Le undici tesi su Feuerbach di Marx, secondo Ernst Bloch. Parte quarta: la verità si annuncia nella dialettica teoria-prassi

per nicola
Autore originale del testo: Nicola Boidi

di Nicola Boidi,  4 novembre 2015

 

Le Undici tesi su Feuerbach di Marx, secondo Ernst Bloch. 

Parte quarta : la verità si annuncia nella dialettica teoria-prassi ( Tesi 2, 8) 

 

«Per Marx…teoria e prassi oscillano costantemente. Poiché entrambe oscillano alternativamente e reciprocamente l’una nell’altra, la prassi presuppone la teoria, così come essa stessa abbisogna di e partorisce una nuova teoria per il procedere di una nuova prassi. Il pensiero concreto non è mai stato valutato più altamente di qui, dove è diventato la luce per l’azione , e mai l’azione è stata valutata più altamente di qui , dove è divenuta il coronamento della verità».

 

Ernst Bloch, Il principio Speranza.

Marx, contrariamente alla communis opinio, proprio perché non lo ritiene indipendente, di per sé autosufficiente, pone il pensiero al vertice della realtà, sul suo massimo gradino. E’ questo il tema che Ernst Bloch intende dimostrare, raggruppando le Tesi 2 e 8 su Feuerbach nel«Gruppo teoria e prassi : prova e controprova ». Se il pensiero, la teoria, deve essere in rapporto con la verità, il rapporto tra i due – tra il pensiero e la verità – non può identificarsi o «ridursi» a un rapporto interno alla teoria, né, dall’altra parte, coincidere con una prassi subordinata al comando di un intuizione sensibile meramente passiva, oggettiva,«cieca ».

Proprio in quanto Marx concepisce la verità come rapporto teoria-prassi, come la loro dialettica, egli intende fare del pensiero l’«idea filosofica» che non punta affatto al « cattivo universale», all’astratto a cui lo aveva relegato nella sua concezione Feuerbach. Per Feuerbach il pensiero distoglierebbe dal singolo dell’intuizione sensibile, ne sarebbe, nominalisticamente, una semplice,«scialba» o debole copia sotto forma di concetto generale o « universale». Per Marx al contrario il pensiero inteso quale processo o «campo di forze»( come lo definirebbe Theodor Adorno) punta a disvelare il nesso mediato ed essenziale del fenomeno, quell’ intreccio che nel fenomeno è ancora imprigionato nella mera sensibilità. Sotto tale specie il pensiero si presenta come concreto( concretus ,« concresciuto», « stratificato su sé stesso») mentre Feuerbach lo ammetteva solo come astratto; Marx ( e già Hegel prima di lui) dimostra che viceversa la sensibilità priva di pensiero,« purificata»da esso, è essa astratta.

Il pensiero deve sì ricondurre all’intuizione sensibile, per dimostrarsi sulla base di essa dopo averla compenetrata, ma in questo movimento l’intuizione non è ormai più affatto quella passiva e immediata celebrata da Feuerbach. La teoria si dimostra o comprova la sua verità solo se disvela la natura mediata dell’intuizione sensibile, solo in quella realtà sensibile che è stata elaborata dalla teoria e in questo modo è diventata « la cosa per noi». Ma questa infine è la realtà sensibile della prassi mediata dalla teoria, conseguita dalla teoria. L’intuizione sensibile è solo la fase incipiente del pensiero ( Il questo e la mia opinione, «la prima e più astratta delle determinazioni dell’esperienza » secondo Hegel); nella sua funzione completamente dispiegata il pensiero si dimostra invece attività critica, penetrante, aprente o rivelatrice, e la migliore dimostrazione è la prova pratica di questa decifrazione . Ogni verità è verità per qualcosa e non c’è né nessuna che sia fine a sé stessa , se non come autoinganno o rimuginio; ugualmente non c’è una dimostrazione o prova completa di una verità a partire da sé stessa che resti totalmente teorica( che non sia dialettica teoria -prassi): non c’è nessuna possibile prova completa e teoreticamente immanente o totalmente deducibile dalle premesse teoriche.

Fa eccezione a questa legge unicamente la verità matematica, ma si tratta di un eccezione parziale e limitata. Infatti solo in matematica si può dare un dimostrazione o deduzione puramente teorica, ma anche questa deduzione si dimostra solo una prova parziale di tipo specifico poiché non va oltre la mera «coerenza interna», l’«esattezza logico-consequenziale». L’esattezza matematica non è ancora verità, che è da parte sua o riproduzione della realtà o potere d’intervenire nella realtà nella misura in cui si conoscono i suoi principi attivi e le sue leggi. Solo il rapporto teoria -prassi può dispiegare una verità oggettiva .

