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di Luca Billi, 22 marzo 2018
“Chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, quando muore va laggiù”, recita un’antica filastrocca che abbiamo imparato da bambini. Non si fa la spia. Eppure tutti noi da ragazzini – e forse anche dopo, quando siamo cresciuti – abbiamo sognato di fare la spia. In tanti hanno immaginato di essere come James Bond, per poter guidare l’Aston Martin “truccata” da Q e naturalmente per le bondgirls. Personalmente avrei voluto essere George Smiley. Difficile immaginare due persone più diverse, eppure immagino che Smiley e Bond si siano incontrati diverse volte nei lunghi corridoi del MI6, ognuno di loro sa chi è l’altro, suppongo si salutino, magari qualche volta si sono scambiati le loro opinioni su delle situazioni particolarmente complesse oppure si sono incrociati all’ufficio personale, dove entrambi dovevano consegnare dei moduli per una malattia, ma quasi certamente non si sono frequentati fuori dal lavoro.
A noi italiani tocca comunque avere dei modelli di altri paesi, visto che le “nostre” spie sono per lo più personaggi da tenere alla larga, quando va bene corrotti faccendieri, per tacere di quelli che hanno messo le bombe, da piazza Fontana alla stazione di Bologna, di quelli che hanno ucciso Pasolini e Moro e tanti altri: insomma la lunga lista di crimini che dobbiamo imputare ai servizi segreti italiani.