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di Luca Billi, 28 agosto 2017
Alla fine di febbraio del 1508 la statua di Giulio II benedicente venne issata in una nicchia al di sopra del portale centrale della basilica di san Petronio a Bologna. Due anni prima il papa della Rovere aveva conquistato la città, cacciandone i Bentivoglio, e quella statua, significativamente posta al centro della facciata della basilica costruita dal Comune come simbolo di libertà e di autonomia e per questo proprietà della città, voleva dire che Bologna era sotto il controllo di Roma. Nonostante il papa avesse voluto apparire come benedicente, il suo aspetto severo doveva ricordare ai riottosi cittadini di Bologna chi era che comandava. E siccome Giulio II voleva che la sua statua fosse anche un capolavoro, commissionò l’opera a Michelangelo, che la realizzò in meno di due anni; questo periodo bolognese dell’artista fiorentino fu particolarmente proficuo, visto che le storie della Genesi scolpite da Jacopo della Quercia per quello stesso portale gli furono da ispirazione quando dipinse la volta della Sistina. Meno di tre anni dopo, nel dicembre del 1511, i Bentivoglio tornarono in città, la statua di Giulio II fu tolta dalla facciata di san Petronio e il bronzo venne rifuso e venduto ad Alfonso I d’Este che ne ricavò una grande colubrina che chiamò Giulia: se andate a Ferrara ne potete vedere una copia proprio sotto il Castello. Bologna ha perso un capolavoro, uno dei due soli bronzi michelangioleschi, un’opera che probabilmente sarebbe diventata uno dei simboli della città, che sarebbe stato l’oggetto di foto di migliaia di turisti giapponesi. A chi mise quella statua – e a chi la tolse – questo però non importava affatto.