La Tesi 2 sintetizza il concetto:

 

«La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva , non è questione teoretica bensì una questione pratica.. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere ( che è ) il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non realtà del pensiero isolato dalla prassi è una questione meramente scolastica».

Sottolinea Bloch che nel suo modo di porre il rapporto teoria -prassi la Tesi 2 è completamente creativa e nuova ( già insieme alla dialettica hegeliana e ad alcuni elementi fondamentali dell’idealismo tedesco), e che, confrontata con questa novità ,la filosofia precedente pare effettivamente scolastica . In che senso? Principalmente e sostanzialmente nel senso che tanto nella tradizione filosofica antica che nella sua eredità moderna l’attività, genericamente intesa, non era stata portata a riflessione. Nella gnoseologia antica e medievale ( principalmente aristoteliche) si era escluso qualsiasi rapporto tra la praxis aristotelica ( la prassi etico-politica) e la poiesis( l’attività produttiva). Nella gnoseologia razionalista e poi idealista ( con l’eccezione di Hegel) della prima età borghese si affermava solo un ‘attività astratta non veramente mediata con il suo oggetto( solo una gnoseologia e un ‘etica formaliste – ad es. la filosofia kantiana – che non consideravano il processo sociale ed economico : cioè il lavoro).

Tanto nell’epoca antica o feudale del disprezzo del lavoro quanto nell’epoca dell’ethos borghese( calvinista) del lavoro( senza la sua concretezza) la prassi sia politica che tecnica valeva al massimo come applicazione della teoria. Non , come sottolinea Bloch, «come conferma della teoria, cioè della sua concretezza, come nel caso di Marx, non come rifunzionalizzazione e trasformazione della chiave in leva, né della vera riproduzione in intervento potente sull’essere». Con la Tesi 2, osserva ancora Bloch, :«il pensiero giusto è finalmente una cosa sola con l’azione giusta. In esso l’attività , e con ciò un atteggiamento partigiano, è insita fin da principio, e perciò riemerge alla fine come conclusione vera( connotata dalla decisione, n.d.r.) ».

La novità del rapporto teoria-prassi in Marx si staglia nitida se messa a confronto proprio con quelle scuole precedenti di pensiero in cui pure una parte della teoria era già rivolta alla prassi, a un compito pratico-sociale. Infatti anche in questi casi la teoria semplicemente«si degnava » di diventare applicazione per la prassi, così come l’idea«tollerava» il proprio utilizzo, continuando entrambe a vivere una loro vita astratta non mediata dalla prassi. E’ un esempio fulgido in tal senso il metodo scientifico di Francesco Bacone, passato alla storia come il campione di un dichiarato utilitarismo pratico-borghese dell’età moderna. Anche il suo metodo che presenta un procedimento induttivo, che si propone come un esperimento metodicamente finalizzato,ugualmente non affida la prova o la dimostrazione alla prassi, ma fa di quest’ultima solo un prodotto o una conseguenza della verità, semplicemente la sua ricompensa, e non il suo criterio ultimo e la sua dimostrazione. Nonostante le sue celebri parole d’ordine –«sapere è potere»,«la scienza deve diventare ars inveniendi ( arte dell’invenzione )» ,«il sapere non può essere puramente teoretico o contemplativo»– ugualmente Bacone conserva la scienza come autarchica, rivoluzionabile solo nel metodo.

« Scolastiche » nella concezione del rapporto teoria -prassi risultano poi agli occhi di Bloch due altre scuole della filosofia moderna, la prima appena precedente l’opera di Marx – l’idealismo classico tedesco– la seconda a lui coeva , la cosiddetta filosofia« critica » o«dell’azione» della sinistra hegeliana. Tra gli idealisti tedeschi è Fichte che si distingue per la sua concezione dell’«atto » che dimostra forza e rigore in punti importanti sul piano politico e nazionale, ma che poi finisce per diventare un «atto» etereo, non finalizzato al miglioramento del mondo oggettivo o del«Non Io» mediante la sua elaborazione, ma semplicemente al suo oltrepassamento. Con questa prassi « nemica del mondo » si dimostra solo il punto di partenza soggettivo, già predeterminato, dell’idealismo fichtiano dell’Io, e non una verità oggettiva che si forma progressivamente con il mondo e grazie al mondo.

