Fonte: La stampa
L’egemonia culturale da rivoluzione a farsa: Il ministero di Sangiuliano voleva combattere il pensiero unico e le élite di sinistra. Ma da Morgan a Sgarbi fino al caso Boccia ha collezionato una serie di brutte figure
Gennaro Sangiuliano ha salvato il posto per un soffio, gli scontrini sono a posto, le mail finite a Lady Pompei non erano segrete e la sua mancata nomina – dice il ministro – è un atto di rigore istituzionale del quale dovrebbe essere ringraziato. Dando tutto per buono, resta un tema politico che c’entra poco con i dettagli vanziniani della storia e molto col mandato originario affidato al Collegio Romano: una missione che pare sepolta per sempre, comunque si risolva l’affaire Maria Rosaria Boccia.
Quel dicastero fu presentato a suo tempo come il generatore di una nuova egemonia culturale, l’irradiatore “di un nuovo immaginario positivo italiano nel mondo”, oltre “la grande truffa del pensiero unico globale”. Il progetto è stato declinato in decine di interviste nei primi due anni della legislatura e a destra ci hanno creduto tutti. L’occupazione degli spazi e delle nomine non era ordinario spoil system – un classico di ogni esecutivo – ma cantiere a misura dei futuri intellettuali organici al popolo-nazione. Presto, si immaginava, sarebbero arrivati i nuovi Piacentini, i nuovi Gentile, i nuovi Marinetti e Prezzolini, o anche le nuove Ada Negri, i nobel e le opere teatrali, l’arte, l’urbanistica, l’architettura, il cinema.
Arrivarono invece Morgan e Sgarbi con i dialoghi sulla prostata e un’infinita serie di incidenti, gaffe, atti di piaggeria – i fischi di Taormina tagliati dai resoconti Rai – forse non sollecitati ma di sicuro apprezzati. Infine, invece di Margherita Sarfatti ecco avanzare la dama bionda di Pompei: una ragazza sveglia che solo per una questione di cuore ha perso il posto che le era stato promesso. Non un festival di paese, non un premio letterario di provincia, ma la gestione dei Grandi Eventi e soprattutto del più grande di tutti, il G7 della Cultura tra Napoli e Pompei, o forse tra Napoli e Positano (non è ben chiaro dove si farà), l’evento che secondo gli amici del ministro “dopo decenni di amichettismo” doveva restituire all’Italia “il posto che le compete e che tutti ci invidiano sul palcoscenico internazionale”. Boom.
La promessa: una nuova egemonia del merito, il recupero del brand Italia nel mondo, la rivincita del pensiero italiano “per troppo tempo accantonato in nome di un provincialismo esterofilo”, una nuova “élite fuori dai salotti”, la definitiva “rottura degli schemi”, e ogni altra frase di battaglia ascoltata nei convegni insieme alle citazioni di Soffici, Papini, Finkelkraut, e ovviamente Gramsci.
Vallo a raccontare adesso. Non ai nemici, che non ci hanno mai creduto, ma agli amici, a quelli di destra che ci credevano davvero e che non si fanno problemi di scontrini ma di persone, biografie, antico orgoglio di casata, e oggi si chiedono: ma davvero questa? Da dove piove, cosa sa fare, ma l’egemonia la facciamo così?