di Fausto Anderlini – 13 marzo 2017
L’era del camelloporco
Colture politiche
Fa impressione vedere/ascoltare Pisapia, con quel tono pigolante e quell’espressione che tanto ricorda l’indimenticabile Macario, parlare di ‘campo largo’. Sembra il piccolo contadino della Brianza che improvvisamente scopre come è grande e bello il latifondo. Campo largo per coltivarci cosa ? Carciofi, patate, barbabietole ? E’ la stessa incongrua levità che si avverte quando si evocano seriosamente Ulivi e centro-sinistra, pularlismi, diversità da sintetizzare ecc. ecc. Aggettivazioni ecumeniche peraltro consustanziali alla prevalenza ortiva che sempre alberga nelle colture iperproteiche della sinistra. Tanti orticelli ben separati da bei murettie muniti di graziosi capanni per gli attrezzi. E puntuti agronomi a guardia. Finita l’epoca dei grandi partiti ctoni agro-letterari centrati sulle superifici a seminativo per sfamare grandi masse bisognerebbe semmai transitare, più prosaicamente, allo sperimentalismo zootecnico. Qualsiasi mostruosità può andare bene se serve allo scopo (come già concepito e praticato nell’anarchismo metodologico di Lenin e di Fayerabend). E lo scopo nella situazione concreta è questo: mettere in piedi un camelloporco, un animalozzo dal sangue caldo, che prenda non meno del 10 %, augurabilmente il 15 %. e si piazzi fra ciò che resta del Pd e il M5S. Così, in attesa di capire a cosa serva e cosa gli serva, ci si diverte.