Vi è tra le file degli idealisti tedeschi però una cospicua eccezione , senza la quale Marx non avrebbe potuto formulare la sua filosofia dialettica-teoria prassi. E’ infatti Hegel colui che giunge più vicino all’intuizione di un criterio della prassi e questo in due stadi tra di loro ravvicinati.

1) In un primo stadio Hegel supera il suo giovanile accostamento tra la praxis etico-politica di Aristotele e la sostanza spinoziana, e confronta la praxis con il concetto di lavoro – poiesis o «produzione» – concetto ispiratogli dallo studio dell’economia politica( il suo commento andato perduto al Trattato di economia dello Stuart); dal loro confronto ricava il concetto di« auto-alienazione » del soggetto che giunge a formulare nei suoi corsi jenesi di Filosofia dello Spirito( 1803-4; 1805-6).

2) In un secondo stadio immediatamente successivo , Hegel esplica tale formulazione nella celebre dialettica Signore -Servo , desiderio-lavoro, nel quarto capitolo della Fenomenologia dello Spirito( 1807). Inoltre nella sua Psicologia ( Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio) Hegel produce un passaggio dallo «spirito teoretico» ( intuizione , rappresentazione, riflessione o pensiero) all’antitetico «spirito pratico» ( sentimento, volontà istintuale, felicità) – quasi con un’ inversione rispetto alla Fenomenologia dal lavoro intellettuale al desiderio da esso« raffrenato» e«differito» nel suo appagamento immediato – dalla quale antitesi per sintesi deve risultare lo «spirito libero». Questa sintesi si proclama quale volontà conoscentesi , volontà che sa e pensa sé stessa, e che infine nello«Stato razionale» vuole quello che sa e sa quello che vuole.

Già nella Scienza della Logica Hegel afferma la superiorità dell’«idea pratica» sull’«idea del conoscere considerato» ( contemplato o teorico) in quanto al bene pratico spetterebbe «non soltanto la dignità dell’universale, ma anche quella dell’ assolutamente reale». Osserva Lenin in Quaderni Filosofici che tutto questo avviene «nel capitolo L’idea del conoscere…il che significa indubbiamente che la pratica costituisce per Hegel un anello nell’analisi del processo della conoscenza. Marx quindi si ricollega direttamente a Hegel quando introduce il criterio della pratica nella teoria della conoscenza: vedi le Tesi su Feuerbach». Ma Hegel, tanto alla fine della sua Scienza della Logica che della sua Fenomenologia, o nella chiusa della sua Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, riconduce il mondo, ( l’oggetto, la sostanza) nel soggetto quasi come Fichte; ne consegue che non è infine la prassi ma l’interiorizzazione, la contemplazione, a coronare la verità, «la scienza del sapere che si manifesta» e nient’altro( per cui allo Spirito assoluto «soltanto dal calice di questo regno degli spiriti spumeggia fino a lui la sua infinità». Fenomenologia dello Spirito).

Inoltre secondo la celebre affermazione di Hegel nella Prefazione alla Filosofia del diritto : «la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo essa appare la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’ e fatta». In tutti questi contesti, rileva Bloch, « il pensatore della chiusa circolarità, il residuato dell’immutabile ed eterno presente, hanno vinto in Hegel il pensatore del processo dialettico con la sua cripto-prassi»( agiscono qui le ascendenze luterane della sua formazione).

L’altro modello filosofico d’interpretazione del rapporto teoria-prassi , coevo al giovane Marx, è costituito dalla cosiddetta sinistra hegeliana. Paradossalmente la cosiddetta « arma della critica» o«filosofia dell’azione» di questa« scolastica» di pensiero si rivela in realtà essere semplicemente una regressione dall’idealismo oggettivo di Hegel a quello soggettivo di Fichte, e dunque assai più distante dalla filosofia della prassi marxiana rispetto al criptomaterialismo hegeliano.

