L’economia italiana, la recessione e il vincolo esterno

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Guglielmo Forges Davanzati
Fonte: Nuovo Quotidiano di Puglia

Il Fondo monetario internazionale prevede una flessione del Pil mondiale per il 2020 nell’ordine del 4,9% e un’impennata globale dei debiti pubblici. Ne sono interessati tutti i Paesi industrializzati, con eccezione della Cina.
L’economia italiana si trova in questa tempesta, non solo per il lockdown dei mesi scorsi, ma soprattutto per una lunga stagione che ha visto il nostro sentiero di crescita svilupparsi sistematicamente meno di quello dei nostri concorrenti su scala internazionale. Insomma, i problemi della nostra economia vengono da lontano.

A partire dagli anni settanta, l’Italia entra in un circolo vizioso che in prima istanza, in quegli anni, si manifesta come una serie di fiammate inflazionistiche. Si fronteggiano due posizioni teoriche per dar conto del fenomeno: l’una – maggioritaria – imputa l’inflazione a un tasso di crescita dei salari monetari superiore al tasso di crescita della produttività del lavoro; la seconda – minoritaria – fa riferimento agli effetti inflazionistici che sono da imputare a maggiori tariffe e imposte indirette. Ovviamente si riconosce su entrambi i fronti l’impatto sui prezzi del doppio shock petrolifero del 1973 e del 1979.
L’Italia entra nel club dello SME – il sistema monetario antesignano dell’Unione monetaria europea – nel 1979 e lo fa sostanzialmente per dotarsi di un ‘vincolo esterno’ (l’espressione fu di Guido Carli) anti-inflazionistico e finalizzato a modernizzare il Paese. Il vincolo esterno era concepito per porre limiti alle politiche monetarie e alla manovra del tasso di cambio, nonché, e soprattutto, all’espansione del debito pubblico.

L’ingresso nello SME sembrò conseguire l’obiettivo di dotarsi di un vincolo esterno. ll sistema monetario europeo si proponeva di realizzare un mercato finanziario unico, con libera circolazione di capitali (nel 1990 il nostro Paese adottò la libera circolazione dei capitali) e creare uno spazio finanziario nel quale fosse vigente un tasso di cambio nominale rigido. Non era quindi di fatto più possibile realizzare politiche fiscali di sostegno della domanda interna e l’obiettivo primario della politica economica divenne l’attivo della bilancia commerciale.
L’Unione monetaria europea – viene sostenuto – poggia su caratteristiche molto simili allo SME, ma, a differenza del sistema a cambi fissi che lo ha preceduto, vive sotto condizioni di crisi dal 2008 e di crisi globale. Ciò che conta ai fini del dibattito su come far ripartire l’economia italiana dopo il lockdown, è comprendere la natura del vincolo esterno che esiste nelle condizioni date. Gli importi che il Governo dovrà stanziare per far ripartire consumi e investimenti dipendono infatti in modo cruciale da ciò che si decide in seno alla commissione europea.

Va chiarito che rispetto agli anni del sistema monetario europeo due condizioni almeno sono radicalmente cambiate e ciò va detto per provare a destituire di fondamenta la vulgata sovranista per la quale la crisi italiana dipende dall’inclusione della nostra economia nella moneta unica (e prima ancora in un sistema di cambi nominali rigidi). La prima condizione attiene all’intensità e alla durata di questa crisi assolutamente non paragonabile a quelle degli anni settanta e ottanta. La seconda condizione riguarda il fatto che lo SME prevedeva cambi fissi non una moneta unica.
La posizione sovranista contemporanea – in Italia rappresentata dall’estrema destra – vede nel vincolo esterno il solo fattore di crisi della nostra economia, in una traiettoria che va dalla fine degli anni settanta a oggi. Si ignora, tuttavia, il fatto che questa crisi non ha precedenti e che gli strumenti per la sua soluzione non possono che essere eccezionali.

Si può ricordare che la sospensione del Patto di stabilità e crescita della primavera scorsa – il principale vincolo posto sul bilancio pubblico – è una svolta significativa nel processo di unificazione europeo, giacché si elimina protempore un vincolo all’espansione della spesa pubblica che in una condizione di caduta della domanda è uno strumento necessario per il rilancio dell’attività economica.
Il processo di rinnovamento dell’Unione Monetaria Europea consente quindi di approntare strumenti per far fronte a una crisi di domanda attraverso politiche fiscali espansive, ma rende più difficile trovare mezzi di contrasto alle strozzature dal lato dell’offerta che pure esistono. Ci si riferisce all’esistenza di capacità produttiva inutilizzata (e inutilizzata a seguito delle misure di lockdown) che le imprese si trovano a dover smaltire. E’ la questione dei costi fissi con poco fatturato che preoccupa, sia a breve, sia nei prossimi mesi e rispetto alla quale è possibile pensare a un ventaglio di possibilità, a condizione di accelerare i tempi. Ma soprattutto a condizione di non imputare all’Europa la lunga crisi nella quale l’economia italiana è precipitata, sia perché questa crisi è realmente globale, sia perché l’Europa passi avanti ne sta facendo. Purtroppo con la medesima lentezza e farraginosità con la quale si sta muovendo il nostro Governo.

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