Fonte: altreconomia.it
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Dal 2013 al 2017, lo Stato ha imposto agli enti una riduzione delle risorse pari a 5,2 miliardi di euro. Solo quest’anno e solo per le 76 Province “ordinarie”, potrebbero mancare quasi 700 milioni di euro per chiudere i bilanci e garantire servizi essenziali come la sicurezza degli edifici scolastici, la manutenzione delle strade e la tutela dell’ambiente. La denuncia dei presidenti
A metà marzo, i presidenti delle Province italiane si sono recati in Procura. Avevano un atto da depositare -un “esposto cautelativo”- e un gesto politico fortissimo da compiere: senza risorse è impossibile garantire servizi essenziali, anche in termini di sicurezza. La scelta deriva dalla disastrata condizione di bilancio di un ente investito da tagli indiscriminati -la soppressione dei trasferimenti statali, in particolare- e oggetto di “riforme” mancate.
La Sezione delle autonomie della Corte dei Conti ha recentemente parlato di “grave deterioramento” in merito agli equilibri di bilancio degli enti (febbraio 2017). Il che ha costretto gli amministratori a mettere le mani avanti dinanzi alla magistratura. Dal 2013 al 2017, infatti, lo Stato ha imposto loro -e alle Città metropolitane- una riduzione di risorse pari a 5,2 miliardi di euro. A queste condizioni, costruire e gestire i 100mila chilometri di strade provinciali, mantenere i 3.600 edifici scolastici superiori o tutelare l’ambiente -che sono le tre funzioni rimaste in capo all’ente dopo la “riforma” Delrio del 2014- non è più di fatto possibile.
Con il paradosso che alcune delle norme che più hanno inciso sull’autonomia delle Province, come la legge di Stabilità 2015 (190/2014), avevano superato il vaglio di costituzionalità solo “in considerazione della programmata soppressione delle province”, come ebbe a dire la Corte costituzionale nel 2016, prima del referendum del 4 dicembre. In poche parole: lo Stato centrale ha iniziato a smontare questi enti di rilievo costituzionale troppo presto, prima cioè che il disegno “riformatore” andasse definitivamente in porto. E quando questo è miseramente crollato sotto milioni di “No”, l’eredità, per citare la Corte dei Conti, non è stata che “un’oggettiva condizione di precarietà che incide sulle prerogative costituzionali degli enti”.
Il 2017 è l’anno decisivo. Se nulla dovesse accadere, e cioè se il Governo in carica dovesse continuare sull’onda delle politiche di austerità degli ultimi quattro anni, le 76 Province delle Regioni a Statuto ordinario dovrebbero restituire allo Stato qualcosa come 1,65 miliardi di euro. Peccato che le entrate “da tributi propri” (Rc auto, l’imposta provinciale di trascrizione, servizi di tutela ambientale) supereranno quest’anno di poco i 2,09 miliardi. E con la differenza -445 milioni di euro- toccherà far fronte alle “funzioni fondamentali” (appunto viabilità, edilizia scolastica e ambiente). Un impegno oneroso che le stime fissano a 1,3 miliardi di euro. Risultato? Nel 2017, alle sole 76 Province “ordinarie” potranno venire a mancare 691 milioni di euro per poter chiudere i bilanci.
Non è una questione Nord-Sud, come dimostra il caso del Piemonte. “Su otto Province -ha scritto la Corte dei Conti- una è interessata da un dissesto e tre hanno attivato la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale”. E l’idoneità del percorso di “risanamento” avviato per quelle già in predissesto è a dir poco incerta. Dal Piemonte si passa alla Lombardia. A Lecco, la situazione di squilibrio dovuta a restituzione e uscite per il 2017 produce un saldo negativo di 10 milioni di euro.
Ecco la ragione degli esposti. “Senza risorse è impossibile garantire una manutenzione stradale adeguata -spiega ad Altreconomia il presidente della Provincia di Lecco, Flavio Polano- e tutto questo ha ripercussioni dirette sui dirigenti nei casi di incidenti”. Come tutti i suoi colleghi, Polano amministra un ente che al 22 marzo 2017 “non ha ancora ottenuto dal legislatore regole chiare per la composizione del bilancio 2017”.
Ma la provincia lombarda ha una peculiarità. A minare il già precario equilibrio di bilancio, infatti, contribuisce anche una “grande opera”. La più rilevante, in termini finanziari, per l’ente. Si tratta di una variante della “nuova” statale tra Lecco e Bergamo, un progetto concepito nel 2001 e da allora ancora in costruzione. 2,5 chilometri, quasi tutti in galleria tra i comuni di Lecco, Vercurago e Calolziocorte, che da un importo iniziale di 71,6 milioni di euro interamente finanziato dal CIPE (nel 2009) sono schizzati a 93,7 (2012), poi a 100,5 (2014) e infine a 118 milioni di euro ai primi mesi del 2017. Dopo aver approvato il progetto definitivo senza nemmeno un parere di regolarità contabile è stato dato il via libera a tutti gli altri atti che invece erano accompagnati da un parere negativo, la Provincia di Lecco si ritrova oggi con un mutuo di 22 milioni di euro sulle spalle. Un tunnel definito “incompatibile con i vincoli di finanza pubblica” che potrebbe farsi ancora più buio: la ditta che sta eseguendo i lavori -la SALC Spa fondata da Claudio Salini- avrebbe richiesto a febbraio maggiori oneri per altri 10,2 milioni di euro, per un totale di 128 milioni (+78% rispetto al preventivo). Un chilometro di galleria arriverebbe così a costare 53 milioni di euro, un’ipotesi che porterebbe l’ente, come si legge nei pareri contabili accumulati in questi anni, a dichiarare “sicuramente” il dissesto. “Abbiamo fatto il passo più lungo della gamba -riflette amaramente il presidente Polano, che però esclude l’ipotesi dissesto- sia da un punto di vista progettuale sia da un punto di vista finanziario”. “Ma quello della Lecco-Bergamo, sinceramente, è uno dei tanti problemi che abbiamo”.