. Infatti, nell’astensione non c’è solo risentimento e protesta, c’è il non voto della gente normale di sinistra, quella che per una vita ha votato il più grande partito di sinistra del paese, che soprattutto in Emilia-Romagna significava mediazione, compenetrazione tra società, impresa, sindacato e amministrazione pubblica, in sostanza coesione sociale. Quindi, quel non voto della nostra gente non è antipolitico o estremista. È il non voto di chi chiede ancora la politica e non la trova più.
Un primo segnale era già arrivato con le primarie, ma si è preferito ignorarlo. Poi, una gran parte della campagna elettorale ha visto una sostanziale identificazione del Partito locale – e soprattutto del suo candidato Presidente – con la linea del Partito nazionale e del Governo. E questo anche nel momento in cui si andava accentuando lo scontro con una parte fondamentale del movimento sindacale su questioni davvero cruciali. La politica del lavoro, i diritti, la linea di politica economica e sociale. Uno scontro che – oltre le questioni di merito – investe anche il tema delicatissimo del rapporto tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale, della partecipazione e, dunque, della democrazia.
Tutto questo è in larga misura il risultato del progressivo snaturamento del Partito in una sorta di comitato elettorale deprivato di una autentica discussione interna. Non sono un caso fortuito sia la disaffezione elettorale che la caduta verticale delle adesioni al Partito. Ed appare veramente desolante la lettura secondo cui “comunque si è vinto”. Occorre dunque cambiare strada.
Riaffermando un’idea di trasformazione sociale nel segno dell’ eguaglianza, del valore sociale del lavoro, stabile, sicuro, interessante, della sostenibilità. Di un Partito che tiene in relazione pluralismo e sintesi politica, promuove il protagonismo di iscritti/e e militanti sulle scelte fondamentali da compiere. Un Partito nel quale la selezione dei gruppi dirigenti ai diversi livelli torni ad essere improntata a criteri di sobrietà, militanza, competenze riscontrate. Un Partito non autosufficiente, bensì vocato a costituire il perno di un più ampio centrosinistra che si candida a governare la trasformazione del Paese nel segno dell’eguaglianza e della giustizia sociale.
Per tutte queste ragioni occorrono atti politici, appunto, forti e urgenti. In grado di arrestare ed invertire il distacco dalla militanza e di risvegliare invece una passione per la politica attiva.
Non vogliamo che la delusione per il risultato elettorale e il legittimo malcontento degli attivisti, dei militanti e degli elettori si trasformino però in mero risentimento senza orientamento politico. Diciamo allora che non è vero che i partiti italiani siano stati scollati dal paese reale, ne sono stati anzi fin troppo lo specchio. Nel momento in cui hanno abbandonato l’idea della politica come lotta etico-politica per promuovere una società e uno Stato in grado di attenuare e governare le lacerazioni tipiche del moderno – tra libertà ed eguaglianza, solidarietà e interesse personale, privatismo e dedizione allo Stato – i partiti si sono ridotti a essere spazi in cui competere per il potere al di là di qualsiasi opzione politico-culturale. Non hanno avuto più bisogno di parlare alla società ma di essere parlati da essa per assecondare pulsioni egoistiche, risentimenti e interessi privati senza volerli più governare in nome di una propria autonoma visione etico-politica.
Occorre oggi ripartire dunque dal rafforzamento di una sinistra, dentro al PD e nel paese, per esercitare la critica del liberismo e del populismo e riprendere l’idea di un forte partito di massa, nuovamente radicato nelle ragioni del lavoro. Per fare questo, abbiamo bisogno di tenere assieme diverse tradizioni politiche e culturali e interpretare l’incontro fecondo fra tradizione socialcomunista e cristianesimo sociale, che regge l’impianto della nostra Costituzione repubblicana fin troppo disprezzata dall’attuale dirigenza nazionale.
Chiunque intenda contribuire a dare sostanza a questa prospettiva è invitato/a a partecipare all’incontro del 9 dicembre, presso il Circolo Passepartout di via Galliera, 43 a Bologna, alle ore 20 e 30.
Fausto Anderlini
Claudio Bazzocchi
Maurizio Fabbri
Andrea Garofani
Danilo Gruppi
Matilde Madrid
Cesare Minghini
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