di Fiore, 24 marzo 2017
L’emiliano è, per sua natura, un essere testardo e irriducibile. Quando nasce lo battezzano col lambrusco, poi lo comunicano col culatello. Vive in terre nebbiose in inverno, afose d’estate. Battuta pronta e scorbutica, non spreca parole. Possiede un trattore, rosso. Tutto quello che ha nella testa è rosso, magari poca roba, ma intonata. E quando parte non lo fermi, ha una marcia in più.
Quello vero. Poi c’è quello posticcio, lo riconosci dalla maiuscola.
L’Emiliano è monomarcia, ha solo la prima, però ha anche la marcia indietro.
Il che non sarebbe poi un problema, vai piano e vai lontano. Però fa confusione, innesta la prima e sembra che parta, poi si confonde e torna indietro, in pratica non va da nessuna parte.
Piantato. Un metro avanti e uno indietro finisce per scavare un fosso che poi diventa fossa, trincea, voragine, sempre più giù. Infine sparisce nella palude che ha creato perché la mancanza di decisione e attributi attira la pioggia, poi il diluvio. Annaspa nella mota e più si agita e più affonda.
D’improvviso sente un motore: sarà la salvezza?
No, è un trattore rosso e di poche parole che, per sua sfortuna, detesta il fango. Lui vuole terra da coltivare e riempie le fosse. Seminerà papaveri, garofani e viti di rosso.
Adieu.
Questo mi ricordo del sogno di stanotte.