Un mondo che il costituzionalista ex ministro Sabino Cassese marchiò giusto vent’anni fa, nell’agosto 2004, con queste parole pubblicate sul Corriere della Sera: «Con lodevoli eccezioni, le strutture regionali sono precarie, mal gestite, dominate dal clientelismo. Il merito, i concorsi, le promozioni sulla base di valutazioni comparative e aperte, la misurazione dell’efficienza l’attenzione per i bisogni dell’utenza, sono sconosciuti». A chi volesse entrare nei dettagli consigliamo la lettura dell’articolo sulle Regioni pubblicato da L’Espresso nel numero del 23 aprile 2023. La Regione Lazio ne è stato uno dei più fulgidi esempi. Mai peraltro revocato. Basta dire che il presidente Francesco Rocca, attorniato anch’egli da fedelissimi (provenienti nel suo caso dalla Croce Rossa) si avvale di una segreteria di dieci persone. Altre dieci sono alla comunicazione istituzionale. Da non confondere con i rapporti istituzionali: lì ce ne stanno otto, inquadrati nel gabinetto del Presidente. Che conta ben 99 persone (di cui 34 soltanto per un autoparco brulicante di autisti), e dove c’è di tutto: perfino un piccolo apparato «Cinema e audiovisivo» con quattro impiegati, guidato dalla ex direttrice generale della Rai Lorenza Lei, reduce da una sfortunata candidatura a sostegno di Rocca. Poi c’è l’ufficio stampa. Ancora dieci. Undici se si conta pure la portavoce del presidente Carla Cace. Totale, 130.

E c’è chi ancora si stupisce perché qualche cosiddetto governatore incatenato alla poltrona vorrebbe fare il terzo e magari il quarto mandato, nonostante una legge dello Stato abbia stabilito che più di due consecutivi non se ne possono fare. A destra come a sinistra. Ma sorprende ancora più l’arrendevolezza di molti, soprattutto a destra ma in qualche caso pure a sinistra, mentre il Paese sta per schiantarsi definitivamente sull’autonomia differenziata. Ci rendiamo conto che cosa può succedere con quella riforma suicida, a maggior ragione dopo quello che sta venendo fuori dalla Liguria? Fermatevi, prima che sia troppo tardi.

Giovanni Malagodi: L’errore fatale delle Regioni

Stralcio di un discorso di Giovanni Malagodi dell’8 marzo 1962  In cui si parla delle regioni

Veniamo alle regioni. Il collega Bozzi ha chiarito l’altra sera le nostre obiezioni di fondo, di carattere giuridico, amministrativo, finanziario, nei riguardi delle regioni. […] Oggi le quattro regioni a statuto speciale spendono 135 miliardi, cioè il doppio di quello che spendevano cinque anni fa; e cinque anni fa spendevano tre volte tanto quello che spendevano all’inizio.
La regione siciliana, per esempio, rende straordinariamente ai membri dei consigli di amministrazione dei 265 enti autonomi, che sono stati creati per poter fare tutto quello che si vuole al di fuori di qualsiasi controllo. […]
Le regioni significano un’immensa spesa! E credo veramente che ci vogliamo prendere in giro fra noi se immaginiamo che, mentre il Comune di Roma spende 70 miliardi e quello di Milano più di 100 miliardi all’anno, per le regioni, tutte insieme, possiamo cavarcela con la modica spesa di 57 miliardi all’anno. […]
Avremo una doppia burocrazia. […] Anche quando si sono fatte le regioni a statuto speciale si è detto che si doveva riempire i ruoli con funzionari dello Stato, con personale già in servizio; al contrario, si sono aggiunti nuovi uffici statali per esercitare quegli scarsi controlli, che, nonostante tutto, la Costituzione permette ancora di esercitare.
Ed è inutile che si venga a dire: ma noi faremo degli organi di semplice decentramento. Voi farete invece quello che è scritto nella Costituzione; anzi, se voi manifestate una intenzione, è proprio quella di andare ancora più in là della Costituzione […].
Sono cose che costeranno nuove tasse e nuovi debiti, che sono economicamente dannose e socialmente inutili; sono cose che servono soltanto per iniziare la liquidazione dell’economia di mercato […].