LE RETI VEGETALI E I CAMPI COLTIVATI IL DIBATTITO SUL BIODINAMICO

per Filoteo Nicolini
Autore originale del testo: FILOTEO NICOLINI

LE RETI VEGETALI E I CAMPI COLTIVATI

IL DIBATTITO SUL BIODINAMICO

Il nuovo paradigma delle reti vegetali offre vari spunti di riflessione, quando si osserva che le piante non hanno un centro di governo piramidale e gerarchico, ma si affidano a un modello distribuito che ha assicurato loro la vasta diffusione sulla superficie del Pianeta. La vita vegetale è soprattutto condivisione. Nel caso delle piante dobbiamo guardare in termini di comunità. Nel mondo vegetale non esiste il puro individuo, il bosco è come se fosse un organismo unico, cioè non costituito da tante singole parti isolate ma da una rete di piante che sono connesse le une con le altre. Possono essere direttamente connesse, attraverso le radici, a centinaia, letteralmente a centinaia di piante vicine.

Il mutuo appoggio sta nel fatto che attraverso le radici le piante si scambiano informazioni sullo stato dell’ambiente, e poi nutrienti ed acqua. La pianta non è un individuo, la pianta è una rete, è una colonia. Una pianta è una rete in sé e per sé, un bosco è una rete di reti. Lo scienziato italiano Stefano Mancuso è uno degli esponenti più significativi di questa nuova corrente di pensiero che nella scia di Leonardo si è arricchita con i lavori di Bateson, Maturana, Varela ed altri pionieri. Sono paradigmi emersi negli ultimi decenni relativi al significato della vita, alla complessità, alla cosiddetta auto produzione e alla cognizione immanente a tutti i livelli della vita. La visione sistemica si è conquistata un importante spazio perché suggerisce un nuovo modo di pensare in termini di relazioni, contesti e comunicazione, e scopre che la rete, o meglio le reti, ne rappresentano lo schema organizzativo. La rete è un modello che viene considerato comune a tutta la vita, paradigma che sostituisce il precedente della macchina.

Ci suggerisce Mancuso che le reti vegetali sono scambio e generazione di fatti cognitivi, di apprendimento, di “decisioni” nella scala appropriata alle piante. Il processo della cognizione si identifica con la vita riflettendosi nella struttura, e dal connubio processo-struttura emerge e si sostiene la vita, quella delle piante. Ma anche la nostra. Tutta la nostra vita dipende dalle piante. L’ossigeno che respiriamo, cosa mangiamo, come ci vestiamo, come ci curiamo dipende dalle piante.

Ecco, tutto gira intorno alla ineffabile vita e al tentativo di afferrarne il profondo significato. Pure, il nostro compito è con i pericoli di estinzione e le minacce alla sostenibilità per l’emergenza climatica oggi sotto gli occhi di tutti. Possiamo apprendere tanto dal modello delle reti vegetali, della rete diffusa, dunque dall’aspetto comunità e la cooperazione fra specie diverse. Possiamo anche godere dello spettacolo delle piante, di un prato fiorito, di un bosco, di una savana, preservarne esemplari e semi. Le suggestive teorie e modelli di ecosistema vegetale offrono molte riflessioni sul piano cognitivo filosofico su cui torneremo. Ma la contemplazione suggerita dal paradigma delle reti vegetali con le profonde ricadute culturali traballa non poco appena volgiamo allo sguardo all’agricoltura su scala industriale.

Si osserva una profonda breccia tra le considerazioni sui nuovi paradigmi e la realtà di un campo coltivato. Mi riferisco all’intervento di Giacomo Sartori* a proposito del disegno di legge sul biologico e delle connesse polemiche sull’agricoltura biodinamica, che il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi ha definito “pratica stregonesca” facendo eco ad analoghe dichiarazioni della Senatrice Cattaneo.

Le considerazioni sulle specificità dell’agricoltura ci lasciano a dir poco a bocca aperta, e cerco di sintetizzarle rimandando comunque all’articolo originale. Sartori ha svolto a lungo l’attività di agronomo occupandosi prevalentemente di suoli ed analisi dei terreni. In qualche modo, ci dice che la scienza dei Congressi, delle pubblicazioni e dell’Accademia è distante anni luce dai problemi che si affrontano nell’agricoltura, quella che produce frutta, verdure e foraggi.

Ci spiega che un qualsiasi campo coltivato è un sistema che pur essendo molto più semplice di un ambiente naturale come può essere un bosco o una foresta, è estremamente complesso, ed estremamente variabile nel tempo e nello spazio. Un sistema del quale allo stato attuale sappiamo molto poco.

Sappiamo pochissimo, dice Sartori, della sostanza organica presente nel terreno, delle sue forme, dei suoi legami con la frazione minerale, del suo modo di degradarsi. Questo comparto è la chiave della fertilità, fondamentale per lo stoccaggio del carbonio che ha un ruolo essenziale negli equilibri che regolano l’effetto serra. L’articolo prosegue mettendo a fuoco la vita segreta dei suoli.