Un pensatore che introduce a queste filosofie dell’azione hegeliane di sinistra, assai meno noto degli altri esponenti di questa scuola, è Cieszkowsky, con il suo scritto Prolegomeni all’ istoriosofia del 1838, in cui pone la necessità di utilizzare la filosofia per cambiare il mondo. Quello che però in questo saggio si vorrebbe presentare quale manifesto di un’indagine razionale della tendenza della storia – perché la storia del mondo venga formata non da azioni istintuali ma consapevoli,perché la volontà venga portata alla stessa altezza a cui la ragione era stata portata da Hegel( a una ragion pratica o volontà razionale della legge morale), perché si affermi una prassi non solo pre-teoretica ma anche post-teoretica – nelle sue opere successive rimane allo stato di mera dichiarazione privo di conseguenze. In questi scritti l’interesse di Cieszkowsky per il futuro diventa sempre più irrazionale e oscuro, un’attività concepita come rifiuto della ragione e come « intuizione attiva», che trasforma la sua volontà di futuro, come dice Bloch, in una«teosofia dell’amen nella chiesa ortodossa».

A parte Feuerbach la più nota filosofia dell’azione degli hegeliani di sinistra è quella di Bruno Bauer, che nelle sue parole deve portare alla formulazione di un « giudizio universale» assolutamente oggettivo sulla realtà, ma contro le sue intenzioni, osserva Marx nell’Ideologia tedesca, finisce per dimostrarsi la più soggettiva di tutte. Costretta dalla reazione dello Stato prussiano autoritario l’arma teorica della critica di Bauer, la sua « critica critica» come la definisce Marx, si sviluppa unicamente come una battaglia tra pensieri, una prassi come un art pour l’art dello spirito. Tale filosofia dell’azione si ripiega in un individualismo egocentrico che disprezza le masse; la «critica critica» s’involve totalmente all’interno del processo dell’autocoscienza, il cui agire tende a staccarsi dall’attività sociale e a ridursi a una riforma della coscienza morale. Agli occhi di Marx il difetto più grosso della« filosofia dell’azione» di Bauer è che essa si presenta totalmente sprovvista di un’elaborata teoria economica, abissalmente distante da qualsivoglia progetto o prospettiva sulla tendenza storica dialetticamente compresa.

Per il giovane Marx non ci sono dubbi che lo scopo della sua filosofia sia una prassi rivoluzionaria che vede come suo protagonista il proletariato, una prassi accompagnata da un ‘elaborazione teorica «fecondata» dalla dialettica hegeliana. Nel prendere le distanze e nello svelare criticamente la natura « scolastica» della concezione del rapporto tra teoria e prassi in queste filosofie, con il complesso delle sue opere giovanili e con la formulazione sintetica della Tesi 2 , Marx differenzia nettamente la sua concezione di quel rapporto, in cui il pensiero o « l’idea filosofica» è appunto quel«campo di forze» che s’intreccia e media con la fenomenicità, con l’atto di esperienza dell’intuizione sensibile, puntando a disvelarne tutta la sua natura mediata , stratificata dai processi storici( economico-sociali, politico-giuridici, scientifici e generalmente culturali), a penetrarne criticamente e a rivelarne la sua autentica essenza dialettica.

Teoria e prassi, per Marx, non possono che oscillare costantemente e alternativamente tra di loro (ossia tramite il passaggio continuo tra i due poli estremi), per cui la prassi presuppone la teoria e a sua volta necessita di generare da sé una nuova teoria da cui procederà una nuova prassi. Come annota Bloch:« il pensiero concreto non è mai stato valutato più altamente di qui, dove è diventato luce per l’azione, e mai l’azione è stata valutata più altamente di qui , dove è divenuta il coronamento della verità».

Osserva ancora Bloch che una giusta combinazione tra teoria e prassi in vista di un pensiero e un sapere veritativi, ossia filosoficamente fecondi, non coincide con una posizione « neutrale » sulla realtà, ma la prassi in quel rapporto prende posizione, è«partigiana» dell’amore per le vittime e dell’odio per gli sfruttatori o persecutori. Ma quell’amore e quell’odio devono presentarsi come razionali, ossia temperati da un ‘oggettiva, lucida visione e analisi della realtà, accompagnati da una conoscenza oggettiva e razionale.

L’amore per l’uomo teorizzato da Feurbach, il suo celebre generico rapporto sentimentale tra Io e Tu, è invece esattamente l’opposto di quell’amore intellettuale e per la giustizia sociale di cui ci parla Marx. Quello che Marx definisce il« socialismo sentimentale» di Feuerbach elude ogni conoscenza sociale e si ripiega sui meri individui e sul loro rapporto eternamente struggente. Per Marx si tratta di una sorta di tradimento farisaico che lascia beatamente stare le cose così come stanno, una prassi sentimentale da ultima linea che paralizza l’autentica azione verso cui esso vorrebbe volgersi,e finisce per essere un astratto e declamatorio amore per gli uomini che non vuole cambiare il mondo perché volga al meglio ma eternarlo al male. Quel generico«socialismo dell’amore » proclamato da Feuerbach diventa la caricatura di sé stesso, un socialismo che esclude ogni durezza nella persecuzione dell’ingiustizia, e include ogni lassismo nella lotta di classe; esso si volge in una filantropia che incontra gli interessi dell’economia capitalistica.

