Le urne, i dubbi e i conti del Quirinale

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gianfranco Pasquino

di Gianfranco Pasquino -1 maggio 2018

Quel che non sono finora riusciti a muovere i leader dei vari partiti nelle loro consultazioni reciproche potrebbe essere stato messo in movimento, un po’ dagli elettori del Molise, un po’ di più dagli elettori del Friuli-Venezia Giulia. Nella sua fin troppo rentrée anticipata (aveva promesso due anni di silenzio), alla televisione, non nella Direzione del partito, convocata per il 3 maggio, il due volte ex-segretario del PD Matteo Renzi ha chiuso qualsiasi spiraglio di dibattito con le Cinque Stelle, spiazzando il segretario reggente, Maurizio Martina, che ha subito deprecato metodo e merito delle dichiarazioni renziane. Non è più chiaro che cosa sarà all’ordine del giorno della Direzione, magari quella discussione finora mancata sulle ragioni della secca sconfitta del 4 marzo.

Lanciando un messaggio sia al Presidente Mattarella sia al centro-destra, il sedicente senatore “semplice” di Scandicci, Impruneta, Lastra a Signa ha altresì dichiarato la sua disponibilità a un governo costituente, utile anche a salvare per un anno e mezzo circa le poltrone dei senatori, ai quali ha fatto riferimento esplicito, e dei deputati da lui nominati e fatti eleggere. Mentre il Presidente della Camera, il pentastellato Roberto Fico, colto sul fatto di non pagare i contributi a chi lavora a casa sua e della compagna come colf, scopre il contrappasso dell’ossessiva, ancorché giusta, campagna delle Cinque Stelle sull’onestà, il nervosismo travolge Di Maio che sente che Palazzo Chigi per lui non è più dietro l’angolo. Renzi non apre il forno del Partito Democratico; Salvini adamantino vuole che il forno del centro-destra non escluda l’inaccettabile, per le Cinque Stelle, vecchio fornaio Silvio Berlusconi. Lo stallo è servito, a mio parere, senza eccessive preoccupazioni poiché il governo Gentiloni c’è e può continuare.

Pur non esagerando l’impatto del voto per le elezioni regionali del Friuli-Venezia Giulia (fra l’altro, ha votato meno del 50 per cento degli aventi diritto) e tenendo conto delle specificità, i segnali politici sono chiari. Primo, le Cinque Stelle arretrano significativamente, segno che una parte non piccola di quegli elettori non hanno affatto gradito l’andirivieni fra i due forni e la preclusione nei confronti di Berlusconi. Secondo, il PD e le liste alla sua sinistra sono stabili o appena declinanti. Non c’è nessun segnale di ripresa, nessun apprezzamento per la decisione di stare all’opposizione. Anzi, si direbbe che gli elettori della regione abbiano preso atto che il PD vuole stare all’opposizione (ma in Friuli-Venezia Giulia era il partito della governatrice uscente) e lì l’hanno collocato. Nella sua nuova veste di statista sobrio e misurato, Salvini non ha esultato in maniera scomposta, ma lui e il candidato della Lega Massimiliano Fedriga sono i vincitori assoluti di queste elezioni. Rispetto al 2013, la Lega ha più che quadruplicato i suoi voti da 33 mila a 147 mila. Dal canto suo, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, leale alleata nel centro-destra, più che triplica i suoi consensi passando da 6 mila a 23 mila voti, mentre prosegue inarrestabile il declino di Forza Italia che perde 30 mila voti.

Ferme restando tutte le note di cautela su un voto nel quale le tematiche regionali e le personalità dei candidati hanno un’importanza significativa, sarebbe sbagliato non trarne un paio di lezioni. La prima è che il Nord(est) dimostra di essere un territorio, al tempo stesso, molto ostico per le Cinque Stelle e molto favorevole al centro-destra. La seconda è che diventa alquanto più difficile pensare che sia fattibile una coalizione di governo che escluda il centro-destra. Forse, da oggi, anche al Quirinale il Presidente Mattarella si sarà rimesso a fare i conti del numero dei seggi che mancano al centro-destra per il conseguimento della maggioranza assoluta in Parlamento. Si chiederà anche se, eventualmente rompendo con le prassi rigorosamente seguite dai suoi predecessori: “nessun incarico se non esiste una maggioranza precostituita”, la situazione attuale non richieda una eccezione.

Pubblicato AGL il 1° maggio 2018

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.