In pochi grammi di suolo ci sono miliardi di microrganismi, di migliaia di specie differenti essenziali per il suo funzionamento, a cominciare dal ciclo degli elementi. Ma siamo lontani dal capire perché in un dato sito si ritrovi un determinato aggregato che lavora in un modo, e qualche metro più in là le cose siano completamente differenti! E che dire dei virus, che sembrano essere fondamentali per la mortalità dei batteri, dei quali conosciamo poco o niente? Per non parlare poi della fauna del suolo a cominciare dai fondamentali lombrichi. Sappiamo qualcosa di qualche specie di lombrichi ma il più delle volte sono informazioni molto parziali ottenute in laboratorio, lontane dalla complessità della realtà, dalla sua estrema variabilità spaziale. Quali lombrichi ci sono nei campi italiani, quali rapporti hanno con i vari ambienti, con i vari micro ambienti e microclimi, con gli interventi umani? Che impatto hanno le varie tecniche agronomiche sulle varie specie? Nessuno può rispondere, afferma enfatico Sartori..

Le piante sono state molto più studiate ma delle loro interazioni attraverso le radici con i funghi-fino a pochi decenni fa ignorati-che poi interagiscono con i micro organismi, le parti organiche e quelle minerali, di tutto questo si sa ancora poco.

Resta un problema ancora più grande. Le varie discipline che si riferiscono all’agronomia sono dei compartimenti stagno, con scale di osservazione e tecniche diversissime. E’ complicato, lo si fa molto di rado, provare mettere assieme i vari linguaggi e le varie informazioni specialistiche. C’è chi si specializza in un tipo di coleottero, chi in un altro. La maggior parte dei microbiologi non sa in genere nulla degli organismi superiori, ai quali la microflora è legata, e poco della frazione minerale.

Le nostre conoscenze sono lacunose ed empiriche e riflettono la complessità dell’ambiente naturale portato a coltivazione, e questo è valido sia per il modello di coltivazione contadino che industriale che biologico e finanche biodinamico. Prima dell’apparizione della scienza, i progressi dell’agricoltura si sono basati sull’osservazione attenta dei cicli e sulle evidenze empiriche. Si adottavano le tecniche che permettevano dei raccolti più abbondanti e di migliore qualità, badando che fossero riproducibili nel tempo, evitando in base all’esperienza di innescare forme di degradazione, o di provocare dei danni.

La rivoluzione “verde” è stata legata alla disponibilità e impiego di fertilizzanti chimici di origine industriale , ma trascurando o ignorando l’aspetto negativo e sopratutto mirando al suolo come un fattore inerte e spento da soccorrere. Patogeni e parassiti delle colture tenuti a bada con un armamentario impressionante. È noto l’impatto insostenibile di questa pratica riduzionista sulla riduzione della biodiversità e la vita del suolo, e poi gli enormi guasti tra cui la perdita di sostanza organica dei terreni e l’erosione. E che dire del rendimento energetico della agricoltura chimica il cui bilancio è elevatissimo per tutti gli interventi diretti ed indiretti?

Qui Sartori ci ricorda che per produrre l’energia contenuta in una data quantità di frutta o di carne, spendiamo una quantità di energia maggiore! Energia che viene dai combustibili fossili. Quindi anche l’agricoltura, che è il comparto che può produrre più energia di quanta ne consumi, poichè le piante utilizzano l’energia solare per sintetizzare, mediante la fotosintesi, sostanza organica, dipende allo stato attuale dai combustibili fossili.

Qui l’articolo di Sartori si dilunga sull’aspetto più critico del tema, ovvero le responsabilità della scienza che ha relegato i saperi tradizionali considerandoli magici, primitivi e non scientifici, avallando allo stesso tempo l’uso dei prodotti che la ricerca ha messo a disposizione, i fertilizzanti chimici e i pesticidi prodotti in larga scala. Si è giunti al paradosso di disporre di strumenti tecnologici sempre più sofisticati per un completo controllo dei fattori in gioco mentre è cresciuta l’ignoranza del comparto vivente dei suoli.

Nel frattempo, menti più illuminate hanno cercato di fare sperimentazione agronomica secondo approcci meno riduzionisti e più olistici, tra cui la perma cultura, l’agricoltura biologica e la biodinamica. Anche se ostacolate, esse hanno mostrato che si può coltivare a larga scala con degli impatti più bassi sull’ambiente, senza fare ricorso a sostanze molto tossiche, consumando meno energia, producendo cibi sani, rispettando gli animali. Naturalmente questi nuovi approcci hanno dimostrato delle debolezze, ma come spesso accade sono stati invece ignorati i risultati dove invece i miglioramenti sono ineccepibili e alla vista.

È dunque necessario, conclude Sartori, sperimentare e fare ricerca in agro ecologia con visione ecologica e sistemica. Riguardo la biodinamica, fa giustamente notare che vanno positivamente considerate le riuscite produttive, qualitative, ambientali senza soffermarsi sulla filosofia soggiacente, e quindi assumendo un atteggiamento pragmatico ed obbiettivo. Se alcuni procedimenti possono cozzare con la visione materialistica e meccanicista, è innegabile riconoscerne i risultati in condizioni dove l’agricoltura tradizionale avrebbe fallito. Senza aderire ai principi ispiratori, è necessario analizzare con metodo le pratiche di coltivazione. È falsa la narrazione che vorrebbe la separazione tra chi fa appello alla scienza e chi la rifiuta. Chi fa generico appello alla scienza poi ignora i micidiali effetti secondari della stessa scienza divenuta tecnologia e profitto commerciale. Non è in discussione l’approccio scientifico se esso si apre a nuove esperienze e nuovi orizzonti che possono arricchire la ristretta visione che oggi la caratterizza.

FILOTEO NICOLINI

*https://www.dissapore.com/caro-premio-nobel-ecco-i-limiti-della-scienza-in-agricoltura/

IMMAGINE: Camponeses, CANDIDO PORTINARI

 

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.