Contro questo tipo di amore che si perde in frasi sentimentali da cui non viene eliminata alcuna situazione effettiva e fattuale,e infiacchisce l’uomo con l’enorme pappa sentimentale con cui lo ciba, Marx ed Engels scrivono in Circolare contro H. Kriege, seguace di Feuerbach :« ….Dunque la necessità dà forza all’uomo ( la costrizione); chi è costretto a cavarsela, lo fa realmente. E perciò le effettive condizioni di questo mondo, la cruda opposizione, nella società odierna tra capitale e lavoro, borghesia e proletariato,quali si rivelano nel modo più sviluppato nel tessuto industriale, sono l’altra più potente e spumeggiante fonte della concezione socialista del mondo , dell’esigenza di riforme sociali….Questa ferrea necessità assicura diffusione e seguaci attivi agli sforzi socialisti, e mediante la trasformazione delle attuali situazioni e relazioni aprirà la strada alle riforme socialiste più di tutto l’amore che arde in tutti i cuori sensibili del mondo».

Ancora una volta Feuerbach è solo una premessa , un passaggio da superare perché, in questo caso, dal suo generico amore per l’uomo si giunga a un chiarito e consapevole amore per gli sfruttati e per la conoscenza del reale , quali principi agenti indispensabili al socialismo. Osserva Bloch , e potremmo tranquillamente ancora farlo anche noi insieme a lui, che oggi l’amore informe e mistico non può più presentarsi come«idealismo in avanti», «progressivo», quale nella sua pienezza del cuore in una certa misura poteva ancora pretendere di essere al tempo di Feuerbach, ma è diventato filisteismo ipocrita, mal disincantato, liberamente religioso. I misteri delle odierne profondissime chiacchere , nemmeno più idealistiche ( prodromi degli odierni misticismo e spiritualismo new age) fanno del cuore un covo di delinquenti e un nulla di cui la borghesia si serve.

Lo afferma con forza la Tesi 8 su Feuerbach: «Tutti i misteri che trascinano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella prassi umana e nella soluzione razionale di questa prassi»( soluzione razionale della prassi resa nel frattempo impraticabile o assai problematica dall’affermarsi di un debordante dominio del principio della pulsione di morte al di là del principio del piacere, direbbero adue voci Freud e Lacan).

Annota in ogni caso Bloch che esistono due specie diverse di misteri: quelli relativi al non compreso in quanto chiarito, l’aporetico, la giungla delle contraddizioni non comprese della realtà; e quelli detti misticismi veri e propri, che sono idolatria dell’oscuro ( dell’esoterico) per amore dell’oscuro. Ma anche semplici cose non svelate, il loro carattere nebuloso, possono sedurre al misticismo; appunto per questo la soluzione umana è qui unicamente la prassi razionale e la soluzione razionale è unicamente la prassi umana che non si attiene alla giungla.

L’amore autentico di cui ci parla Marx ( e Bloch con lui) è il concreto amore che prende parte, che si fa partigiano, legato a sua volta a una contrapposta polarità d’odio altrettanto concreta( a una volontà di«negazione determinata dell’esistente», potremmo hegelianamente dire). Senza la parzialità del punto di vista rivoluzionario di classe c’è soltanto idealismo regressivo invece che prassi progressista. Senza il primato della riflessione o ragione fino al punto estremo, ci sono solo i misteri della soluzione invece che la soluzione dei misteri.

Feurbach scrive La filosofia dell’avvenire ,ma secondo Marx nella conclusione della sua etica mancano tanto la filosofia che l’avvenire, mentre la teoria marxiana che si coniuga dialetticamente con la prassi aspira essa stessa ad essere concreta o materiale filosofia del futuro. Tutti gli elementi filosofici sono ormai radunati perché Bloch , e noi con lui, rifletta sulla parola d’ordine lanciata da Marx nella conclusiva Tesi 11 –«I filosofi fin’ora hanno solo diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo» – come vedremo la prossima volta.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.